LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Fotoreporter subordinato: Cassazione chiarisce

Un fotoreporter ha lavorato per quasi vent’anni per un quotidiano, emettendo fatture. Dopo aver chiesto il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, i tribunali di primo e secondo grado hanno respinto la sua domanda. La Corte di Cassazione, invece, ha ribaltato la decisione, affermando che un fotoreporter è subordinato se inserito stabilmente nell’organizzazione aziendale, con turni e incarichi fissi, anche se non lavora in esclusiva e possiede un proprio studio. La sostanza del rapporto prevale sulla forma.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Fotoreporter subordinato: quando la continuità batte la Partita IVA

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 26466/2024 affronta un tema cruciale nel mondo del lavoro giornalistico e creativo: la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato. Il caso riguarda un fotoreporter subordinato che, nonostante operasse formalmente come freelance per quasi vent’anni, è stato riconosciuto tale per il suo stabile inserimento nell’organizzazione del quotidiano. Questa decisione sottolinea come la realtà operativa prevalga sugli accordi formali.

I fatti di causa

Un fotografo ha collaborato con un noto quotidiano locale dall’aprile 1986 all’ottobre 2004. Durante questo lungo periodo, ha documentato eventi di cronaca, fornendo le immagini per gli articoli. Formalmente, il rapporto era inquadrato come lavoro autonomo: il professionista era titolare di una ditta individuale, emetteva fatture e possedeva un proprio studio fotografico.
Al termine del rapporto, il fotografo ha agito in giudizio chiedendo che venisse accertata la natura subordinata del suo lavoro, con la qualifica di “redattore con trenta mesi di anzianità” e il conseguente pagamento di significative differenze retributive e contributive.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la domanda del fotografo. I giudici hanno ritenuto prevalenti gli indici del lavoro autonomo: la titolarità di una ditta individuale, la disponibilità di uno studio privato, la collaborazione con altri committenti e la mancata contestazione dello status di autonomo per tutta la durata del rapporto. Secondo le corti territoriali, questi elementi erano sufficienti a qualificare il rapporto come una serie di prestazioni autonome, escludendo il vincolo di subordinazione.

L’analisi della Cassazione sul fotoreporter subordinato

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del fotografo, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici supremi hanno censurato l’approccio delle corti di merito, accusandole di aver dato un peso eccessivo a elementi formali e sussidiari, trascurando quelli che, nel contesto giornalistico, sono i veri indicatori della subordinazione.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito che, nel lavoro giornalistico, la subordinazione può manifestarsi in modo più sfumato rispetto ad altri settori. Non sono necessari un orario di lavoro fisso o la presenza continua in redazione. L’elemento determinante è lo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.
Nel caso specifico, era stato provato che il fotografo:
1. Doveva recarsi ogni sera in redazione per ricevere gli incarichi dai capiservizio.
2. Era inserito nella cosiddetta “giornaliera”, il programma quotidiano delle attività redazionali.
3. Era vincolato a turni di reperibilità di dodici ore per garantire la copertura H24, al pari degli altri redattori.
4. Non poteva rifiutare le prestazioni richieste.
5. La scelta finale delle foto da pubblicare spettava ai superiori gerarchici.

Questi fattori, secondo la Cassazione, dimostrano in modo inequivocabile l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro. Elementi come la pluralità di committenti o l’emissione di fatture non sono decisivi per escludere la subordinazione, in quanto possono essere semplici modalità di esecuzione del rapporto o, in alcuni casi, strumenti per eludere la normativa sul lavoro dipendente.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per tutti i professionisti che operano in regime di finta Partita IVA, specialmente nel settore dell’informazione e della creatività. La Cassazione chiarisce che per qualificare un rapporto di lavoro non bisogna fermarsi all’apparenza (contratto, fatture), ma è necessario analizzare la sostanza delle modalità con cui la prestazione viene svolta. L’integrazione funzionale e continuativa nell’attività del committente è l’indice primario per riconoscere un fotoreporter subordinato e, più in generale, un lavoratore dipendente a tutti gli effetti, con le tutele che ne conseguono.

Un fotografo che lavora per un giornale con partita IVA è sempre un lavoratore autonomo?
No, non necessariamente. Se è stabilmente inserito nell’organizzazione del giornale, riceve incarichi quotidiani, è vincolato a turni di reperibilità e non può rifiutare le prestazioni, il rapporto è di natura subordinata, a prescindere dagli aspetti formali.

Lavorare per più clienti esclude la possibilità di essere un lavoratore subordinato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la mancanza di esclusività non è un elemento determinante per escludere la subordinazione, specialmente in attività intellettuali come quella del fotoreporter, che possono coesistere con altri incarichi autonomi o per altri datori di lavoro.

Quali sono gli elementi chiave per riconoscere un fotoreporter subordinato?
Gli elementi decisivi sono l’inserimento stabile e sistematico del professionista nell’organizzazione aziendale. Indicatori importanti sono l’inclusione nel programma di lavoro quotidiano (“giornaliera”), l’obbligo di reperibilità, l’assegnazione degli incarichi da parte di un superiore e l’impossibilità di rifiutare il lavoro assegnato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati