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Falsa attestazione presenza: licenziamento legittimo

Un dipendente pubblico è stato licenziato per assenteismo sistematico, consistito nell’allontanarsi dall’ufficio senza timbrare e nel dichiarare falsamente missioni esterne. La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento, specificando che tale condotta integra una “falsa attestazione presenza”. La Corte ha chiarito che l’azione disciplinare era tempestiva e che il giudice deve sempre valutare la proporzionalità del licenziamento, anche in casi di infrazioni legalmente tipizzate.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Falsa attestazione della presenza in servizio: licenziamento legittimo anche senza manomissione del badge

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26938 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel pubblico impiego: la falsa attestazione presenza. Il caso esaminato riguarda un dipendente pubblico licenziato per essersi allontanato sistematicamente dal posto di lavoro senza timbrare il cartellino e aver falsamente dichiarato di svolgere servizi esterni. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento e fornendo importanti chiarimenti sulla nozione di condotta fraudolenta e sull’applicazione del principio di proporzionalità.

I Fatti: L’assenteismo sistematico del dipendente pubblico

Il caso ha origine da un’indagine della Procura della Repubblica su episodi di assenteismo presso un ufficio del Genio Civile. Un dipendente, inquadrato come istruttore direttivo tecnico, è stato sottoposto a controlli tramite videocamere e pedinamenti. Le indagini hanno rivelato una condotta sistematica: nell’arco di un anno, il lavoratore si era allontanato dall’ufficio per ben 52 volte senza registrare l’uscita. In 36 di questi episodi, era uscito senza timbrare per poi rientrare, mentre in altri 16 aveva falsamente autocertificato lo svolgimento di servizi esterni, quando in realtà si dedicava ad attività personali come recarsi presso familiari o a scuola dai figli.

A seguito della comunicazione degli esiti delle indagini da parte della Procura, l’amministrazione regionale ha avviato un procedimento disciplinare, conclusosi con il licenziamento senza preavviso. Il lavoratore ha impugnato il provvedimento, ma sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno confermato la legittimità della sanzione espulsiva.

I motivi del ricorso e la difesa del lavoratore

Giunto in Cassazione, il dipendente ha basato la sua difesa su diversi motivi, tra cui:
1. Tardività della contestazione: Sosteneva che l’amministrazione fosse a conoscenza dei fatti ben prima della comunicazione formale della Procura.
2. Genericità dell’addebito: La contestazione rinviava genericamente agli atti della Procura senza specificare le condotte.
3. Inapplicabilità della normativa: Riteneva che la sua condotta non rientrasse nella fattispecie di “falsa attestazione della presenza” accertata “in flagranza” o con strumenti di sorveglianza.
4. Mancanza di proporzionalità: Giudicava la sanzione del licenziamento eccessiva rispetto ai fatti, paragonandoli a semplici “pause caffè” e richiamando la presunta tolleranza dell’amministrazione.

Falsa attestazione presenza: l’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato tutte le censure, argomentando punto per punto e consolidando importanti principi di diritto.

La tempestività della contestazione disciplinare

La Corte ha chiarito che il termine per l’azione disciplinare non decorre dalla semplice e generica notizia di un’indagine penale. Esso inizia a decorrere solo dal momento in cui l’amministrazione riceve una “notizia di infrazione” sufficientemente dettagliata da permettere una formulazione precisa degli addebiti. Nel caso di specie, questo momento è coinciso con la ricezione della nota della Procura, che conteneva l’elenco specifico dei 52 episodi contestati. L’azione è stata quindi ritenuta tempestiva.

La nozione di condotta fraudolenta

Il punto centrale della sentenza riguarda la definizione di falsa attestazione presenza. La Cassazione ha ribadito che questa infrazione non si limita alla manomissione o alterazione del sistema di rilevazione delle presenze. Include, invece, “qualunque modalità fraudolenta posta in essere” per indurre in errore il datore di lavoro. L’allontanamento dall’ufficio non accompagnato dalla necessaria timbratura integra una modalità fraudolenta, poiché rappresenta una situazione apparente (in servizio) diversa da quella reale (assente). Non registrare le uscite interruttive del servizio è, a tutti gli effetti, una falsa attestazione.

Il Principio di proporzionalità nella falsa attestazione presenza

Un altro aspetto fondamentale affrontato dalla Corte è il rapporto tra la tipizzazione legale dell’illecito e il principio di proporzionalità. Sebbene l’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001 preveda il licenziamento per la falsa attestazione della presenza, ciò non determina un automatismo espulsivo.
La Corte ha ribadito che il giudice deve sempre effettuare una valutazione di proporzionalità, verificando se il comportamento, per la sua gravità, sia tale da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il datore di lavoro. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto il licenziamento proporzionato data la sistematicità e la gravità dei fatti: non si trattava di brevi “pause caffè”, ma di veri e propri allontanamenti per scopi personali, uniti a false dichiarazioni su missioni di servizio. La Corte ha inoltre sottolineato un aspetto aggravante: approfittare di un sistema di controllo poco rigoroso per infrangere le regole di fedeltà e correttezza rende le infrazioni “più deplorevoli”.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare il rapporto fiduciario nel pubblico impiego. La condotta del lavoratore è stata giudicata grave non solo per la violazione formale delle regole sulla timbratura, ma per il suo carattere fraudolento e sistematico, che ha dimostrato una scarsa inclinazione ad adempiere diligentemente ai propri doveri. Il licenziamento è stato ritenuto l’unica sanzione adeguata a fronte di un comportamento che ha compromesso in modo irreparabile la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel proprio dipendente. La Corte ha respinto l’idea che un ambiente con controlli lassisti possa giustificare o attenuare la gravità della condotta, affermando anzi che sfruttare tale situazione costituisce un’aggravante.

Le conclusioni

La sentenza consolida un’interpretazione rigorosa ma equilibrata della falsa attestazione presenza. Da un lato, estende la nozione a qualsiasi comportamento ingannevole, inclusa la mancata timbratura in uscita, per garantire il rispetto delle regole di correttezza nel pubblico impiego. Dall’altro, riafferma il ruolo centrale del giudice nel valutare la proporzionalità della sanzione, evitando automatismi e assicurando che il licenziamento sia riservato ai casi di inadempimento di notevole gravità che minano le fondamenta del rapporto di lavoro.

Allontanarsi dal posto di lavoro senza timbrare il cartellino costituisce “falsa attestazione della presenza”?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce falsa attestazione della presenza in servizio “qualunque modalità fraudolenta posta in essere” per far risultare il dipendente in servizio. Ciò include non solo la manomissione dei sistemi di rilevazione, ma anche la semplice omissione di registrare le uscite non autorizzate.

Quando inizia a decorrere il termine per avviare un procedimento disciplinare se l’amministrazione sa che sono in corso indagini penali?
Il termine decorre non dalla generica conoscenza di indagini in corso, ma dal momento in cui l’ufficio competente riceve una “notizia di infrazione” con un contenuto sufficientemente dettagliato da consentire una corretta contestazione degli addebiti.

Il licenziamento per falsa attestazione della presenza è automatico?
No. Sebbene la legge preveda il licenziamento per questa infrazione (cosiddetta tipizzazione), la sanzione non è automatica. Il giudice deve sempre verificare la proporzionalità della sanzione espulsiva, valutando la gravità del comportamento in concreto, l’elemento psicologico e tutte le circostanze del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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