Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4498 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4498  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22578/2023 R.G. proposto da:
TRATTORIA  L’IMBOSCATA  DI  RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata all’indirizzo Pec del difensore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME  NOME  che  la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso.
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controricorrente –
avverso  l’ORDINANZA  della  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE  n. 26885/2023 depositata il 20/09/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
La RAGIONE_SOCIALE e la signora NOME COGNOME stipulavano  una  scrittura  privata,  con  cui  la  signora  COGNOME  si impegnava ad acquistare dalla RAGIONE_SOCIALE alcuni beni aziendali.
Stante  l’inadempimento  all’obbligazione  del  pagamento  del prezzo, contenuta  nella citata scrittura privata, la RAGIONE_SOCIALE notificava  a  NOME  decreto  ingiuntivo  provvisoriamente esecutivo unitamente all’atto di precetto.
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui  contestava  l’avversaria  pretesa  creditoria  e  disconosceva  la sottoscrizione apposta in calce alla scrittura privata.
1.1.  Con  sentenza  n.3000/2017  del  19  ottobre  2017  il Tribunale di Monza, in considerazione della accertata non autenticità  della  sottoscrizione  apposta  in  calce  alla  scrittura, accoglieva  l’opposizione  proposta  da  NOME  COGNOME  e  revocava  il decreto ingiuntivo.
 Avverso  tale  sentenza  proponeva  appello  la  RAGIONE_SOCIALE;  si costituiva, resistendo al gravame, NOME COGNOME.
Con  sentenza  n.178/2020  del  20  febbraio  2020  la  Corte  di Appello di Milano accoglieva l’appello nei limiti della condanna ai sensi  dell’art.  96  cod.  proc.  civ.,  mentre  per  il  resto -dunque nell’accoglimento dell’opposizione e nella revoca al decreto ingiuntivoconfermava l’impugnata sentenza di prime cure.
 Avverso  tale  sentenza  la  RAGIONE_SOCIALE  proponeva  ricorso  per cassazione,  affidato  a  tre  motivi,  cui  NOME  COGNOME  resisteva  con controricorso.
3.1.  Con  ordinanza  n.  1263/2023  del  20  settembre  2023
questa Suprema Corte dichiarava l’improcedibilità del ricorso ‘per avere omesso (la ricorrente) di depositare la relazione di notificazione della sentenza, il cui deposito è prescritto dall’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. a pena di improcedibilità del ricorso (la stessa parte ricorrente in calce al ricorso dichiara di avere depositato la copia autentica della sentenza, ma nessuna menzione vi è della relazione di notifica)’ ed escludendo altresì la possibilità di ricorrere alla cd. prova di resistenza.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per revocazione ex art. 391bis c.p.c., affidato ad un unico motivo, in cui anche solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 369 cod. proc. civ.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte  ricorrente  e  parte  controricorrente  hanno  depositato rispettive memorie illustrative.
Considerato che
 Con  un  unico  motivo  la  RAGIONE_SOCIALE  ha impugnato  per  revocazione  l’ordinanza  n.  1263/2023  con  cui questa Suprema Corte dichiarava l’improcedibilità del ricorso.
Deduce che tale statuizione sarebbe ‘l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti di causa riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma I, n. 4’ ed identifica l’errore nel fatto che questa Suprema Corte ha affermato che la RAGIONE_SOCIALE ha ‘dichiarato che la decisione impugnata è stata notificata, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, in data 24 gennaio 2020’, ma ha poi ‘omesso di depositare la relazione di notificazione della sentenza, il cui deposito è prescritto dall’art. 369, comma 2, n. 2 cod. proc. civ. a pena di improcedibilità del ricorso’.
Conclude sostenendo che, nel sanzionare essa ricorrente con
la declaratoria di improcedibilità, questa Corte non solo avrebbe svolto  una  interpretazione  letterale  e  severa  dell’art.  369  cod. proc. civ., ma sarebbe anche incorsa in un errore di percezione ovvero in una svista, in quanto non avrebbe considerato che la allora  parte  controricorrente  non  avrebbe  contestato,  ma  anzi avrebbe essa stessa confermato, la data di notifica della sentenza impugnata.
Solleva inoltre la questione di illegittimità costituzionale dell’art.  369,  ‘par.’  2)  ( sic nel  ricorso)  cod.  proc.  civ.  per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione e dell’art. 6 Cedu.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Dal  suo  espresso  tenore  si  evince  che  il  ricorrente  lamenta una  non  corretta  o  meglio,  letteralmente,  una ‘troppo  severa interpretazione’,  dell’art.  369,  comma  2,  cod.  proc.  civ.,  nel formulare la quale questa Suprema Corte non avrebbe considerato  che  la  allora  parte  controricorrente  non  avrebbe contestato,  ed  anzi  avrebbe  addirittura  confermato,  la  data  di notifica della sentenza impugnata.
Non  vi  è  chi  non  veda,  allora,  che  il  motivo,  e  dunque  il ricorso,  prospetta  non  un  errore  di  fatto  revocatorio,  bensì  un (preteso) errore di diritto.
Come questa Suprema Corte ha già avuto più volte modo di affermare, è inammissibile il ricorso basato su un errore di diritto, sostanziale o processuale, o su un errore di giudizio o di valutazione (cfr. Cass., Sez. Un., 11/04/2018, n. 8984 e 27/12/2017, n. 30994), rispetto al quale il ricorrente suggerisca una soluzione giuridica diversa da quella adottata (cfr., Cass., 12/02/2013, n. 3494), dato che l’errore di fatto revocatorio, di cui al n. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ., è l’errore nella percezione delle risultanze documentali, che emerge senza la necessità di alcuna esigenza istruttoria (Cass., Sez. Un., 17 marzo 2023, n.
7894).
Mette conto, peraltro, di rilevare che il preteso errore di diritto nemmeno risulterebbe esistente quanto all’invocata rilevanza di una conferma della data di notifica della sentenza da parte del resistente e, dunque, dell’essere quella data pacifica fra le parti: è sufficiente osservare che il controllo della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione è questione che sfugge al potere delle parti di meramente dichiarare gli eventi da cui essa deve desumersi. Se fosse altrimenti, il giudicato formale derivante dal decorso del termine c.d. breve diverrebbe soggetto al dominio dell’accordo fra le parti, il che contraddirebbe la norma imperativa dell’art. 325 cod. proc. civ.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
2.1.  La  rilevata  inammissibilità  esimerebbe  questa  Corte dall’esaminare la questione di costituzionalità.
Essa è tuttavia del tutto priva del carattere della non manifesta infondatezza e ciò proprio per quanto si è osservato poco prima: l’interesse pubblicistico alla consumazione dell’impugnazione nel termine breve trova giustificazione nella certezza della conoscenza della decisione sfavorevole per chi deve impugnarla e, quindi, giustifica la stessa logica del termine c.d. breve e dunque la dimostrazione di quanto necessario per dimostrare che il termine si è osservato. Tanto anche al fine di evitare che il servizio giustizia sia appesantito dalla persistenza del processo. In alcun modo gli artt. 24 e 111 della Costituzione, evocati dalla parte ricorrente sono violati dalla previsione che impone di dare rilievo alla mancata dimostrazione della tempestività dell’osservanza del termine c.d. breve da parte di chi impugna e di considerare irrilevante -per la ragione sopra indicata -la mancanza di contestazione della parte destinataria dell’impugnazione (altro essendo il caso in cui sia questa parte a documentare la data di notifica della sentenza solo indicata dalla
parte ricorrente).
 Le  spese  del  giudizio  di  legittimità,  liquidate  nella  misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna  la  ricorrente  al  pagamento,  in  favore  della controricorrente,  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza