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Impossibilità sopravvenuta e stipendio nel lockdown

La Corte di Cassazione ha stabilito che un datore di lavoro del settore aereo, impossibilitato a ricevere la prestazione lavorativa a causa del lockdown per COVID-19, non è tenuto a corrispondere la retribuzione. Questo principio si applica quando l’impossibilità sopravvenuta non è imputabile all’azienda, la quale era legalmente esclusa dagli ammortizzatori sociali ordinari previsti per l’emergenza. La Corte ha chiarito che la sospensione dell’attività per ordine dell’autorità (‘factum principis’) determina una quiescenza del rapporto di lavoro, sospendendo l’obbligo di retribuzione.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Impossibilità Sopravvenuta e Lockdown: Quando il Datore di Lavoro Non Paga lo Stipendio

La pandemia di COVID-19 ha sollevato questioni legali senza precedenti, specialmente nel diritto del lavoro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale: il diritto alla retribuzione quando la prestazione lavorativa è impedita da un ordine governativo. Il caso analizzato riguarda l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a causa del lockdown e chiarisce i limiti della responsabilità del datore di lavoro, in particolare quando non può accedere agli ammortizzatori sociali.

I Fatti del Caso: La Sospensione dell’Attività Aeroportuale

Un dipendente di una società di handling aeroportuale, impiegato presso lo scalo di Linate, si è visto sospendere l’attività lavorativa a metà marzo 2020 a causa della chiusura dell’aeroporto disposta dal Governo per l’emergenza sanitaria. La società datrice di lavoro ha trattenuto dalla sua busta paga una somma corrispondente a circa una settimana di lavoro, qualificandola come ‘permessi non retribuiti’.

Ritenendo illegittima la trattenuta, il lavoratore ha citato in giudizio l’azienda per ottenere il pagamento della somma. La sua tesi si basava sul fatto che l’impossibilità di lavorare non dipendeva da lui, ma da un evento esterno.

Il Percorso Giudiziario: Due Decisioni Ribaltate

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore. I giudici di merito hanno sostenuto che l’azienda avesse gestito male la situazione (‘malgoverno degli strumenti’), omettendo di ricorrere agli ammortizzatori sociali specifici, come la Cassa Integrazione (CIG) per emergenza COVID-19, previsti dal decreto ‘Cura Italia’ (d.l. n. 18/2020). Secondo le corti territoriali, la società avrebbe dovuto attivare tali strumenti per tutelare il reddito del dipendente, anziché porlo arbitrariamente in permesso non retribuito.

Le Motivazioni della Cassazione: Impossibilità Sopravvenuta e Strumenti di Tutela

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente le decisioni precedenti, accogliendo il ricorso dell’azienda. La motivazione si fonda su un’analisi rigorosa della normativa applicabile al settore del trasporto aereo e dei principi generali del diritto civile.

L’Inapplicabilità della CIG Ordinaria al Settore Aereo

Il punto centrale della decisione è che, per legge (d.lgs. n. 148/2015), le imprese del trasporto aereo sono escluse dal campo di applicazione della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO). Di conseguenza, erano escluse anche dalla CIG speciale per COVID-19 introdotta dall’art. 19 del decreto ‘Cura Italia’, che era una causale aggiuntiva della CIGO. L’unica opzione per l’azienda era la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS), la cui attivazione richiedeva però un accordo con le organizzazioni sindacali. Nel caso di specie, tale accordo non era stato raggiunto, un fatto non imputabile al datore di lavoro.

L’applicazione del principio di impossibilità sopravvenuta

La Cassazione ha chiarito che la situazione rientrava in una classica ipotesi di impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione per factum principis (un ordine dell’autorità). Questa impossibilità non era colpa né del lavoratore né del datore di lavoro. In base al principio di corrispettività che regola i contratti di lavoro, se la prestazione lavorativa diventa impossibile, viene meno anche l’obbligo del datore di pagare la retribuzione. Il rapporto di lavoro entra in uno stato di ‘quiescenza’, in cui le obbligazioni principali (lavorare e pagare) sono reciprocamente sospese.

La Corte ha inoltre specificato che la dicitura ‘permessi non retribuiti’ sulla busta paga era irrilevante. Il vero nodo della questione non era la correttezza formale della trattenuta, ma l’esistenza stessa del diritto del lavoratore alla retribuzione in quei giorni di inattività forzata.

Conclusioni: Le Implicazioni per Datori di Lavoro e Lavoratori

La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale per gestire le crisi aziendali causate da eventi esterni e imprevedibili. Il datore di lavoro non è tenuto a pagare lo stipendio se la prestazione lavorativa è resa impossibile da un ordine dell’autorità e se non ha accesso a strumenti di sostegno al reddito per cause oggettive o normative.

Questa decisione sottolinea l’importanza di analizzare attentamente il quadro normativo specifico di ogni settore prima di determinare le responsabilità aziendali. Un’azienda non può essere accusata di ‘malgoverno’ se era legalmente impossibilitata a utilizzare gli ammortizzatori sociali che i giudici di merito ritenevano applicabili. Per i lavoratori, la sentenza chiarisce che il diritto alla retribuzione è strettamente legato all’effettiva possibilità di eseguire la prestazione lavorativa, salvo l’intervento di specifiche tutele sociali.

Se il lavoro diventa impossibile a causa di un ordine del governo (lockdown), il lavoratore ha comunque diritto allo stipendio?
No. Secondo la Cassazione, in caso di impossibilità sopravvenuta temporanea non imputabile a nessuna delle parti, il rapporto di lavoro è sospeso. Di conseguenza, viene meno sia l’obbligo di lavorare sia il diritto alla retribuzione.

Il datore di lavoro è sempre responsabile se non attiva la Cassa Integrazione per i dipendenti durante una crisi?
No, non sempre. La Corte ha chiarito che il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile se era legalmente escluso da una specifica forma di Cassa Integrazione (come in questo caso dal settore aereo per la CIG ordinaria COVID-19) e se l’unica altra opzione fallisce per cause non a lui imputabili (come il mancato accordo sindacale).

L’indicazione ‘permesso non retribuito’ in busta paga è sufficiente a giustificare una trattenuta sullo stipendio in queste circostanze?
No, l’indicazione in busta paga è irrilevante. Ciò che conta è stabilire se il lavoratore avesse o meno diritto alla retribuzione in quei giorni. La Corte ha specificato che il datore di lavoro doveva dimostrare l’esistenza di una causa di impossibilità della prestazione lavorativa, non la correttezza del titolo usato per la trattenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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