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Giusta causa licenziamento: quando la tolleranza la esclude

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società che aveva licenziato un dirigente per presunte irregolarità contabili. La decisione si fonda sul principio che la tolleranza prolungata del datore di lavoro verso il comportamento del dipendente esclude la sussistenza della giusta causa di licenziamento. Se l’azienda, pur a conoscenza dei fatti, mantiene il lavoratore in servizio e continua a basarsi sui documenti contestati, non può poi invocare la gravità di tali fatti per giustificare un recesso immediato. Anche il ricorso del lavoratore è stato respinto per motivi procedurali.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Giusta Causa di Licenziamento: Se l’Azienda Tollerava, Non Può Licenziare

Il concetto di giusta causa di licenziamento rappresenta uno dei pilastri del diritto del lavoro, delineando quelle situazioni di gravità tale da rompere irrimediabilmente il legame di fiducia tra datore e lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, tuttavia, introduce un elemento cruciale: il comportamento del datore di lavoro stesso. Se l’azienda tollera per anni una condotta potenzialmente illecita, può poi legittimamente licenziare il dipendente per quella stessa condotta? La risposta della Suprema Corte è un chiaro no, come vedremo analizzando questo interessante caso.

I Fatti del Caso: Il Licenziamento del Dirigente

La vicenda giudiziaria ha origine dal licenziamento di un dirigente da parte di un’importante azienda del settore nautico. La società contestava al manager comportamenti di rilevanza penale, tra cui false comunicazioni sociali e truffa, che avrebbero portato a un ingiustificato profitto per il lavoratore attraverso un incremento del bonus aziendale. Secondo l’azienda, tali condotte integravano una giusta causa di licenziamento.

La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva escluso la giusta causa, condannando la società a corrispondere al dirigente un’ingente indennità per il mancato preavviso. Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la gravità dei fatti dovesse prevalere. Parallelamente, anche il lavoratore ha presentato un ricorso incidentale per altri motivi.

La Decisione della Corte e il Principio della Tolleranza del Datore

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione dei giudici di merito. Il punto centrale della pronuncia risiede nell’analisi del comportamento tenuto dalla società stessa.

L’Esclusione della Giusta Causa di Licenziamento per Tolleranza

I giudici hanno evidenziato una contraddizione fondamentale nell’atteggiamento dell’azienda. Nonostante le presunte irregolarità, la società aveva:

1. Mantenuto il dirigente in servizio anche dopo essere venuta a conoscenza dei fatti.
2. Continuato ad avvalersi delle scritture contabili e dei bilanci, asseritamente falsi, per gli anni successivi, senza mai modificarli e anzi confermandone le risultanze.

Questo comportamento dimostra, secondo la Corte, una sostanziale tolleranza verso le azioni del dirigente, un’acquiescenza che svuota di contenuto la successiva contestazione disciplinare. In pratica, se il datore di lavoro non reagisce tempestivamente a un comportamento grave e, anzi, continua a trarne vantaggio o comunque a operare come se nulla fosse, perde il diritto di invocarlo successivamente come motivo per un licenziamento in tronco.

La Responsabilità della Società per le Azioni degli Amministratori

La Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva della società secondo cui la tolleranza degli amministratori non dovrebbe impegnare l’ente nel suo complesso. Al contrario, è stato ribadito che la condotta degli amministratori impegna pienamente la società nei confronti dei terzi, categoria nella quale rientrano anche i dipendenti.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio di coerenza e buona fede. Non è ammissibile che un’azienda possa ‘congelare’ una contestazione disciplinare, mantenendo inalterato il rapporto di lavoro per propria convenienza, per poi ‘rispolverarla’ al momento opportuno per giustificare un licenziamento. La fiducia, elemento cardine del rapporto di lavoro, si considera non più lesa in modo irreparabile se il datore stesso, con i suoi atti concludenti, dimostra di ritenerla ancora sussistente.

Per quanto riguarda il ricorso del lavoratore, i suoi motivi sono stati dichiarati inammissibili per ragioni prettamente procedurali: uno perché sollevava una questione completamente nuova in sede di legittimità, l’altro perché contestava una valutazione di merito (la ‘tardività’ del licenziamento) non più censurabile in Cassazione nei termini proposti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante insegnamento per le aziende. La gestione delle procedure disciplinari richiede non solo rigore, ma anche e soprattutto coerenza e tempestività. Tollerare un comportamento scorretto di un dipendente, magari per non turbare gli equilibri aziendali o per altre ragioni di opportunità, può precludere la possibilità di un successivo licenziamento per giusta causa di licenziamento basato su quegli stessi fatti. La decisione conferma che il rapporto di lavoro è governato dal principio di buona fede, che impone a entrambe le parti di agire in modo trasparente e consequenziale alle proprie valutazioni.

Può un’azienda licenziare per giusta causa un dipendente per un comportamento che ha tollerato per lungo tempo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il datore di lavoro, pur a conoscenza dei fatti, mantiene il lavoratore in servizio e continua a basarsi sui documenti contestati, dimostra una tolleranza che esclude la sussistenza della giusta causa di licenziamento.

Le azioni degli amministratori che tollerano un illecito impegnano la società nei confronti di un dipendente?
Sì. La Corte ha affermato che la condotta degli amministratori impegna la società ai fini giuridici nei confronti dei terzi, una categoria che include anche i dipendenti. La tolleranza manifestata dagli organi apicali si riflette quindi sulla posizione dell’intera azienda.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione una questione nuova, non discussa nei precedenti gradi di giudizio?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo del ricorso del lavoratore proprio perché proponeva una questione nuova, non sollevata nei precedenti gradi di giudizio, confermando il principio che vieta di ampliare il tema della controversia in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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