Estinzione giudizio Cassazione: il valore del silenzio dopo la proposta di definizione
L’estinzione del giudizio di Cassazione rappresenta una delle possibili conclusioni del processo di legittimità. Un recente decreto della Suprema Corte offre un chiaro esempio di come l’inerzia di una parte possa portare a questa conseguenza, sottolineando l’importanza dei termini processuali. Il caso analizzato riguarda un ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello, ma la sua risoluzione si è fermata a un passaggio procedurale cruciale, trasformando il silenzio del ricorrente in una rinuncia di fatto al ricorso stesso.
I Fatti di Causa
Un cittadino aveva impugnato una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Firenze, portando la controversia dinanzi alla Corte di Cassazione. Durante la fase preliminare del giudizio di legittimità, in conformità con quanto previsto dall’articolo 380-bis del codice di procedura civile, è stata formulata una proposta per una definizione rapida e semplificata del giudizio. Questa proposta è stata regolarmente comunicata a tutte le parti coinvolte nel processo, inclusi il ricorrente e la controparte, un istituto di credito.
La Procedura dell’Art. 380-bis e la conseguente Estinzione Giudizio Cassazione
L’articolo 380-bis c.p.c. prevede che, una volta comunicata la proposta di definizione, le parti abbiano a disposizione un termine perentorio per richiedere che la Corte proceda comunque alla decisione del ricorso. Nel caso specifico, questo termine era fissato in quaranta giorni. Tuttavia, decorso tale periodo, la parte ricorrente non ha manifestato alcuna volontà di proseguire, non presentando alcuna istanza per la decisione. Questa omissione non è un dettaglio di poco conto, ma un’azione (o meglio, un’inazione) con precise conseguenze legali. La norma, infatti, stabilisce che il silenzio della parte ricorrente, a fronte della proposta di definizione, equivale a una rinuncia al ricorso.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione, nel suo decreto, ha semplicemente applicato la disciplina normativa. I giudici hanno preso atto che il termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta era trascorso senza che il ricorrente facesse pervenire alcuna richiesta di trattazione.
Di conseguenza, richiamando il secondo comma dell’art. 380-bis c.p.c., la Corte ha ritenuto che il ricorso dovesse intendersi come rinunciato. Questo ha portato inevitabilmente alla declaratoria di estinzione del giudizio di Cassazione. La decisione si fonda su una presunzione legale: chi, messo di fronte a una proposta di definizione, non insiste per una decisione nel merito, implicitamente accetta di non proseguire il contenzioso.
Infine, ai sensi dell’art. 391, secondo comma, c.p.c., la Corte ha provveduto a regolare le spese processuali. L’estinzione per rinuncia comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese legali sostenute dalla controparte, che sono state liquidate in dispositivo nella misura di Euro 2.200,00 per compensi, oltre a spese forfettarie, esborsi e accessori di legge.
Conclusioni
Il provvedimento in esame ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale: la vigilanza e il rispetto dei termini sono cruciali. La procedura semplificata dell’art. 380-bis c.p.c. è uno strumento deflattivo del contenzioso, ma impone alle parti una scelta chiara. Il silenzio non è neutro, ma viene interpretato dalla legge come una precisa manifestazione di volontà, ovvero la rinuncia a proseguire nel giudizio. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa decisione serve come monito: l’inerzia processuale può costare cara, non solo determinando la fine del processo senza un esame del merito, ma anche comportando la condanna alle spese legali.
Cosa succede se il ricorrente in Cassazione non risponde alla proposta di definizione semplificata entro il termine stabilito?
Se il ricorrente non deposita un’istanza per chiedere la decisione del ricorso entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il ricorso si intende rinunciato e il giudizio viene dichiarato estinto.
Qual è la principale conseguenza dell’estinzione del giudizio di Cassazione per rinuncia?
La principale conseguenza è la chiusura del processo senza una decisione sul merito della questione. Inoltre, la parte che ha rinunciato (in questo caso, il ricorrente) viene condannata a rimborsare le spese processuali sostenute dalla controparte.
Su quale base normativa la Corte dichiara estinto il giudizio in questo caso?
La Corte si basa sull’articolo 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile, che equipara la mancata richiesta di decisione alla rinuncia al ricorso, e sull’articolo 391 dello stesso codice per la regolamentazione delle spese processuali conseguenti all’estinzione.
Testo del provvedimento
Decreto di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22175 Anno 2025
Civile Decr. Sez. 1 Num. 22175 Anno 2025
Presidente:
Relatore:
Data pubblicazione: 01/08/2025
DECRETO
sul ricorso iscritto al n. 25907/2022 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in Firenze, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in AREZZO, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI FIRENZE n.1725/2022 depositata il 10/08/2022
Vista la proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. e comunicata alle parti;
Considerato che è trascorso il termine di giorni quaranta dalla comunicazione della anzidetta proposta senza che la parte ricorrente abbia chiesto la decisione del ricorso;
Ritenuto, pertanto, che – a norma dell’art. 380 -bis, secondo comma, c.p.c. – il ricorso deve intendersi rinunciato e deve
provvedersi a dichiarare l’estinzione del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 391 cod. proc. civ.;
Ritenuto che, a norma dell’art. 391, secondo comma, c.p.c., deve provvedersi sulle spese processuali, che vanno liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio di Cassazione.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 30/07/2025