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Firma ordinanza Cassazione: solo il Presidente firma?

Un cittadino ha promosso un’azione di nullità contro un’ordinanza della Corte di Cassazione, sostenendo la sua invalidità per la mancata firma del giudice relatore. La Corte ha respinto il ricorso, chiarendo che, a differenza della sentenza, per la validità della firma dell’ordinanza Cassazione è sufficiente la sola sottoscrizione del Presidente, come previsto dal codice di procedura civile. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato per lite temeraria.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Firma Ordinanza Cassazione: È Valida con la Sola Sottoscrizione del Presidente?

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce un importante aspetto procedurale: i requisiti di sottoscrizione dei provvedimenti decisori. La questione centrale riguarda la validità della firma dell’ordinanza Cassazione apposta dal solo Presidente del collegio, senza quella del consigliere relatore. Questa decisione non solo ribadisce una distinzione fondamentale tra ‘sentenza’ e ‘ordinanza’, ma serve anche da monito contro le liti basate su premesse giuridiche errate.

I Fatti di Causa: Un’Azione di Nullità

Un cittadino, ritenendosi leso da una precedente ordinanza della Corte di Cassazione, ha intentato una cosiddetta actio nullitatis. L’obiettivo era far dichiarare l’assoluta nullità del provvedimento. La tesi del ricorrente si fondava su un’unica argomentazione: l’ordinanza era priva della firma del giudice consigliere relatore e, pertanto, doveva considerarsi giuridicamente inesistente.

A sostegno della sua tesi, il ricorrente invocava l’articolo 132 del codice di procedura civile, il quale stabilisce che la sentenza emessa da un giudice collegiale deve essere sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore. Secondo questa interpretazione, la mancanza di una delle due firme avrebbe comportato una nullità insanabile.

La Questione Giuridica: I Requisiti di Sottoscrizione dei Provvedimenti

Il cuore della controversia verteva sulla corretta applicazione delle norme procedurali relative alla forma degli atti giudiziari. La domanda fondamentale era: un’ordinanza, sebbene con contenuto decisorio, segue le stesse regole di sottoscrizione di una sentenza?

Il ricorrente equiparava i due tipi di provvedimento, sostenendo che la natura decisoria dell’ordinanza impugnata imponesse gli stessi requisiti di forma della sentenza. La Corte, tuttavia, è stata chiamata a chiarire se questa equiparazione fosse corretta o se, invece, l’ordinamento prevedesse regole distinte.

La Distinzione tra Ordinanza e Sentenza e la firma dell’ordinanza Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi del ricorrente, giudicandola manifestamente infondata. I giudici hanno evidenziato che l’argomentazione si basava su una premessa giuridica errata: confondere la natura e i requisiti formali di una sentenza con quelli di un’ordinanza.

Il provvedimento impugnato non era una sentenza, bensì un’ordinanza pronunciata secondo il rito accelerato previsto dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. Per questo tipo di atto, la norma di riferimento non è l’art. 132 c.p.c., bensì l’art. 134 c.p.c., il quale stabilisce che l’ordinanza pronunciata da un organo collegiale è firmata unicamente dal presidente.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che, sebbene un’ordinanza possa avere un contenuto decisorio e definire il giudizio, essa non perde la sua natura formale di ‘ordinanza’. Di conseguenza, continua a essere soggetta ai requisiti di forma che le sono propri. L’ordinamento, pur conoscendo la figura dell’ordinanza con contenuto decisorio, non ne altera i requisiti di sottoscrizione. Pertanto, l’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione in sede camerale è legittimamente emessa con la sola sottoscrizione del presidente del collegio.

I giudici hanno inoltre respinto le ulteriori contestazioni del ricorrente, come quella relativa a un presunto ‘personalismo’ nella formulazione della proposta di definizione del giudizio, bollandola come un refuso privo di qualsiasi rilevanza decisoria. La decisione finale ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato severamente il ricorrente, non solo al pagamento delle spese legali, ma anche a versare una somma ulteriore per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., oltre a un importo in favore della Cassa delle Ammende.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Suprema Corte offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, riafferma con chiarezza la distinzione formale tra sentenza e ordinanza, sottolineando che i requisiti di validità di un atto giudiziario dipendono dalla sua forma tipica, e non solo dalla sua sostanza decisoria. La firma dell’ordinanza Cassazione da parte del solo Presidente è, quindi, pienamente legittima nei casi previsti. In secondo luogo, il provvedimento funge da severo monito: intraprendere azioni legali basate su presupposti palesemente errati non solo porta a una sconfitta processuale, ma espone anche a pesanti sanzioni economiche per abuso del processo.

Un’ordinanza della Corte di Cassazione è valida se firmata solo dal Presidente?
Sì. Secondo la decisione, un’ordinanza emessa da un collegio, come quella in camera di consiglio della Cassazione, è pienamente valida se sottoscritta dal solo presidente, in applicazione dell’articolo 134 del codice di procedura civile.

Qual è la differenza tra ordinanza e sentenza per quanto riguarda la sottoscrizione?
La sentenza emessa da un giudice collegiale, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., richiede la firma sia del presidente sia del giudice estensore. L’ordinanza collegiale, invece, richiede per la sua validità la sola firma del presidente (art. 134 c.p.c.), anche quando ha un contenuto che decide la causa.

Cosa rischia chi avvia un’azione di nullità basata su un presupposto giuridico errato?
Chi promuove un ricorso basato su una premessa giuridica palesemente infondata, come nel caso di specie, rischia non solo che il ricorso venga dichiarato inammissibile con condanna alle spese legali, ma anche di subire ulteriori sanzioni per lite temeraria (art. 96 c.p.c.) e di dover versare il doppio del contributo unificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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