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Falsa attestazione presenza: licenziamento legittimo

La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di due dipendenti pubblici per falsa attestazione della presenza. La Corte ha ritenuto provato che un collega timbrasse il badge per loro, configurando una grave violazione del rapporto di fiducia che giustifica la massima sanzione espulsiva, respingendo le censure sulla ripartizione dell’onere della prova e sulla proporzionalità della sanzione.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Falsa Attestazione della Presenza: Quando il Licenziamento è Inevitabile

La falsa attestazione presenza sul luogo di lavoro rappresenta una delle più gravi infrazioni che un dipendente possa commettere. Questo comportamento, noto anche come ‘il caso dei furbetti del cartellino’, mina alla base il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e, come confermato dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 16616/2024, giustifica pienamente il licenziamento per giusta causa. Analizziamo insieme questo caso emblematico che ha coinvolto due dipendenti di un ente comunale.

Il Contesto: La Condotta Fraudolenta e il Percorso Giudiziario

La vicenda riguarda due dipendenti pubblici licenziati per aver falsamente attestato la loro presenza in servizio. In pratica, era stato accertato che non provvedevano personalmente a timbrare il proprio badge, ma delegavano tale compito a un collega, creando un vero e proprio sistema fraudolento e sistematico. Questa condotta, oltre a ledere l’immagine dell’ente, configurava anche reati penali come la truffa.

I lavoratori hanno impugnato il licenziamento, sostenendo che la contestazione disciplinare fosse generica e che il fatto non fosse stato adeguatamente provato. Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello hanno respinto le loro doglianze, confermando la legittimità del recesso. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

Falsa Attestazione Presenza: L’Onere della Prova

Uno dei principali motivi di ricorso si basava sulla presunta violazione delle regole sull’onere della prova. I ricorrenti sostenevano che i giudici avessero erroneamente posto a loro carico la prova di non aver commesso l’illecito.

La Cassazione ha respinto con forza questa argomentazione, qualificandola come inammissibile. I giudici di legittimità hanno chiarito che la Corte d’Appello non ha invertito l’onere probatorio. Al contrario, ha condotto un’analisi dettagliata e completa delle prove raccolte (documenti, testimonianze), giungendo alla conclusione che il datore di lavoro aveva ampiamente dimostrato la fondatezza degli addebiti. I tentativi dei lavoratori di fornire giustificazioni, spesso contraddittorie, non hanno fatto altro che rafforzare il convincimento dei giudici.

La Valutazione della Proporzionalità della Sanzione

I ricorrenti hanno inoltre contestato la proporzionalità della sanzione espulsiva, ritenendola eccessiva rispetto ai fatti. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile.

La Gravità della Condotta

La Corte ha ribadito che la valutazione sulla proporzionalità è un giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è supportato da una motivazione logica e adeguata. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato la particolare gravità della condotta, caratterizzata da sistematicità, intenzionalità e partecipazione a un sistema truffaldino esteso.

Il Tradimento del Legame Fiduciario

Un punto cruciale della decisione è la rottura irreparabile del vincolo fiduciario. La propensione alla trasgressione dei doveri istituzionali, attuata con sistemi ‘articolati e insidiosi’, compromette definitivamente la fiducia che qualsiasi datore di lavoro deve poter riporre nei propri dipendenti. Di fronte a un comportamento di tale gravità, persino l’assenza di precedenti disciplinari diventa irrilevante.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione, dichiarando il ricorso inammissibile, ha consolidato un principio fondamentale: la valutazione dei fatti e delle prove è di competenza esclusiva dei giudici di merito. Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare le prove. Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello era solida, coerente e basata su un’attenta ricostruzione dei fatti. I giudici hanno ritenuto che la condotta dei lavoratori fosse talmente grave da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia, rendendo la sanzione del licenziamento non solo proporzionata, ma necessaria.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza n. 16616/2024 riafferma con fermezza che la falsa attestazione presenza è una condotta intollerabile nel rapporto di lavoro, specialmente nel pubblico impiego. La decisione sottolinea che non si tratta di una mera irregolarità formale, ma di un comportamento che denota una scarsa inclinazione all’adempimento dei propri doveri e al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza. Per i datori di lavoro, questa pronuncia rappresenta un’importante conferma della possibilità di adottare la massima sanzione disciplinare di fronte a violazioni così gravi, mentre per i lavoratori costituisce un monito sulla necessità di mantenere un comportamento leale e corretto.

Chi deve provare la falsa attestazione della presenza in servizio?
Spetta al datore di lavoro fornire la prova dei fatti che costituiscono la giusta causa del licenziamento. In questo caso, l’ente pubblico ha provato, tramite testimonianze e documentazione, la condotta illecita dei dipendenti.

Far timbrare il proprio cartellino da un collega giustifica il licenziamento per giusta causa?
Sì. Secondo la Corte, tale comportamento costituisce una violazione talmente grave degli obblighi di diligenza e fedeltà da compromettere definitivamente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, giustificando la sanzione espulsiva.

L’assenza di precedenti sanzioni disciplinari può evitare il licenziamento in un caso simile?
No. La Corte ha chiarito che, di fronte a una condotta di particolare gravità, sistematicità e fraudolenza come la falsa attestazione della presenza, l’assenza di precedenti disciplinari non è sufficiente a escludere la legittimità del licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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