Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13174 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13174 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9707-2020 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.;
Oggetto
Gestione separata avvocati
Prescrizione e sanzioni
R.G.N.9707/2020
COGNOME
Rep.
Ud.15/01/2025
CC
– intimata –
avverso la sentenza n. 79/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 05/09/2019 R.G.N. 72/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Potenza ha accolto il gravame proposto da INPS e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’originaria domanda di NOME volta a conseguire, in opposizione alla richiesta di pagamento, l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la propria iscrizione alla Gestione Separata con riferimento all’anno 2010 e l’annullamento del conseguente obbligo di versamento contributivo.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che il termine di prescrizione quinquennale del credito azionato decorrente dallo spirare dei termini per la dichiarazione dei redditi, corrispondente al 30 settembre dell’anno successivo a quello di competenza, fosse stato validamente interrotto dalla opposta nota di diffida di versamento inviata il 22/6/16 e ricevuta dall’interessata il 1/7/2016 e che, in linea con precedenti pronunce di merito e di legittimità rese in riferimento a richieste contributive per altre libere professioni, ha ritenuto, in linea con il principio di universalizzazione delle tutele, la sussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata presso l’INPS degli avvocati che abbiano percepito un reddito derivante dall’esercizio abituale (anche se non esclusivo) ma anche occasionale, ancorché non iscritti obbligatoriamente alla Cassa di previdenza forense alla quale abbiano versato esclusivamente un contributo integrativo in quanto iscritti agli albi, cui non
consegue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio.
Ricorre per cassazione il professionista avvocato deducendo tre motivi, illustrati in memoria depositata in prossimità dell’udienza camerale, cui INPS resiste con controricorso.
Il ricorso è stato discusso nell’Adunanza del 15 gennaio 2025 e, all’esito della camera di consiglio è stato deciso con riserva di deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 commi 25 e 26 della L. n.335/95 ed art. 18 L.111/2011 per avere la Corte di merito ritenuto sussistente l’ obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS nonostante fosse iscritta al proprio albo professionale per l’esercizio dell’attività libero professionale con titolarità di partita Iva e, in quanto iscritta alla Cassa forense, abbia anche versato quanto obbligatoriamente da questa richiesto a titolo di contributo integrativo, per ogni anno contributivo in base al proprio statuto e ordinamento; lamenta anche di essere stata iscritta con decorrenza dall’aprile 1997 allorquando aveva appena 17 anni di età e di aver versato quanto indicato nell’avviso di addebito, determinato in ragione del reddito prodotto per l’anno 2010 pari ad euro 3.409,00, a seguito della sentenza in questa sede impugnata.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. per erronea interpretazione della disciplina sulla prescrizione, dovendosi individuare il momento di decorrenza della prescrizione del credito per il versamento dei
contributi con la scadenza del termine per il loro pagamento, avendo la ricorrente aderito al regime dei minimi estraneo all’applicazione degli studi di settore per i quali il DPCM, non avente forza di legge in quanto atto amministrativo, aveva previsto il differimento del predetto termine.
Come ultimo motivo, in caso di mancato accoglimento dei primi motivi, chiede di voler cassare la richiesta previdenziale dagli accessori applicati nell’avviso bonario, ossia sanzioni e interessi, per l’incertezza che connota i contrastanti orientamenti sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo, non sussistendo alcuna volontà di occultamento ed eccependo l’erronea quantificazione della sanzione irrogata, superiore ai limiti dell’art. 116 co.8 lett. b) della L. n.388/2000. Nella memoria illustrativa si riporta alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 104/2022 per l’annullamento della sanzione.
I primi due motivi di ricorso sono infondati; per contro va accolta la domanda subordinata in presenza di una sopravvenienza dichiarativa di illegittimità costituzionale del regime sanzionatorio applicato, nel senso che si dirà in seguito.
Questa Corte ha costantemente affermato il seguente principio di diritto, al quale si è adeguata la sentenza impugnata, secondo il quale: gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attività libero professionale priva del carattere dell’abitualità, non hanno -secondo la disciplina vigente “ratione temporis”, antecedente l’introduzione dell’automatismo della iscrizione- l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all’albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad
iscriversi alla gestione separata presso l’INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa; ad essa è funzionale la disposizione di cui all’art. 2, co.26, della L. n. 335 del 1995, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale (in tal senso, sent. n.24047/2022 ed altre pronunce conformi ivi richiamate, ex multis, Cass. n.30344/2017, n.32167/2018, n. 3799/2019).
5.1- Né al riguardo è rilevante il richiamo, operato dalla ricorrente, alla disposizione dell’art. 44 co.2, sesto periodo del d.l. 269/2003 conv. in L. 326/2003, che esclude dagli obblighi di iscrizione e contribuzione i lavoratori autonomi occasionali che percepiscano un reddito annuo derivante da tali attività sino a 5mila euro; questa Corte ha già escluso che la soglia indicata sia una fascia di esenzione della contribuzione applicabile in ogni caso, costituendo invece solo uno dei tanti parametri utilizzabili per la verifica dell’abitualità (o dell’assenza dell’abitualità) dell’esercizio dell’attività professionale (cfr. ord. n. 28644/2024 e n. 6400/2025).
Riguardo al secondo motivo di ricorso, in ordine all’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, questa Corte (come rammenta di recente l’ord. n.28729/24) ha chiarito che, sebbene lo stesso decorra dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, ex multis, Cass. nr. 27950 del 2018; Cass. nr. 19403 del 2019; Cass. nr. 1557 del 2020 e, più di recente, Cass. nr.4898 del 2022, e Cass. nr. 5578 del 2022), ai fini della sua decorrenza, assume rilievo anche il
differimento dei termini stessi, quale quello previsto, senza alcuna maggiorazione, dalle disposizioni dei D.P.C.M. che, tempo per tempo, hanno stabilito lo slittamento dei termini di pagamento (così Cass. nr. 10273 del 2021, con riferimento al D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2009, e plurime pronunce successive conformi). L’art. 12, comma 5, del D.Lgs. nr. 241 del 1997, infatti, devolve ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) la possibilità di modificare i termini riguardanti gli adempimenti dei contribuenti relativi a imposte e contributi. Il D.P.C.M. concorre, dunque, ad attuare e integrare le previsioni del D.Lgs. e, pertanto, considerato nelle sue interrelazioni e in una prospettiva sostanziale, ha natura regolamentare e rango di fonte normativa (tra le tante, Cass. nr. 32685 del 2022, punti 3.2 e ss., con i richiami ivi effettuati). La Corte si è occupata anche di definire il perimetro di applicazione del differimento. Ha chiarito, quanto alla «latitudine soggettiva del differimento», che ne beneficiano tutti i «contribuenti che esercitano attività economiche per le quali s(iano) stati elaborati gli studi di settore e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi (siano) fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione » (Cass. nr.10273 del 2021 e successive conformi). Ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo dello svolgimento di un’attività economica riconducibile tra quelle per le quali siano stati elaborati studi di settore e non la condizione soggettiva del singolo professionista di effettiva sottoposizione al regime fiscale derivante dall’adesione alle risultanze degli studi medesimi (Cass. nr. 24668 del 2022; nello stesso senso, fra le molte, Cass. nr. 32682 del 2022, punto 4.4.; Cass. nr. 10286 del 2023, punto 11).
6.1- La sentenza impugnata, nel far decorrere la prescrizione dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi e nel ritenere che il termine di durata sia stato interrotto dalla ricezione dell’avviso di pagamento del 1/7/2016, ha, quindi, erroneamente interpretato la normativa di riferimento, non considerando, come avrebbe dovuto, sia la corretta decorrenza dalla data di scadenza dell’obbligo di versamento al 16/6/2011, sia il termine di proroga di tale scadenza previsto dal D.P.C.M. del 12/5/2011 che aveva stabilito lo slittamento del termine per effettuare il versamento dei contributi al 6 luglio 2011 (contemplato anche in circolare INPS n.84/11). Si sarebbe dovuto valutare , dunque, la tempestività dell’iniziativa dell’INPS, intervenuta prima della scadenza del quinquennio di prescrizione decorrente dal 6/7/2011.
Non è di ostacolo al predetto rilievo il fatto che le censure dell’INPS non investano ex professo l’identificazione del dies a quo della prescrizione del diritto di credito ai contributi per i redditi prodotti nel 2010, ponendo solo un profilo di sospensione della prescrizione. Vale, infatti, il principio per cui « una volta che la sentenza d’appello sia stata impugnata per violazione della disciplina sulla sospensione della prescrizione (nella specie, con riguardo all’occultamento doloso del debito contributivo, ai sensi dell’art. 2941, comma 1, nr. 8 cod.civ.), l’intera fattispecie della prescrizione, anche con riguardo alla decorrenza del dies a quo, rimane sub iudice e rientra, pertanto, nei poteri del giudice di legittimità valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione del termine iniziale della prescrizione, in quanto aspetto logicamente preliminare rispetto alla sospensione dedotta con il ricorso » (Cass. nr. 32683 del 2022; ex multis, tra le successive, Cass. nr. 25684 del 2023). In altre parole, l’impugnazione del
profilo della sospensione mantiene viva e controversa la questione del dies a quo della prescrizione. In questi termini, consegue il complessivo rigetto delle censure di cui ai motivi di ricorso; si precisa che quanto al rigetto dell’eccezione di prescrizione, la decisione impugnata è conforme al diritto, benché se ne debba correggere la motivazione (art. 384, quarto comma, c.p.c .): la Corte di merito, pertanto, nell’escludere il compimento della prescrizione, perviene a conclusioni corrette, per quanto il percorso argomentativo, nel richiamare la presentazione della dichiarazione dei redditi, debba essere emendato nei termini appena esposti.
8. Sgombrato il campo dalla questione della prescrizione, si deve osservare che, nelle more del giudizio, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 104 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale « dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore ». Il legislatore, pur fissando legittim amente, con l’art. 18, comma 12, del decreto -legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, un precetto normativo già desumibile dalla disposizione interpretata dell’art. 2, comma 26, della legge n.
335 del 1995, « avrebbe dovuto comunque tener conto, in questa particolare fattispecie, di tale già insorto affidamento in una diversa interpretazione; ciò, peraltro, in sintonia con un criterio destinato ad affermarsi nell’ordinamento previdenziale » (punto 9.2. del Considerato in diritto).
8.1Per effetto della declaratoria d’illegittimità costituzionale, la disciplina delle sanzioni cessa di applicarsi al caso di specie, in cui si controverte su una annualità (2010) antecedente alla legge d’interpretazione autentica del 2011 (in termini, Cass. n.17970/22). Né (come osservato nella recente ord. n. 10892 del 2025), si frappone il limite dei rapporti esauriti, indiscutibili per effetto del formarsi del giudicato e dunque idonei a precludere quell’efficacia retroattiva della pronuncia di accoglimento che rappresenta caposaldo del sistema di giustizia costituzionale e ne salvaguarda l’effettività. La contestazione radicale del debito contributivo impedisce il formarsi del giudicato e dunque il consolidarsi del rapporto controverso (Cass., sez. lav., 1/8/2024, n.21685, punto 7 delle Ragioni della decisione) anche con riferimento al profilo più circoscritto delle sanzioni applicabili e alle relative statuizioni, legate a quelle specificamente censurate dal vincolo di stretta consequenzialità (Cass., sez. lav., 4/9/2023, n.25653, punto 20 del Considerato). Pertanto, nel presente giudizio, l’inefficacia della norma dichiarata costituzionalmente illegittima (art. 136, primo comma, Cost.) è coerente con i princìpi generali che presiedono alla funzione giurisdizionale di legittimità e la vincolano alle censure espresse con i motivi di ricorso e all’osservanza del divieto di reformatio in peius (Cass., sez. lav., 24/6/2022, n. 20446), così impedendo che, della pronuncia di accoglimento,
possa giovarsi quella parte che non abbia messo ritualmente in discussione il rapporto sostanziale su cui tale pronuncia incide.
Entro questi limiti, con esclusivo riguardo alle implicazioni sanzionatorie dell’obbligo contributivo, devono essere accolte le censure della ricorrente. La sentenza d’appello è cassata, dunque, per quanto di ragione; e poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando che nulla è dovuto per sanzioni civili sui contributi attinenti all’anno 2010.
La necessità di procedere alla correzione della motivazione e la complessità delle questioni dibattute, che solo in epoca recente, con la pronuncia della Corte costituzionale, hanno trovato un assetto definitivo, inducono a compensare le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo motivo di ricorso, respinti i primi due, e decidendo nel merito, cassa la sentenza impugnata nella parte relativa all’applicazione delle sanzioni e dichiara che nulla è dovuto per sanzioni in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2010.
Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta