Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23644 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23644 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24699-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
R.G.N.24699/2019
COGNOME
Rep.
Ud.25/02/2025
CC
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 113/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/02/2019 R.G.N. 514/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Bologna ha accolto parzialmente il gravame proposto da INPS e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’originaria domanda proposta da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, volta a conseguire l’accertamento negativo dell’obbligo contributivo in favore della Gestione Separata per i liberi professionisti, non estinto per prescrizione quinquennale interrotta dalla dichiarazione dei redditi per l’annualità di riferimento (2009; solo per COGNOME si discuteva in primo grado anche dell’annualità 2010, sulla quale però si era formato il giudicato interno per mancanza di impugnazione di INPS).
La Corte territoriale ha quindi richiamato la disciplina normativa e l’indirizzo giurisprudenziale inerente all’obbligo di iscrizione
alla gestione separata gestita da INPS per i professionisti, ancorché siano tenuti al versamento di un contributo integrativo alla cassa professionale di appartenenza cui non faccia seguito la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio. Nel caso di specie, si trattava di obbligo contributivo sui redditi prodotti nell’ambito dell’attività professionale di avvocat i iscritti all’ A lbo, ai sensi dell’art. 2 comma 26 L. 335/1995, come autenticamente interpretato dall’art. 18 comma 12 D.L. 98/2011 . La Corte d’appello ha tuttavia escluso, con ciò accogliendo l’eccezione delle parti appellate, che in relazione alle somme aggiuntive potesse configurarsi un’ipotesi di evasione contributiva nel caso in cui siano state presentate le denunce fiscali: in t al modo l’INPS poteva avere contezza del reddito professionale e non era quindi ravvisabile alcun dolo specifico di occultamento della obbligazione contributiva. Ha dunque limitato l’applicazione del regime sanzionatorio alla sola ipotesi di omissione, di cui all’art. 116 comma 8 lett. A della L. n. 388/2000, e non già di evasione, tenuto conto anche delle oggettive incertezze giurisprudenziali in tema di rilevanza del tardivo o mancato versamento dei contributi.
Ricorre per cassazione l’INPS articolando un unico motivo; i professionisti COGNOME COGNOME e COGNOME resistono con controricorso; gli altri restano intimati.
Nell’Adunanza del 25 febbraio 2025 il ricorso è stato trattato e deciso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto di previdenza deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 116 comma 8 lett. a) e lett. b) della
L. n. 388/2000, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che non ricorrerebbe nella specie la più grave ipotesi di evasione contributiva in luogo del meno gravoso regime sanzionatorio dell’omissione, nonostante il tardivo pagamento dei contrib uti e l’omessa comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa. In particolare, non vi sarebbe stato un mero ritardo nell’adempimento ma un’ omissione di comunicazioni che ha generato inadempimento. In sostanza si trattava di omessa denuncia avendo l ‘INPS appreso solo indirettamente il rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione dei redditi, avvenuta peraltro oltre il termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione contributiva.
2. Con tre distinti atti di controricorso, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME rappresentano di essere avvocati iscritti all’Albo professionale e di avere prodotto per l’anno 2009 redditi di entità inferiore a quello richiesto dalla Cassa forense, di avere contestato l ‘applicazione della sanzione per l’ipotesi di evasione -illegittima e sproporzionata- avendo regolarmente dichiarato alla Cassa Forense i propri redditi con Mod. 5, di avere eccepito in primo grado la prescrizione di cui invocavano la rilevabilità d’ufficio senza proporre appello incidentale; quindi eccepiscono l’inammissibilità del ricorso dell’INPS che non offre elementi di novità rispetto alle difese già dispiegate in secondo grado e non indica specifici elementi per una precisa cognizione della vicenda processuale; né da esso si comprenderebbero le ragioni per le quali l’Istituto ritenga applicabile il regime sanzionatorio dell’evasione ai sensi dell’art. 116 comma 8, lett.B. Richiamano quindi l’ orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale la mera mancata presentazione del Mod. DM/10 non configura la fattispecie di evasione, non essendo impedita all’INPS la possibilità di ricostruire la base contributiva
attraverso informazioni acquisibili tramite documentazione già in suo possesso (mod. 5, dichiarazione dei redditi, casellario previdenziale) sicché la sola mancata compilazione del quadro RR non integra un comportamento doloso, avendo la parte ritenuto incolpevolmente di non doversi rapportare con INPS.
Nelle memorie difensive depositate in prossimità di udienza i controricorrenti insistono per l’annullamento delle sanzioni in forza della pronuncia della Corte Cost. n. 104/2022.
3. Il ricorso è infondato.
L’unico motivo di ricorso involge la questione inerente alla distinzione tra le ipotesi di evasione ed omissione contributiva. Contrariamente a quanto affermato dal giudice di secondo grado, l’INPS insiste per la qualificazione della condotta del professio nista, pacificamente tenuto all’obbligo contributivo, nel senso di evasione per avere omesso di comunicare, entro i termini previsti, i dati attinenti al proprio rapporto di lavoro, rilevanti ai fini del computo dell’importo contributivo; in particolare l’Istituto ha ritenuto che non sia condivisibile l’applicazione del meno gravoso regime sanzionatorio in presenza di un tardivo pagamento dei contributi e dell’omessa comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa; non si tratterebbe di un mero ritardo ma di una vera e propria omissione nelle comunicazioni che il lavoratore doveva rendere all’Ente previdenziale.
Questa Corte ha già affermato (con sentenza n. 28966/2011) che la fattispecie di ‘omissione contributiva’ di cui alla lettera a) dell’art. 116 comma 8 della L. n.388/2000 riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei
contributi, dovendosi invece ritenere che l’omessa o infedele denuncia (che integra l’ipotesi di evasione) configuri l’occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi ‘e faccia presumere l’esistenza datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti’. Di seguito, con ordinanza n. 29272/2022 la Corte, nel richiamare la precedente pronuncia, ha affermato che il termine occultamento non indica necessariamente l ‘ assoluta mancanza di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o della retribuzione, ma la mancata, o incompleta, o non conforme al vero, denuncia obbligatoria attraverso la quale viene celata all’Ente previdenziale l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione.
Nel caso in esame, l’Istituto ricorrente dà atto della ‘ circostanza (riportata nella sentenza impugnata) che la comunicazione all’Ente vi è stata ‘; trattasi , quindi, di una circostanza non contestata, corroborata dalla presentazione della dichiarazione dei redditi che ‘ è avvenuta oltre il termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione contributiva ‘, di cui i controricorrenti non negano l’esistenza ed anzi la presentazione della dichiarazione fiscale priva della annotazione nel quadro RR, non è contestata da INPS; si tratta di circostanze che integrano un accertamento di fatto positivamente superato dal giudice di appello.
L’evasione, quindi, è connessa ad un’intenzione specifica di non versare i contributi che, sulla base di un accertamento di fatto svolto dal giudice di merito, non è rivedibile in sede di legittimità. La Corte ha precisato (ord. 4730/2025) che il rilievo attribuito dalla norma all’elemento intenzionale consente di
escludere l’evasione anche in caso di denunce omesse. Si tratta infatti di presunzione relativa, superabile mediante l’ allegazione e la prova (con onere a carico del soggetto inadempiente) di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento, il cui apprezzamento è rimesso al giudice del merito.
Sul tema della rilevanza della omissione ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. a) della L. 388/2000 in assenza di un fine fraudolento o di un volontario occultamento dei rapporti o delle retribuzioni, si è pronunciata anche sentenza n. 9159/2017; e, sulla non configurabilità di un automatismo tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo, in quanto il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione rimessa al giudice di merito, censurabile in cassazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360, co.1, n. 5 c.p.c., si rammenti la pronuncia di questa Corte con ordinanza n. 330/2025.
Non va obliterato, altresì, l’orientamento pure espresso nelle predette pronunce n.330/2025 e 4730/2025, secondo il quale la doglianza dell’INPS si basa su un quadro normativo superato dalla sentenza della Corte Cost. n. 104/2022, con la quale è stata dich iarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011 conv. con L. n. 111 del 2011, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alta Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 22 (e perciò tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS) siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Non avendo il
contro
ricorrente proposto ricorso incidentale avverso la condanna al pagamento delle sanzioni dovute per omissione contributiva, detta condanna va tenuta ferma nonostante la suddetta sentenza della Corte costituzionale; infatti, come ricordato da Cass. n. 20466/2022, la previsione dell’art. 136 Cost., secondo cui la declaratoria d’incostituzionalità di una norma di legge comporta che quest’ultima cessi di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, deve essere raccordata con i principi generali in materia di impugnazioni e specialmente con quello secondo cui la mancata impugnazione della parte che potrebbe giovarsi della pronuncia d’incostituzionalità impedisce che lo ius superveniens costituito dalla sentenza della Corte costituzionale possa operare in danno della parte impugnante, ostandovi il divieto di reformatio in peius , di cui al combinato disposto degli artt. 100 e 112 c.p.c. Concernendo il ricorso principale dell’INPS la sola questione della configurabilità dell’evasione -invece che dell’omissione contributiva- non si potrebbe dar corso all ‘ applicazione dello ius superveniens costituito dalla declaratoria di incostituzionalità delle sanzioni senza con ciò stesso riformare la sentenza impugnata in danno della parte impugnante.
10. Da ultimo, va rilevato che non ha prego l’osservazione de i controricorrent i circa la rilevabilità d’ufficio della prescrizione eccepita in primo grado ma non riproposta come ricorso incidentale. Invero, non essendo devoluto lo specifico punto affrontato dalla sentenza di appello, la sua rivalutazione ex officio si porrebbe anch’ essa come una reformatio in pejus ai danni del ricorrente istituto. Ad ogni modo, va osservato che i termini di scadenza del versamento contributivo, fissati al 16 giugno dell’an no successivo a quello a cui si riferiscono i redditi prodotti, erano stati prorogati al 6/7/2010 in forza del D.P.C.M.
del 10/6/2010, sicché gli avvisi bonari ricevuti dai tre controricorrenti, rispettivamente in data 30/6/2015, 2/7/15 e 30/6/15, intervenuti prima della scadenza del termine quinquennale come innanzi prorogato, hanno avuto efficacia interruttiva della prescrizione.
Il ricorso va, pertanto, respinto. Segue per soccombenza la condanna al pagamento delle spese, nonché la sanzione del doppio del contributo unificato, come per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 1.800,00, oltre accessori di rito, in favore di ciascuna parte controricorrente costituita.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta