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Grave ed irreparabile danno: quando non si sospende

Un ricorrente ha richiesto la sospensione dell’esecuzione di una sentenza, sostenendo che gli avrebbe causato un grave ed irreparabile danno data la sua precaria situazione economica. La Corte di Appello di Roma ha respinto l’istanza, motivando che l’assenza stessa di beni pignorabili (ad eccezione di beni di valore nullo e di un assegno sociale impignorabile) rende impossibile il verificarsi di tale danno, in quanto l’azione esecutiva del creditore sarebbe comunque infruttuosa.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Grave ed irreparabile danno: sospensione negata se non ci sono beni da pignorare

Quando si può bloccare l’esecuzione di una sentenza in attesa del giudizio definitivo della Cassazione? La legge richiede la prova di un grave ed irreparabile danno. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Appello di Roma chiarisce un aspetto cruciale: se il debitore non possiede beni pignorabili, il presupposto del danno viene meno. Analizziamo questa interessante decisione.

I Fatti di Causa: Il Ricorso per la Sospensione

Il caso nasce dalla richiesta di un debitore (il ricorrente) di sospendere l’esecutività di una sentenza di condanna emessa nei suoi confronti. A fondamento della sua istanza, presentata ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, il ricorrente documentava di aver già impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione.

La sua argomentazione principale si basava sulla sussistenza di un grave ed irreparabile danno che l’esecuzione immediata della sentenza gli avrebbe causato. Nello specifico, il debitore sosteneva di versare in condizioni economiche estremamente disagiate, tali da non poter fronteggiare l’azione esecutiva. Egli dichiarava di possedere unicamente due autovetture molto datate, di valore commerciale quasi nullo, e di essere titolare di un assegno sociale, prestazione assistenziale per legge impignorabile.

L’assenza del grave ed irreparabile danno secondo la Corte

La Corte di Appello ha rigettato l’istanza, sviluppando un ragionamento tanto logico quanto rigoroso. I giudici hanno smontato la tesi del ricorrente, evidenziando una contraddizione di fondo nel suo stesso argomento.

L’insussistenza del Pericolo Concreto

Il fulcro della decisione risiede in una semplice constatazione: il grave ed irreparabile danno non può esistere se manca la possibilità concreta che l’esecuzione abbia successo. Il ricorrente, nel tentativo di dimostrare la propria vulnerabilità, ha di fatto provato l’inutilità di qualsiasi azione esecutiva nei suoi confronti. Se, come da lui stesso ammesso, non possiede beni pignorabili di alcun valore, il creditore non potrebbe ricavare nulla dall’esecuzione forzata. Di conseguenza, il pericolo che il debitore lamenta è puramente ipotetico e non concreto.

La Protezione dall’Azione Esecutiva

La Corte ha inoltre sottolineato che l’assegno sociale è una prestazione assistenziale totalmente impignorabile. Questo significa che il debitore non corre nemmeno il rischio di subire una decurtazione del proprio minimo vitale, neanche nella misura di un quinto. La legge stessa lo protegge da questo tipo di aggressione patrimoniale. Pertanto, l’argomento secondo cui non potrebbe far fronte alle esigenze minimali di sostentamento è stato ritenuto infondato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si basano su un’interpretazione stringente del concetto di danno. Per ottenere la sospensione, non è sufficiente allegare una generica difficoltà economica. È necessario dimostrare che l’azione del creditore provocherebbe un pregiudizio che non potrebbe essere risarcito in futuro, qualora la Cassazione dovesse dare ragione al debitore. In questo caso, il “danno” non può verificarsi proprio perché il patrimonio del debitore è già al riparo da azioni esecutive efficaci. I giudici hanno anche respinto l’ipotesi di una sproporzione eccezionale tra il vantaggio del creditore e il pregiudizio del debitore, notando che il ricorrente non ha dimostrato di svolgere alcuna attività d’impresa che potrebbe essere compromessa dall’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale.

Le Conclusioni

L’ordinanza offre un’importante lezione pratica: la tutela prevista dall’art. 373 c.p.c. è finalizzata a prevenire un danno reale e concreto, non a certificare uno stato di indigenza. Paradossalmente, è proprio la totale assenza di patrimonio aggredibile a rendere l’istanza di sospensione infondata. La decisione riafferma che il requisito del grave ed irreparabile danno deve essere provato in concreto e non può derivare da una situazione in cui l’esecuzione, per sua natura, sarebbe destinata a fallire.

Quando si può chiedere la sospensione dell’esecuzione di una sentenza impugnata in Cassazione?
La sospensione può essere richiesta, ai sensi dell’art. 373 c.p.c., quando dall’esecuzione della sentenza possa derivare un “grave ed irreparabile danno” per la parte che ha proposto il ricorso.

La sola condizione di difficoltà economica è sufficiente a dimostrare il grave ed irreparabile danno?
No. Secondo questa ordinanza, se la difficoltà economica si traduce nella totale assenza di beni pignorabili, il presupposto del danno viene meno, poiché il creditore non potrebbe comunque eseguire con successo la sentenza.

L’assegno sociale può essere pignorato per soddisfare un debito?
No, il provvedimento ribadisce che l’assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale e, come tale, non è pignorabile in alcuna misura, neanche nei limiti del quinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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