Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24187 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24187 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12219-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– resistenti con mandato –
avverso la sentenza n. 4810/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 02/11/2021 R.G.N. 343/2020;
R.G.N. 12219NUMERO_DOCUMENTO2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l’obbligo di iscrizione dell’avvocato, odierno ricorrente, alla Gestione Separata per i redditi prodotti nell’anno 2011 e, per l’effetto, ha rigettato la domanda di accertamento negativo dell’obbligo di versamento della somma di euro 760,39 a titolo di «contributi previdenziali»;
2. richiamati i principi della Corte di legittimità, i giudici di merito hanno osservato come l’obbligo contributivo non potesse escludersi solo perché, in relazione all’anno di riferimento, il reddito imponibile fosse inferiore ad euro 5000,00. Nello specifico, da un lato, l’abitualità della professione «non e(ra) stata contestata dall’opposto (recte : dall’appellato)» e, dall’altro, lo stesso risultava iscritto all’albo professionale ed era titolare di partita IVA;
3. ha proposto ricorso per cassazione la parte in epigrafe, con due motivi; l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha depositato procura speciale, senza svolgere attività difensiva;
4. il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in Camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
5. con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 25 e 26, della legge nr. 335 del 1995. È denunciata l’erronea interpretazione della disciplina privatistica degli iscritti agli ordini professionali;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 44, comma 2, del D.L. nr. 269 del 2003, conv. in legge nr. 326 del 2004. È censurata la statuizione di sussistenza dell’obbligo di contribuzione, pur in presenza di un reddito inferiore ad euro 5000,00 e con un accertamento della «abitualità» non conforme ai principi della Corte;
i due motivi, strettamente connessi, vanno congiuntamente esaminati e sono infondati;
questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. nr. 4419 del 2021; nr. 12419 del 2021; nr. 12358 del 2021 e numerosissime successive conformi);
a chiarimento del principio espresso, ha poi precisato che «la produzione di un reddito superiore alla soglia citata vale a privare di rilievo ogni questione circa la natura abituale o occasionale dell’attività libero-professionale da assoggettare a contribuzione, dal momento che il superamento della soglia di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44 cit., determina comunque la sottoposizione all’obbligo di contribuzione in favore della Gestione separata»(in ultimo, Cass. nr. 11535 del 2024, in motiv., punto 13, sulla scia di Cass. nr. 29272 del 2022, in motivazione, p. 17);
nei casi, invece, in cui resta necessario l’accertamento del carattere abituale dell’attività professionale «il Giudice di merito si avvarrà delle presunzioni semplici ricavabili, ad esempio, dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, mentre la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a Euro 5.000,00 potrà semmai rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità» (tra le tantissime, Cass. nr. 4152 del 2023, con richiamo, in motivazione, a Cass. nr. 7231 del 2021), senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo, trattandosi «pur sempre di forme di praesumptio hominis , che non impongono all’interprete conclusioni indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al fatto ignoto da quello noto» (Cass. n. 4419 del 2021 cit.);
diversamente da quanto denunciato, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di questa Corte, procedendo all’accertamento di abitualità dello svolgimento della professione con valutazioni di elementi non ritualmente censurati in questa sede. I giudici territoriali hanno valorizzato, in uno alla iscrizione all’Albo professionale e alla apertura della partita IVA, anche la «non contestazione dell’abitualità». Da tali elementi, unitariamente valutati e non adeguatamente censurati in questa sede, si è tratto il convincimento di non occasionalità dello svolgimento della professione forense;
inammissibili sono, in particolare, le censure che investono il giudizio di non contestazione, non essendo trascritto il contenuto degli atti processuali da cui dovrebbe
desumersi l’inesatta applicazione del meccanismo di non contestazione (perché fondato non su fatti ma su circostanze che implicano un’attività di giudizio). Il difetto di autosufficienza del ricorso, per analoghe carenze, è peraltro rilevato anche da Cass. nr. 23530 del 2021 che il ricorrente invoca a fondamento delle difese;
con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.è dedotta la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., per non essersi la Corte di appello pronunciata sull’eccezione di prescrizione, riproposta in sede di impugnazione;
il terzo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
la sentenza di appello non si pronuncia sulla questione in oggetto. È ben noto che, in materia contributiva, la prescrizione può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione però che i fatti rilevanti siano stati ritualmente introdotti in giudizio;
il motivo di ricorso incontra, allora, gli stessi limiti sopra evidenziati, perché non trascrive in modo specifico gli atti del giudizio di merito, sulla cui base sarebbe sorto l’obbligo del Giudice di pronunciare sulla prescrizione, eventualmente anche d’ufficio;
costituisce, infatti, principio della Corte quello per cui il requisito imposto dall’art. 366, comma 1, nr. 6 cod. proc. civ., deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto ai quali la Corte è giudice del «fatto processuale», perché l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass., sez. un., nr. 8077 del 2012);
18. è pur vero che, secondo il più recente orientamento nomofilattico, l’autosufficienza del ricorso, corollario del requisito di specificità dei motivi, deve essere interpretato in maniera elastica (tra le altre Cass. nr. 11325 del 2023), in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte- oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, nr. 6 cod.proc.civ., come novellato dal D.Lgs. nr. 149 del 2022 – e alla luce dei principi stabiliti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (Succi e altri c. Italia), che lo ha ritenuto compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass. nr. 12481 del 2022);
a giudizio, tuttavia, del Collegio, nella specie, il solo contenuto del motivo, anche alla luce della breve esposizione sommaria dei fatti di causa che li precede, non consente al Collegio una chiara e completa cognizione del fatto processuale e del fatto sostanziale che ha originato la controversia, indispensabile, invece, ad apprezzare la decisività delle censure;
20. il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato;
nulla deve pronunciarsi in merito alle spese del presente giudizio, per difetto di sostanziale attività difensiva da parte dell’ Ente intimato;
sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento del doppio contributo, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. nr. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 aprile