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Falsa attestazione presenza: licenziamento legittimo

Un dipendente pubblico è stato licenziato per essersi allontanato dal luogo di lavoro in più occasioni senza timbrare l’uscita, per recarsi in palestra o a casa. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, qualificando la condotta come una ‘falsa attestazione presenza’ attuata con modalità fraudolente. Secondo i giudici, l’omessa timbratura interrompe il vincolo di fiducia e giustifica la sanzione espulsiva, in quanto l’onere di provare la giustificazione dell’assenza ricade sul lavoratore, una volta che il datore di lavoro ha dimostrato l’allontanamento.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Falsa attestazione presenza: quando l’assenza non timbrata costa il posto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9054/2025, si è pronunciata su un caso di licenziamento per giusta causa di un dipendente pubblico, ribadendo principi fondamentali in materia di falsa attestazione presenza. La decisione chiarisce che allontanarsi dal posto di lavoro per motivi personali senza registrare l’uscita tramite badge costituisce una condotta fraudolenta talmente grave da giustificare la massima sanzione disciplinare. Questo caso offre spunti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova e sulla lesione del vincolo fiduciario nel pubblico impiego.

I Fatti del Caso: Assenze non Registrate e Licenziamento

Un dipendente di un ente comunale veniva licenziato per giusta causa dopo che era stato accertato il suo allontanamento dal servizio in sei diverse occasioni. Durante l’orario di lavoro, e senza effettuare la timbratura del badge in uscita, il lavoratore si era recato in palestra oppure presso la propria abitazione o quella della madre. Tali assenze venivano documentate da annotazioni della polizia giudiziaria.

Il lavoratore impugnava il licenziamento sostenendo un’errata applicazione delle regole sull’onere probatorio. A suo dire, il datore di lavoro avrebbe dovuto non solo provare la sua assenza, ma anche dimostrare che egli fosse impegnato in attività incompatibili con le sue mansioni. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello rigettavano le sue argomentazioni, confermando la legittimità del provvedimento espulsivo. Il caso giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e la Falsa Attestazione Presenza

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, confermando la validità del licenziamento. I giudici hanno stabilito che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi sull’onere della prova. Il datore di lavoro, infatti, ha il compito di dimostrare il fatto oggettivo dell’assenza del dipendente dal posto di lavoro durante l’orario di servizio. Una volta fornita tale prova, spetta al lavoratore dimostrare l’esistenza di una causa giustificativa per tale assenza.

Nel caso di specie, non solo il datore di lavoro aveva provato l’allontanamento, ma le prove raccolte (annotazioni della P.G.) dimostravano inequivocabilmente che le assenze erano dovute a ragioni personali (andare in palestra o a casa) e non a motivi di servizio. La condotta del lavoratore è stata quindi qualificata come falsa attestazione presenza attuata con “modalità fraudolente”, poiché l’omessa timbratura era finalizzata a ingannare l’amministrazione sul corretto svolgimento della prestazione lavorativa.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha sottolineato che la condotta del dipendente ha reciso gravemente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, elemento essenziale del rapporto, specialmente nel settore pubblico. L’omessa registrazione delle uscite, pur non essendo un’alterazione materiale del sistema di rilevazione, costituisce una modalità fraudolenta che rappresenta una situazione apparente diversa da quella reale, inducendo in errore l’amministrazione.

I giudici hanno richiamato la normativa specifica (art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001), che sanziona con il licenziamento la falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento o con altre modalità fraudolente. La Corte ha chiarito che anche la mancata registrazione di un’uscita interruttiva del servizio rientra in questa casistica, in quanto è una condotta oggettivamente idonea a trarre in inganno il datore di lavoro.

Infine, la valutazione sulla proporzionalità della sanzione espulsiva è stata ritenuta correttamente effettuata dai giudici di merito, i quali hanno considerato la gravità della violazione e l’intenzionalità fraudolenta (il cosiddetto consilium fraudis), che impedivano la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso nei confronti dei cosiddetti “furbetti del cartellino”. Le conclusioni che se ne possono trarre sono chiare:

1. Onere della Prova: Il datore di lavoro deve provare l’assenza; il lavoratore deve provare la giustificazione. Non è richiesto al datore di provare cosa facesse il dipendente durante l’assenza.
2. Condotta Fraudolenta: La semplice omissione della timbratura in uscita per motivi personali è sufficiente a configurare una modalità fraudolenta e, di conseguenza, una falsa attestazione presenza.
3. Vincolo Fiduciario: Tali comportamenti minano alla base la fiducia che il datore di lavoro, specie se ente pubblico, deve poter riporre nei propri dipendenti, giustificando il licenziamento per giusta causa.

La decisione riafferma l’importanza della correttezza e della trasparenza nella gestione del rapporto di lavoro, ricordando che gli obblighi di diligenza e fedeltà non ammettono scorciatoie.

Chi deve provare la giustificazione di un’assenza dal luogo di lavoro?
Una volta che il datore di lavoro ha provato l’oggettiva assenza del dipendente dal suo posto durante l’orario di servizio, spetta al lavoratore l’onere di provare l’esistenza di elementi o circostanze che possano giustificare tale assenza.

L’omessa timbratura in uscita per motivi personali è considerata una condotta fraudolenta?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la mancata registrazione delle uscite interruttive del servizio per motivi personali costituisce un’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente, in quanto è una condotta idonea a indurre in errore il datore di lavoro.

Il licenziamento è sempre automatico in caso di falsa attestazione della presenza?
No, la normativa non determina un automatismo espulsivo. La decisione rimane affidata al giudice di merito, che deve verificare la proporzionalità e l’adeguatezza del licenziamento in relazione alla gravità specifica della condotta e a tutte le circostanze del caso concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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