Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10314 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10314 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
1.La Corte di Appello di Salerno, accogliendo il gravame proposto dal Comune di Pagani, ha riformato la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che lo aveva condannato al pagamento della somma di € 6254,00 in favore di ciascuno dei lavoratori indicati in epigrafe, operatori di Polizia Municipale alle dipendenze del Comune, a titolo di risarcimento del danno per l’omessa fornitura e per il mancato lavaggio della massa vestiaria.
I lavoratori avevano lamentato che il Comune, dopo l’ultima fornitura invernale del 2008 ed estiva del 2009, aveva omesso di fornire le divise di servizio con cadenza biennale (essendosi limitato a consegnare sporadici ricambi consistenti in camicie e pantaloni) ed aveva omesso di provvedere al relativo lavaggio; avevano pertanto dedotto di avere diritto a 5 forniture invernali e a quattro forniture estive, con obbligo di lavaggio a carico del datore di lavoro.
2. La Corte territoriale ha escluso che le divise possano essere considerate dispositivi di protezione individuale il cui lavaggio è a carico del datore di lavoro, in quanto servono ad identificare gli operatori della Polizia locale e non hanno la funzione di proteggere il lavoratore da particolari rischi igienici o da pregiudizi alla salute.
Il giudice di appello ha inoltre ritenuto indimostrato l’effettiva esistenza del pregiudizio risarcibile, atteso che i lavoratori non avevano offerto la prova della concreta necessità o frequenza del lavaggio, né avevano dimostrato di avervi effettivamente provveduto in proprio sostenendo i relativi costi.
In ordine alla mancata consegna delle divise, ha evidenziato che nelle note autorizzate depositate in data 2.10.2018 avevano riconosciuto di avere ricevuto le divise per una parte degli anni oggetto di lite ed avevano ridotto da 9 a 5 le forniture richieste, riducendo il petitum ad € 3.030 ,00 per n. 5 divise in luogo dell’importo di € 5.454,00 per omessa fornitura di 9 divise).
Ha ritenuto infondata la pretesa azionata dai lavoratori, evidenziato che il Comune aveva documentato in giudizio l’avvenuto affidamento della fornitura per tutti gli anni oggetto di lite (dal 2010 al 2015) e la liquidazione del compenso alla ditta fornitrice.
Ha parimenti rigettato la domanda proposta da NOME NOME COGNOME in quanto aveva rinunciato all’azione con lettera del 21.10.2016 personalmente sottoscritta, ricevuta dal Comune in data 24.11.2016, dal medesimo prodotta nel giudizio di primo grado; ha evidenziato che nel verbale della prima udienza del 17.11.2016, prima della riunione dei ricorsi, il Comune aveva evidenziato tale rinuncia.
Ha rilevato che il primo giudice non aveva menzionato tale rinuncia, ma aveva indistintamente condannato il Comune al pagamento della somma di € 6.254,00 in favore di ciascun ricorrente.
Ha osservato che la rinuncia all’azione non richiede l’accettazione della controparte, che nel caso di specie aveva comunque inteso avvalersene alla presenza del difensore, che nulla aveva eccepito né confutato, e comporta nella sostanza il rigetto nel merito della domanda; ha inoltre ritenuto inammissibile l’appello incidentale spiegato dal COGNOME ed ha ritenuto assorbito l’appello incidentale proposto dagli altri lavoratori.
Avverso tale sentenza i lavoratori indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di ventuno motivi, illustrati da memoria.
Il Comune di Pagani ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione degli artt. 324, 329 e 434 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2909 cod. civ., per avere la Corte territoriale statuito sull’ an della domanda risarcitoria, ancorché il Comune non avesse ritualmente impugnato la pronuncia del Tribunale quanto al riconosciuto inadempimento.
Evidenzia che il Comune aveva censurato la sentenza di primo grado solo riguardo alla quantificazione delle somme riconosciute ai lavoratori e che sono pertanto passate in giudicato le statuizioni relative all’inadempimento dell’obbligo di consegna della massa vestiaria da parte del Comune e alla natura di dispositivo di protezione individuale della massa vestiaria.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 434 cod. proc. civ., per non avere la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’appello.
Evidenzia che l’appello non si era confrontato con il decisum , non conteneva l’indicazione delle parti della sentenza impugnata né alcuna critica alle ragioni addotte dalla sentenza impugnata.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Lamenta l’apparenza e la contraddittorietà della motivazione, addebitando alla Corte territoriale di non avere illustrato l’iter logico del proprio ragionamento.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1182, 1218 e 1453 cod. civ.
Deduce che a fronte della doglianza dei lavoratori, relativa alla mancata consegna delle divise, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto insussistente l’inadempimento in quanto il Comune aveva acquistato le divise.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. , l’omesso esame del fatto storico relativo alla mancata consegna, che in base ai Regolamenti applicabili doveva risultare per iscritto.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Assumendo che la Corte territoriale abbia applicato il ragionamento presuntivo, deduce l’insussistenza dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.
Con il settimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 434 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale pronunciato oltre i limiti dell’eccezione del Comune, che aveva affermato di avere eseguito la fornitura della massa vestiaria solo per alcuni anni (dal 2011 al 2014).
Con l’ottavo motivo il ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’omessa fornitura delle divise per l’anno 2016.
Con il nono motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di motivare sul rigetto della domanda riferita alla mancata fornitura della divisa per l’anno 2016.
Con il decimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente rilevato la riduzione del petitum in corso di causa, così violando gli artt. 1362 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ.
Deduce che nelle note del 2.10.2018 i lavoratori avevano ribadito l’integrale fondatezza della domanda, evidenziando che in caso di ritenuta fondatezza della parziale contestazione del Comune sarebbe loro spettato il pagamento della somma di € 3.030, in luogo della somma di € 5.454,00
Con l’undicesimo motivo il ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere esplicitato le ragioni per le quali ha escluso che la massa vestiaria costituisse un dispositivo di protezione individuale.
Con il dodicesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per insanabile contraddittorietà della motivazione, in violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere rigettato per difetto di prova le domande relative al lavaggio dei dispositivi di protezione individuale, senza tuttavia ammettere le relative richieste istruttorie.
Con il tredicesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55/2014, per avere la Corte territoriale liquidato le spese di lite applicando lo scaglione di valore ‘indeterminato’, pur avendo la causa valore determinato, pari ad € 6254,00 per ciascun lavoratore, senza specificare in quale parte della ‘forcella’ tra minimo e massimo si collochi la liquidazione, né le fasi liquidate.
Sostiene che avrebbe dovuto trovare applicazione lo scaglione da € 5200,01 ad € 26.000,00.
Con il quattordicesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, del D.M. n. 55/2014, per non avere la Corte territoriale disposto la riduzione dell’onorario ivi prevista.
Sostiene che le posizioni di tutti i ricorrenti erano identiche (tranne quella di NOME NOME COGNOME) e meritavano considerazione unitaria.
Con il quindicesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e del D.M. n. 55/2014, per avere la Corte territoriale liquidato unitariamente diritti, onorari e spese.
Con il sedicesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., omessa motivazione sull’applicazione dell’aumento del compenso ai sensi dell’art. 4, comma 2, del D.M. n. 55/2014 e sulla mancata
applicazione della riduzione di cui all’art. 4, comma 4, del D.M. n. 55/2014, con violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ e 118 disp. att. cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale omesso di motivare sull’applicazione dell’aumento per pluralità di parti e sulla mancata riduzione del compenso ai sensi del comma 4.
Con il diciassettesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329, 434 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.
Deduce che l’implicita pronuncia del Tribunale sull’insussistenza di una rinuncia di Diodato NOME COGNOME non era stata oggetto di appello da parte del Comune di Pagani.
Sostiene che nell’atto di appello il Comune si era limitato a menzionare l’intenzione del Rossi di rinunciare al giudizio, ma non aveva sul punto censurato la sentenza di primo grado.
Con il diciottesimo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 416, 420, 434 e 437 cod. proc. civ.
Evidenzia che nel giudizio di primo grado il Comune non aveva eccepito la sussistenza di una rinuncia da parte di NOME NOME COGNOME ed era decaduto dal deposito della suddetta rinuncia, tardivamente depositata solo alla prima udienza.
Deduce che la rinuncia di NOME NOME COGNOME era stata protocollata al Comune in data 24.10.2016, che l’indicazione del 24.11.2016, contenuta nella sentenza impugnata quale data di ricezione della suddetta rinuncia da parte del Comune era frutto di un errore materiale, risultando dalla sentenza impugnata che la rinuncia era stata prodotta alla prima udienza del 17.11.2016 (dal cui verbale risulta che era stata ricevuta dal Comune in data 24.10.2016).
Con il diciannovesimo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 306 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. , nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Sostiene che la rinuncia del lavoratore al diritto sostanziale soggiace all’art. 2113 cod. civ. e che nel caso di specie NOME NOME COGNOME proseguendo il giudizio di primo grado e conferendo nuovo mandato al difensore per il giudizio di appello, nel quale era stato proposto appello incidentale, aveva espresso la volontà di impugnare la suddetta rinuncia.
20. Con il ventesimo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 306 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente qualificato la rinuncia di NOME NOME COGNOME come rinuncia all’azione.
Considerato che la suddetta rinuncia fa riferimento al numero di ruolo generale del procedimento, al nominativo dell’avvocato incaricato, all’oggetto della controversia, all’azione legale, e non al diritto sostanziale, avrebbe dovuto essere qualificata come rinuncia agli atti del giudizio.
Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto superflua l’accettazione della suddetta rinuncia e per avere ritenuto che l’accettazione potesse essere anche implicita.
21. Con il ventunesimo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. , nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Evidenzia che la rinuncia aveva riguardato solo la domanda relativa alla mancata consegna della massa vestiaria e non quella riguardante il lavaggio della massa vestiaria.
Addebita alla Corte territoriale l’omessa pronuncia sulla domanda di NOME NOME COGNOME relativa al pagamento di quanto spettante per il lavaggio della massa vestiaria.
L’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Pagani è infondata, atteso che il ricorso non si limita a riprodurre gli atti processuali, ma individua in modo chiaro specifiche censure, senza alcuna ripetizione delle doglianze.
Inoltre la riproduzione degli atti processuali, peraltro collocata nelle note, è strumentale alla disamina delle censure proposte ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Occorre rammentare che, qualora con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo , il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 6014 del 13/03/2018 ; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 25259 del 25/10/2017).
23. Il primo motivo è infondato.
Il Tribunale ha ritenuto la legittimazione passiva del Comune rispetto alle domande proposte, ha ravvisato l’inadempimento del Comune di Pagani agli obblighi di periodico acquisto e lavaggio dei capi di vestiario ed ha liquidato equitativamente il relativo danno.
Nel giudizio di appello, il Comune di Pagani con il primo motivo ha censurato la sentenza di primo grado per error in iudicando, in quanto aveva ritenuto la legittimazione passiva del Comune in relazione alla domanda subordinata di indebito arricchimento; con il secondo motivo motivo ha censurato la sentenza di primo grado per error in iudicando per violazione degli artt. 1223 e 2043 cod. civ., in quanto l’accoglimento della domanda risarcitoria per la mancata fornitura della massa vestiaria presuppone la dimostrazione del concreto pregiudizio economico subito di lavoratori, rappresentato dal costo dell’acquisto sostenuto in vece del datore di lavoro, ed in quanto la valutazione equitativa del danno non poteva sopperire alla mancata prova del danno da parte dei lavoratori; con il terzo motivo, il Comune di Pagani ha censurato la sentenza di primo grado per error in iudicando per erronea applicazione dell’art. 1226 cod. civ. e dell’art. 432 cod. proc. civ., in quanto il Tribunale aveva effettuato una liquidazione equitativa del danno, omettendo ogni motivazione.
La proposizione del secondo e del terzo motivo, che hanno contestato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento del
danno per inadempimento, proposta in via principale ed accolta dal Tribunale, di per sé escludono che sulla questione dell’i nadempimento si sia formato il giudicato.
Questa Corte ha evidenziato (Cass. n. 24358/2018) che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. n. 22863 del 2008); si è inoltre precisato che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).
Ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (vedi, per tutte: Cass. n. 4934 del 2010); la violazione del giudicato interno si può verificare soltanto quando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre e tale specifica pronunzia non può considerarsi implicitamente impugnata allorché il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta (Cass. n. 28739 del 2008).
Questa Corte ha inoltre chiarito che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi
riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione» (Cass. n. 16853/2018 e negli stessi termini Cass. n. 24783/2018 e Cass. n. 12202/2017).
Alla luce di tali principi si deve, pertanto, ritenere che il secondo ed il terzo motivo di appello abbiano devoluto alla Corte territoriale anche la cognizione relativa alla sussistenza dell’inadempimento.
24. Anche il secondo motivo è infondato.
L’ appello contiene specifiche critiche alla sentenza di primo grado, che ha ritenuto la legittimazione passiva del Comune rispetto alle domande proposte, ha ravvisato l’inadempimento del Comune di Pagani agli obblighi di periodico acquisto e lavaggio dei capi di vestiario ed ha liquidato equitativamente il relativo danno.
Il Comune di Pagani ha infatti censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto la legittimazione passiva del Comune in relazione alla domanda subordinata di indebito arricchimento e per avere accolto la domanda risarcitoria per la mancata fornitura della massa vestiaria in assenza di prova del danno da parte dei lavoratori, senza motivare in ordine alla liquidazione equitativa del danno.
Peraltro, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice. (Cass. S.U. n. 28057/2008; Cass, n. 25218/2011; Cass. n. 21397/2019; Cass. n. 23781/2020; Cass. n. 2320/2023).
25. Il terzo ed il quarto motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati.
Questa Corte ha ribadito anche di recente (v. per tutte Cass. n. 14341/2022) che la mancata fornitura della massa vestiaria costituisce un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore
alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri (Cass n. 4100/1995) o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto di beni non forniti dal datore (Cass. n. 23987/2008); alla mancata prova del d anno non può sopperire la valutazione equitativa, perché l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ. presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016).
Nel caso di specie, a fronte delle domande dei lavoratori, volte ad ottenere il risarcimento del danno per la mancata consegna della massa vestiaria dopo l’ultima fornitura invernale del 2008 ed estiva del 2009, la Corte territoriale si è limitata a rilevare che per tutti gli anni oggetto della lite (dal 2010 al 2015) il Comune aveva documentato l’affidamento della fornitura e la liquidazione del compenso alla ditta fornitrice, così sovrapponendo la questione dell’adempimento dell’obbligazione (e dunque del la consegna delle divise, non accertata in concreto), con quella dell’affidamento della fornitura e del pagamento della medesima alla ditta fornitrice.
La sentenza impugnata non ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto dirimente l’affidamento della fornitura e la liquidazione del compenso alla ditta fornitrice, né ha prospettato alcun rapporto tra l’acquisto delle divise e la consegna delle medesime.
Non è dato dunque comprendere se la Corte territoriale, che non ha nemmeno ammesso la prova testimoniale, abbia ritenuto che ai fini dell’adempimento dell’obbligazione di consegna della massa vestiaria sia sufficiente l’affidamento e la liquidazione della relativa fornitura ad una ditta esterna, o se abbia presunto che a fronte dell’acquisto e del pagamento, i lavo ratori abbiano ricevuto la consegna delle divise.
Inoltre, a fronte della domanda risarcitoria formulata in relazione a 9 forniture ommesse a tutto il 2016, la sentenza impugnata non ha nemmeno indicato il numero delle forniture effettuate.
Il quinto, il sesto ed il settimo motivo, con cui i lavoratori hanno rispettivamente lamentato l’omesso esame della mancata consegna delle divise , l’erronea applicazione del ragionamento presuntivo ove effettuato e la pronuncia della Corte territoriale oltre i limiti dell’eccezione del Comune, che aveva affermato di avere eseguito la fornitura della massa vestiaria solo per alcuni anni (dal 2011 al 2014), devono pertanto ritenersi assorbiti.
27. L ‘ottavo motivo è fondato.
Sussiste l’omessa pronuncia sulla richiesta risarcitoria relativa alla mancata fornitura dell’anno 2016.
Nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i lavoratori hanno dedotto la mancata fornitura ‘a tutto il 2016’, da parte del Comune di Pagani, delle divise di servizio con cadenza biennale; hanno in particolare chiesto il risarcimento del danno per l’omessa fornitura di 5 forniture invernali e di 4 forniture estive allegato che l’ultima fornitura invernale risaliva al 2008 e che l’ultima fornitura estiva risaliva al 2009 e che il Comune aveva omesso di provvedere al lavaggio dei ricambi consistenti in camicie e pantaloni, sporadicamente consegnate.
In base alle prospettazioni degli stessi ricorrenti, a fronte del carattere biennale della fornitura dovuta a tutto il 2016, avrebbero dovuto essere fornite 4 divise invernali (nel 2010, nel 2012, nel 2014 e nel 2016) e 3 divise estive (nel 2011, nel 2013 e nel 2015), per un totale di 7 forniture, e non di 9.
La sentenza impugnata non dà atto del numero delle forniture acquistate e liquidate, ma esamina le domande proposte con riferimento agli anni oggetto di lite, e li individua in quelli ricompresi tra il 2010 e il 2015, non considerando che in ragione della cadenza biennale delle forniture, nel 2016 avrebbe dovuto essere effettuata la quarta fornitura estiva.
Il nono motivo , che denuncia l’omessa motivazione sul rigetto della domanda riferita alla mancata fornitura della divisa per l’anno 2016, deve pertanto ritenersi assorbito.
Il decimo motivo è inammissibile, in quanto la Corte territoriale, pur avendo rilevato una riduzione della domanda nelle note degli originari ricorrenti del 2.10.2018 (da 9 a 5 forniture omesse), non ne ha tenuto conto ed ha inteso pronunciare sulle domande risarcitorie originariamente proposte dai ricorrenti
per la mancata fornitura della massa vestiaria, nella loro integralità (‘per tutti gli anni oggetto della lite’; ‘La pretesa, azionata dai lavoratori con i ricorsi del 10/6/2016 e 12/7/2016, risulta pertanto interamente infondata…’).
30. L’undicesimo motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con il decisum .
La Corte territoriale non si è limitata ad affermare che le mansioni in concreto espletate dagli originari ricorrenti non comportavano lo svolgimento di attività che esponessero il dipendente a specifiche infezioni suscettibili di prevenzione mediante il lavaggio della massa vestiaria e che i medesimi ricorrenti non avevano dimostrato la concreta necessità del lavaggio.
La sentenza impugnata ha infatti precisato che ai sensi dell’art. 40, punto 2, lett. a) del d.lgs. n. 626/1994, gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore non costituiscono dispositivi di protezione individuale ed ha ritenuto che le divise oggetto di causa avessero la funzione di identificare gli operatori di Polizia locale, e non di proteggere il lavoratore contro particolari rischi igienici o pregiudizi alla salute.
Il dodicesimo motivo, che addebita alla Corte territoriale di avere rigettato per difetto di prova le domande relative al lavaggio dei dispositivi di protezione individuale senza tuttavia ammettere le relative richieste istruttorie, deve pertanto ritenersi assorbito.
Devono ritenersi parimenti assorbiti i motivi dal tredicesimo al quindicesimo, riguardanti le spese di lite.
Va comunque precisato che il valore della causa non è indeterminato (nel ricorso rgn 2980/2016 il valore della causa è stato indicato in € 93.810,00 e nel ricorso rgn 3525/2016 il valore della causa è stato indicato in € 43.778,00).
33. Il diciassettesimo motivo è fondato.
Questa Corte ha chiarito che l’ art. 2113 cod. civ. è applicabile anche nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia già intrapreso un’azione giudiziaria, in quanto la sua posizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro non viene meno per il fatto che egli abbia azionato un diritto o sia assistito da un legale, da cui consegue che restano impugnabili nel termine di sei mesi tutte le rinunce
e transazioni che non siano intervenute nella forma della conciliazione giudiziale o sindacale, a nulla rilevando che le suddette intervengano dopo che il lavoratore abbia già azionato il diritto in giudizio (Cass. n. 21617/2018.
Il datore di lavoro che, al fine di contestare la pretesa del lavoratore, intenda valersi di una rinuncia o transazione come indicata dall’art. 2113, primo comma. cod. civ., da lui non tempestivamente impugnata, deve formulare a rigore l’eccezione, non già di decadenza del lavoratore dal diritto di chiedere le sue eventuali spettanze, ma di improponibilità della domanda avversaria per intervenuta rinuncia o transazione non tempestivamente impugnata, e deve altresì specificare, e deve altresì specificare da quale rinuncia oppure da quale transazione derivi l’improponibilità, contestualmente adducendo la prova documentale di quel negozio giuridico di rinuncia o di transazione (Cass. n. 552/1995) ; l’impugnazione di una rinuncia o transazione ex art. 2113 cod. civ. da parte del lavoratore ne determina l’automatica caducazione anche se proposta oltre il termine di sei mesi prescritto dalla citata disposizione, essendo onere del datore di lavoro che intenda far valere la rinuncia o la transazione eccepire la decade nza del lavoratore dalla impugnazione nel termine di cui all’art. 416 cod. proc. civ. (Cass. n. 13466/2004).
Da tali principi discende che il datore di lavoro che nel giudizio di appello intenda censurare la statuizione di condanna nei confronti del lavoratore, ancorché questi avesse rinunciato all’azione ai sensi dell’art. 2113, primo comma. cod. civ., senza impugnare tempestivamente tale rinuncia, deve formulare a rigore una specifica censura per ottenere una statuizione di improponibilità della domanda avversaria per intervenuta rinuncia, precisando da quale rinuncia derivi l’improponibilità e adducendo contestualmente la prova documentale di quel negozio giuridico di rinuncia.
Nel caso di specie il Comune nell’atto di appello si è limitato a chiedere che venisse dichiarata l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso in ragione del proprio difetto di legittimazione passiva e a chiedere il rigetto nel merito delle domande originariamente proposte dai lavoratori.
34. I restanti motivi, che denunciano sotto altri profili le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rinuncia di NOME NOME COGNOME devono pertanto ritenersi assorbiti.
35. In conclusione, vanno accolti il terzo, il quarto, l’ottavo e il diciassettesimo motivo, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo, vanno dichiarati inammissibili il settimo, il decimo e l’undicesimo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata relativamente ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione che si atterrà agli indicati principi provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto, l’ottavo e il diciassettesimo motivo, rigetta il primo ed il secondo motivo, dichiara inammissibili il settimo, il decimo e l’undicesimo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata relativamente ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione che si atterrà agli indicati principi provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della