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Inammissibilità appello: i termini per la Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro un’ordinanza di inammissibilità appello. La Corte chiarisce che il termine per ricorrere è di 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza e che i motivi devono riguardare solo vizi processuali dell’ordinanza stessa, non il merito della causa.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inammissibilità Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Fuori Termine

L’ordinanza di inammissibilità appello, introdotta come filtro per deflazionare il carico dei giudizi di secondo grado, presenta delle specifiche regole procedurali per l’eventuale ricorso in Cassazione. Una recente pronuncia della Suprema Corte, l’ordinanza n. 5709/2024, ribadisce due principi fondamentali: la perentorietà del termine breve di 60 giorni per ricorrere e i limiti dei vizi che possono essere denunciati. Comprendere questi aspetti è cruciale per evitare di incorrere in una declaratoria di inammissibilità anche nel giudizio di legittimità.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia commerciale. Una casa editrice specializzata otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di un professionista per il mancato pagamento di una fornitura di libri e riviste. Il professionista si opponeva al decreto, ma il Tribunale di primo grado respingeva la sua opposizione, confermando l’obbligo di pagamento.

Successivamente, il professionista proponeva appello, ma la Corte d’Appello lo dichiarava inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., ritenendo che l’impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di essere accolta. Contro questa ordinanza, il professionista presentava ricorso per cassazione.

La Gestione dell’Inammissibilità Appello e il Ricorso

Il meccanismo previsto dagli articoli 348-bis e 348-ter del codice di procedura civile è chiaro: quando la Corte d’Appello pronuncia l’inammissibilità appello, la parte soccombente può proporre ricorso per cassazione direttamente avverso la sentenza di primo grado.

Tuttavia, la legge stabilisce regole precise. Il termine per proporre tale ricorso decorre dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Nel caso di specie, il ricorrente, pur essendo a conoscenza della comunicazione dell’ordinanza, notificava il ricorso ben oltre il termine di 60 giorni, invocando erroneamente l’applicazione del termine lungo di sei mesi.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni distinte ma ugualmente dirimenti.

Il Termine Breve di 60 Giorni

Il primo motivo di inammissibilità è la tardività. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il termine per impugnare la sentenza di primo grado, dopo la declaratoria di inammissibilità dell’appello, è quello breve di sessanta giorni. Questo termine decorre dalla comunicazione dell’ordinanza da parte della cancelleria. Tale regola, specificata nell’art. 348-ter, comma 3, c.p.c., si applica anche quando il ricorso mira a contestare vizi propri dell’ordinanza di inammissibilità, e non solo la sentenza di primo grado. L’argomentazione del ricorrente, basata sull’applicabilità del termine lungo semestrale, è stata quindi giudicata infondata.

I Limiti dei Motivi di Ricorso

Il secondo, e altrettanto importante, profilo di inammissibilità riguarda la natura dei vizi denunciati. Il ricorrente aveva lamentato un error in iudicando, ovvero un errore di giudizio sul merito della controversia da parte del giudice d’appello. La Cassazione ha chiarito che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, solo per vizi processuali propri (come la violazione delle norme che regolano il procedimento di filtro), e non per errori di valutazione nel merito. Dedurre un errore di giudizio sostanziale si traduce in un tentativo di ottenere un riesame della causa non consentito in questa sede.

Le Conclusioni

La decisione in esame riafferma con fermezza le regole procedurali che governano l’impugnazione a seguito di un’ordinanza di inammissibilità appello. Gli operatori del diritto devono prestare la massima attenzione a due aspetti fondamentali: primo, il rispetto del termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per proporre ricorso in Cassazione; secondo, la limitazione dei motivi di ricorso ai soli vizi procedurali dell’ordinanza stessa. Confondere i termini o i motivi ammissibili conduce inevitabilmente a un’ulteriore declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Qual è il termine per proporre ricorso per cassazione dopo un’ordinanza di inammissibilità dell’appello?
Il termine è quello breve di 60 giorni, che decorre dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione dell’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’Appello, come previsto dall’art. 348-ter del codice di procedura civile.

È possibile impugnare l’ordinanza di inammissibilità dell’appello per errori di merito (error in iudicando)?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’ordinanza di inammissibilità può essere impugnata solo per vizi processuali propri e non per errori di giudizio relativi al merito della controversia, che non viene esaminato in tale fase.

Cosa succede se il ricorso per cassazione viene presentato oltre il termine di 60 giorni?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile perché tardivo. Di conseguenza, la parte ricorrente viene condannata al pagamento delle spese legali del giudizio di cassazione e al versamento di un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato dovuto per il ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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