Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16772 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16772 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20867/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato
NOMECODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 6619/2019 depositata il 16/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 16.12.19 la corte d’appello di Napoli, confermando il pronunciamento di prime cure del 23.3.15, ha condannato l’ANM, Azienda Napoletana RAGIONE_SOCIALE a pagare euro 10.332,00 per indennità ferie non godute richieste dal lavoratore.
In particolare, ritenuta la natura del datore di lavoro quale società in house del Comune di Napoli, la corte territoriale ha affermato che comunque la disciplina applicabile al rapporto è quella privatistica.
Avverso la sentenza ricorre la società per tre motivi, cui resiste con controricorso il lavoratore, che propone ricorso incidentale condizionato per un motivo. Le parti hanno presentato memorie. Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale deduce violazione dell’articolo 5, comma 8, del decreto legge 95/12 e del regolamento Unione Europea 549 del 13, per avere la corte
territoriale escluso l’applicazione della norma a soggetti assimilabili ad una pubblica amministrazione.
Il secondo motivo deduce violazione del medesimo articolo 5, dell’articolo 3 del decreto legge 138 del 2011, convertito in legge 148 del 2011, nonché dell’art. 18 comma 2 -bis decreto legge 112 del 2008, per non avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile il divieto di monetizzazione delle ferie non godute.
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 1175, 1375, 2106 c.c., nonché omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 numero 5 c.p.c., per avere attribuito rilievo al mancato godimento delle ferie senza tener conto del comportamento del lavoratore.
Il ricorso incidentale condizionato invoca pronuncia sulla subordinata domanda ex articolo 2041 c.c. a titolo di indebito oggettivo e di arricchimento senza causa e domanda la disapplicazione dell’articolo 5, comma 8, predetto.
I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.
Occorre premettere che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha più volte esaminato la compatibilità con la normativa europea di discipline nazionali che pongano un limite alla monetizzazione delle ferie non godute.
Nella sentenza NOME COGNOME (CGUE del 6 novembre 2018, C 684/16) la Corte ha affermato che l’art. 7, par. 2 dir. 2003/1988 riconosce il diritto ad una indennità economica per i giorni di ferie annuali non goduti: tale norma osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità per le ferie annuali retribuite non godute al lavoratore, che non possa più fruirne per essere ormai cessato il rapporto. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha rafforzato i connotati di questo diritto fondamentale del lavoratore e ne ha ribadito la
natura inderogabile, in quanto finalizzato a «una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute» (ex plurimis, Corte di giustizia, sentenza 26 giugno 2001, in causa C-173/99, BECTU, punti 43 e 44; Grande Sezione, sentenza 24 gennaio 2012, in causa C-282/10, Dolningue- nonché la richiamata NOME COGNOME).
La Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 6 maggio 2016, ha escluso, con una sentenza interpretativa di rigetto, l’illegittimità dell’art. 5 comma 8 del DL 95/12 soltanto ove interpretata nel senso di consentire il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro sia riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
Sulla scia di queste pronunce, Cass. Sez. Lav. sentenza n. 30558 del 2022 ha evidenziato che ‘la garanzia di un effettivo godimento delle ferie traspare, secondo prospettive convergenti, dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 297 del 1990 e n. 616 del 1987) e da quella europea (ex plurimis, Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza 20 gennaio 2009, in cause riunite C350/106 e C520/06, COGNOME e COGNOME ed altri)’ e che il ‘diritto inderogabile’ dei lavoratori ‘è violato se la cessazione dal servizio vanifichi, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore’.
La giurisprudenza di questa Corte, sin dal 2020, ha mutato parzialmente orientamento (confrontandosi con la giurisprudenza espressa dalla CGUE) affermando che le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale e irrinunciabile del lavoratore
(a cui è intrinsecamente collegato il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro) e, correlativamente, un obbligo del datore di lavoro; grava su quest’ultimo l’onere di provare di avere adempiuto il proprio obbligo di concedere le ferie medesime, mentre la perdita del diritto alle ferie (e, alla cessazione del rapporto di lavoro, alla corrispondente indennità sostitutiva) può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato e in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il recupero delle energie cui esse sono volte a contribuire; in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass. n. 13613 del 2020; Cass. n. 6262 del 2022; Cass. n. 17643 del 2023; Cass. n. 18140 del 2022; Cass. n. 21780 del 2022; Cass. n. 29844 del 2022; Cass. n. 17643 del 2023;; Cass. n. 9982 del 2024; Cass. n. 9993 del 2024; Cass. n. 14083 del 2024; Cass. n. 27496 del 2024), secondo un meccanismo che questa Corte ha ricondotto all’istituto della mora credendi del lavoratore (Cass. Sez. L – Sentenza n. 2496 del 01/02/2018).
14. Più di recente, la sentenza della Corte di Giustizia del 18 gennaio 2024 nella Causa c 218/22, ha affermato che l’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ostano a una normativa nazionale che, per esigenze organizzative e di contenimento della spesa pubblica, preveda il divieto di versare al lavoratore un’indennità economica per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di
lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.
In particolare, la sentenza ha affermato che ‘gli Stati membri non possono derogare al principio derivante dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, letto alla luce dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, secondo il quale un diritto alle ferie annuali retribuite non può estinguersi alla fine del periodo di riferimento e/o del periodo di riporto fissato dal diritto nazionale, quando il lavoratore non è stato in condizione di beneficiare delle sue ferie. …Se, invece, il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse, l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute, senza che il datore di lavoro sia tenuto a imporre a detto lavoratore di esercitare effettivamente il suddetto diritto…’.
Dalla richiamata giurisprudenza emerge il chiaro riconoscimento dell’incomprimibilità del diritto del lavoratore: tali relativi principi sono stati recepiti nella giurisprudenza nazionale (da ultimo, Cass. Sez. L, Ordinanza n. 13691 del 2025).
In quelli esaminati dalla Corte di Lussemburgo, si trattava, peraltro, di casi in cui si discuteva della legittimità di eventuali limiti in riferimento ai datori di lavoro pubblici, per i quali operano esigenze inderogabili di contenimento della spesa pubblica.
Nella vicenda in oggetto, la natura privatistica della disciplina applicabile al rapporto tra le odierne parti esclude ogni limitazione al diritto del lavoratore.
19. Invero, rispetto alla società in house, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per quanto intesa come articolazione organizzativa dell’ente pubblico, ove posta in una situazione di delegazione organica o addirittura di subordinazione gerarchica, alla luce di una disamina materiale, si determina solo una responsabilità aggiuntiva (contabile) rispetto a quella comune -secondo i dettami di Cass. s.u. 26283/2013, poi ripresi dall’art.12 d.lgs. n.175 del 2016 -ma senza che ciò importi l’effetto di perdere l’applicazione dello statuto dell’imprenditore. Le norme speciali volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non possono dunque incidere sul modo in cui essa opera nel mercato, né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell’affidamento di terzi contraenti contemplate dalla disciplina civilistica. Per altro verso, la soggezione al potere di vigilanza e di controllo pubblico, che consista nella verifica della correttezza dell’espletamento del servizio comunale svolto, riguarda la vigilanza sull’attività operativa della società nei suoi rapporti con l’ente locale o con lo Stato, non nei suoi rapporti con i terzi.
20. E’ dunque corretta l’impostazione seguita dalla Corte di appello di Napoli con la sentenza gravata, che – in sintesi – ha rispettato i principi di cui ai ricordati arresti di questa S.C., ossia che per le società a partecipazione pubblica vanno tenuti distinti gli ambiti, di guisa che dette società vanno assoggettate a regole analoghe a quelle applicabili ai soggetti pubblici nei settori di attività in cui assume rilievo preminente rispettivamente la natura sostanziale degli interessi pubblici coinvolti e la destinazione non privatistica della finanza d’intervento, mentre deve essere assoggettata alle normali regole la gestione delle ferie dei dipendenti, con conseguente esclusione del divieto di monetizzazione,così come affermato dalla Corte di merito.
In altri termini, la forma prescelta per la gestione del servizio continua a essere privata né il controllo esercitato dall’ente pubblico è idoneo a modificare tale assetto che rimane privatistico, in assenza di una speciale disciplina in deroga alla stessa, in considerazione delle finalità pubblicistiche perseguite; se ciò vale per la gestione, analogamente deve dirsi per i rapporti di lavoro alle sue dipendenze che vanno gestiti secondo le regole del diritto privato.
Il terzo motivo deve essere del pari rigettato. L’onere di dimostrare di aver sollecitato la fruizione delle ferie e di aver concretamente reso possibile la fruizione è a carico del datore di lavoro, come precisato anche nei par. 49 e 50 della sentenza della Corte di Giustizia su richiamata, ove detta Corte ha affermato:
’49. il datore di lavoro è segnatamente tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un’indennità finanziaria. L’onere della prova incombe al datore di lavoro (v. in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, MaxRAGIONE_SOCIALE, C -684/16, EU:C:2018:874, punti 45 e 46). 50. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto,
circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio, si deve ritenere che l’estinzione del diritto a tali ferie alla fine del periodo di riferimento o del periodo di riporto autorizzato e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 nonché l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, NOMERAGIONE_SOCIALE, C -684/16, EU:C:2018:874, punti 46 e 55). ‘
Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie la società ricorrente non ha fornito alcuna prova, essendo emerso solo l’invio di una lettera generica al personale di sollecito a fruire delle ferie, peraltro pervenuta al lavoratore quando non vi erano più giorni disponibili per fruire dell’intero monte ferie maturato e senza neppure l’avvertenza che, in mancanza di scelta del lavoratore, l’azienda lo avrebbe posto d’ufficio in ferie. Né è stato provato tale collocamento d’ufficio in ferie dell’odierno controricorrente.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 maggio 2025.