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Impresa familiare: quando è lavoro subordinato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito che la qualificazione di un rapporto di lavoro dipende dalle sue concrete modalità di svolgimento e non dalla denominazione formale data dalle parti, anche se contenuta in un atto pubblico. Nel caso specifico, nonostante l’esistenza di un atto notarile che costituiva una impresa familiare, la Corte ha confermato la natura subordinata del rapporto di lavoro basandosi su prove testimoniali che dimostravano la presenza di eterodirezione, orario fisso e mancanza di autonomia del prestatore di lavoro. Il ricorso del datore di lavoro è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Impresa Familiare Fittizia: la Realtà del Rapporto Prevale sulla Forma

La stipula di un contratto di impresa familiare tramite un atto pubblico non è sufficiente a escludere la natura subordinata di un rapporto di lavoro se, nei fatti, questo si svolge con le caratteristiche tipiche della dipendenza. Questo è il principio fondamentale ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, che ha respinto il ricorso di un datore di lavoro condannato a riconoscere le differenze retributive a un collaboratore.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di un lavoratore di veder riconosciuto il suo rapporto di lavoro come subordinato, nonostante fosse formalmente inquadrato come partecipe di un’impresa familiare, costituita con un atto notarile del 19 dicembre 2000. Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le sue richieste, condannando il titolare dell’impresa al pagamento di una cospicua somma.

La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado riducendo l’importo dovuto (il quantum), aveva confermato la qualificazione del rapporto come lavoro subordinato. Secondo i giudici di merito, le prove testimoniali raccolte dimostravano in modo inequivocabile la sussistenza di un vincolo di subordinazione, rendendo irrilevante la qualificazione formale data dalle parti con l’atto notarile. Contro questa decisione, il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Impresa Familiare

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che, ai fini della corretta qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro, ciò che conta è la realtà effettiva del suo svolgimento e non il nomen iuris (il nome giuridico) che le parti gli hanno attribuito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su diversi punti cardine del diritto del lavoro e processuale.

### L’Efficacia Probatoria dell’Atto Pubblico

Il ricorrente sosteneva che l’atto pubblico con cui era stata costituita l’impresa familiare dovesse avere un’efficacia probatoria tale da prevalere sulle testimonianze. La Cassazione ha smontato questa tesi, ricordando che, ai sensi dell’art. 2700 del codice civile, l’atto pubblico fa piena prova solo della sua provenienza dal pubblico ufficiale e delle dichiarazioni che le parti hanno reso in sua presenza, ma non della veridicità del contenuto di tali dichiarazioni o della corrispondenza tra la qualificazione giuridica adottata e la realtà fattuale del rapporto. In altre parole, il notaio certifica che le parti hanno dichiarato di voler costituire un’impresa familiare, non che il loro rapporto sia effettivamente tale.

### Il Principio della Prevalenza della Sostanza sulla Forma

I giudici hanno ribadito il consolidato orientamento secondo cui il giudice non è vincolato dalla qualificazione formale del rapporto, ma ha il dovere di indagare la sua natura reale basandosi sulle concrete modalità di esecuzione della prestazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato una serie di ‘elementi sintomatici’ della subordinazione, tra cui:

* La presenza costante e quotidiana in autofficina per 15 anni.
* L’osservanza di un orario di lavoro coincidente con l’apertura al pubblico.
* L’eterodirezione nelle modalità, tempo e luogo della prestazione.
* La totale assenza di autonomia organizzativa e di potere di auto-organizzazione.
* Lo svolgimento di mansioni riconducibili a un preciso profilo professionale.
* La corresponsione di un compenso a cadenze fisse, più compatibile con una retribuzione che con la partecipazione agli utili d’impresa.

Di fronte a questi elementi concreti, l’atto costitutivo dell’impresa familiare è stato ritenuto un mero schermo formale, non supportato da alcun indizio che provasse una reale collaborazione familiare.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nel diritto del lavoro, i fatti prevalgono sempre sulle etichette formali. Un contratto, anche se redatto nella forma solenne dell’atto pubblico, non può mascherare la realtà di un rapporto di lavoro subordinato. Per i datori di lavoro, ciò significa che l’adozione di schemi contrattuali come l’impresa familiare deve corrispondere a una reale e concreta modalità di collaborazione, altrimenti il rischio è quello di vedersi contestare la vera natura del rapporto con tutte le conseguenze economiche che ne derivano. Per i lavoratori, invece, questa decisione conferma la possibilità di ottenere tutela quando la forma contrattuale non rispecchia la sostanza del loro lavoro quotidiano.

Un atto notarile che costituisce un’impresa familiare è sufficiente a escludere il lavoro subordinato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’atto notarile fa piena prova solo delle dichiarazioni rese dalle parti, ma non impedisce al giudice di accertare che la natura reale del rapporto sia quella di lavoro subordinato, basandosi sulle effettive modalità di svolgimento della prestazione.

Cosa prevale tra il nome dato al contratto (nomen iuris) e le reali modalità di svolgimento del lavoro?
Prevalgono sempre le reali modalità di svolgimento del lavoro. Il giudice non è vincolato dalla qualificazione data dalle parti e deve indagare la vera natura del rapporto basandosi su elementi concreti, come l’esistenza del potere direttivo del datore di lavoro e la mancanza di autonomia del prestatore.

Quali sono gli elementi che dimostrano l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato?
La sentenza evidenzia diversi elementi, tra cui: la presenza costante sul luogo di lavoro, l’osservanza di un orario fisso, l’eterodirezione (cioè il fatto di ricevere ordini e direttive), l’assenza di autonomia organizzativa, lo svolgimento di mansioni specifiche e la percezione di un compenso fisso e periodico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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