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Estinzione giudizio Cassazione: il silenzio vale rinuncia

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio perché il ricorrente non ha chiesto una decisione entro 40 giorni dalla proposta di definizione semplificata. La Corte ha interpretato il silenzio come una rinuncia implicita al ricorso, applicando l’art. 380-bis c.p.c. Questa decisione sottolinea l’importanza dei termini processuali e le conseguenze dell’inattività, portando alla definitiva estinzione del giudizio di Cassazione.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione Giudizio Cassazione: Quando il Silenzio Comporta la Rinuncia al Ricorso

Nel complesso mondo della procedura civile, i termini e le scadenze non sono semplici formalità, ma elementi essenziali che determinano l’esito di una controversia. Una recente decisione della Corte di Cassazione, il Decreto n. 19882/2025, offre un chiaro esempio di come l’inattività di una parte possa portare a conseguenze drastiche, come l’estinzione del giudizio di Cassazione. Questo provvedimento illustra perfettamente il meccanismo previsto dall’art. 380-bis del codice di procedura civile, trasformando il silenzio del ricorrente in una vera e propria rinuncia al ricorso.

Il Contesto Processuale

Il caso ha origine da un ricorso presentato alla Suprema Corte contro una sentenza emessa dal Tribunale di Catania. Una volta ricevuto il ricorso, la sezione competente della Cassazione ha formulato una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Questa proposta, che suggerisce una risoluzione accelerata della causa, è stata regolarmente comunicata a tutte le parti coinvolte nel procedimento.

La normativa concede alla parte ricorrente un termine perentorio di quaranta giorni per manifestare la propria volontà di proseguire con la discussione del ricorso, chiedendo una decisione formale. Nel caso di specie, questo termine è trascorso senza che il ricorrente presentasse alcuna istanza.

L’Estinzione del Giudizio di Cassazione per Mancata Istanza

La procedura delineata dall’art. 380-bis c.p.c. è concepita per snellire il carico di lavoro della Corte di Cassazione, consentendo una definizione rapida dei ricorsi che appaiono di facile soluzione. La norma stabilisce una sorta di “silenzio-assenso” al contrario: se il ricorrente, una volta ricevuta la proposta, non insiste per la decisione entro quaranta giorni, la legge presume che abbia rinunciato al ricorso stesso.

Questa presunzione di rinuncia non è un’interpretazione discrezionale del giudice, ma una conseguenza diretta prevista dal secondo comma del medesimo articolo. L’inerzia della parte ricorrente attiva automaticamente il meccanismo che porta all’estinzione del giudizio di Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte, nel suo decreto, ha semplicemente preso atto del decorso del termine. La motivazione è lineare e si fonda su due pilastri normativi:

1. L’art. 380-bis, secondo comma, c.p.c.: Questa norma stabilisce che il ricorso si intende rinunciato se la parte non chiede la decisione entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione. La Corte ha verificato che tale termine era trascorso invano.
2. L’art. 391 c.p.c.: Una volta accertata la rinuncia, questa norma impone al giudice di dichiarare l’estinzione dell’intero giudizio.

Inoltre, la Corte ha ritenuto di non dover decidere sulle spese processuali. La ragione risiede nel fatto che le parti intimate, ovvero coloro contro cui era stato presentato il ricorso, non avevano svolto alcuna attività difensiva nel corso del giudizio di Cassazione. Di conseguenza, non avendo sostenuto costi legali per difendersi, non vi era alcun titolo per un eventuale rimborso.

Le Conclusioni

La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale della procedura civile: la vigilanza e il rispetto dei termini processuali sono un onere imprescindibile per chi agisce in giudizio. Il meccanismo dell’art. 380-bis c.p.c. è uno strumento di efficienza processuale che, tuttavia, richiede la massima attenzione da parte dei difensori. Il silenzio, in questo specifico contesto, non è neutro, ma assume il valore legale di una rinuncia, con l’effetto irrevocabile di chiudere il processo. Per avvocati e parti, la lezione è chiara: ogni comunicazione proveniente dalla Corte deve essere gestita con prontezza, poiché l’inerzia può costare l’intero giudizio.

Cosa accade se un ricorrente in Cassazione non risponde alla proposta di definizione del giudizio entro il termine stabilito?
Il ricorso si intende legalmente rinunciato e, di conseguenza, il giudizio viene dichiarato estinto.

Perché in questo caso è stata dichiarata l’estinzione del giudizio di Cassazione?
L’estinzione è stata dichiarata perché il ricorrente, dopo aver ricevuto la proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ha lasciato trascorrere il termine di quaranta giorni senza chiedere una decisione sul ricorso, comportamento che la legge equipara a una rinuncia.

Per quale motivo la Corte non ha emesso una condanna al pagamento delle spese legali?
Non è stata presa alcuna decisione sulle spese perché le parti intimate (le controparti) non hanno partecipato attivamente al giudizio di Cassazione, non svolgendo alcuna attività difensiva e, quindi, non sostenendo costi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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