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Estinzione del giudizio: silenzio dopo la proposta

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio a seguito della mancata richiesta di decisione da parte del ricorrente entro 40 giorni dalla proposta di definizione. La parte ricorrente, composta da una società e un privato, è stata condannata al pagamento delle spese legali in favore dell’Ente Comunale resistente. La decisione si fonda sull’applicazione dell’art. 380-bis c.p.c., che equipara il silenzio a una rinuncia al ricorso.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione del giudizio: quando il silenzio equivale a una rinuncia

L’estinzione del giudizio rappresenta una delle possibili conclusioni di un processo civile e, come dimostra un recente decreto della Corte di Cassazione, può derivare anche da una semplice inerzia processuale. In questo articolo, analizzeremo un caso emblematico in cui la mancata risposta di una parte a una proposta di definizione del giudizio ha portato non solo alla chiusura del procedimento, ma anche alla condanna al pagamento delle spese legali. Approfondiremo le norme di riferimento, in particolare gli articoli 380-bis e 391 del codice di procedura civile, per comprendere le gravi conseguenze del silenzio nel contesto del giudizio di legittimità.

I Fatti del Caso: Il Silenzio dopo la Proposta di Definizione

La vicenda trae origine da un ricorso presentato in Cassazione da una società per azioni e da un privato cittadino contro un Ente Comunale. Durante lo svolgimento del procedimento, è stata formulata una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., regolarmente comunicata a tutte le parti coinvolte. Questa procedura ha lo scopo di accelerare la risoluzione delle controversie, offrendo una possibile via d’uscita prima della decisione finale.

Tuttavia, dalla data di comunicazione della proposta, sono trascorsi i quaranta giorni previsti dalla legge senza che la parte ricorrente manifestasse la volontà di proseguire, ovvero senza che chiedesse formalmente una decisione sul merito del ricorso. Questo silenzio è stato l’elemento cruciale che ha determinato l’esito del procedimento.

La Decisione della Corte: Estinzione del Giudizio e Condanna alle Spese

Di fronte all’inattività della parte ricorrente, il Consigliere delegato ha agito in conformità con la legge.

La Corte ha emesso un decreto con cui:
1. Dichiara l’estinzione del giudizio di cassazione: il processo si è concluso senza una pronuncia sul merito della questione.
2. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese: la società e il privato cittadino sono stati obbligati a rimborsare le spese legali sostenute dall’Ente Comunale per difendersi nel giudizio. L’importo è stato liquidato in Euro 1.205,00 per compensi, oltre a spese forfettarie del 15%, esborsi per Euro 200,00 e accessori di legge.

La decisione, quindi, non solo ha vanificato l’azione legale intrapresa dai ricorrenti, ma ha anche comportato un onere economico significativo a loro carico.

Le Motivazioni: L’Applicazione dell’Art. 380-bis c.p.c. e la presunzione di rinuncia

Le motivazioni del decreto si fondano su una precisa interpretazione delle norme procedurali. Il fulcro della decisione risiede nel secondo comma dell’art. 380-bis c.p.c. Questa norma stabilisce una presunzione legale: se, dopo aver ricevuto la proposta di definizione, la parte ricorrente non deposita un’istanza per la decisione del ricorso entro il termine perentorio di quaranta giorni, il ricorso si considera rinunciato. In altre parole, la legge interpreta il silenzio come una tacita volontà di abbandonare la causa.

Conseguentemente, una volta accertata la rinuncia tacita, la Corte è tenuta a dichiarare l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391 del codice di procedura civile. Quest’ultimo articolo, al suo secondo comma, prevede che il giudice debba provvedere anche alla liquidazione delle spese processuali, ponendole a carico della parte la cui inattività ha causato la chiusura anticipata del processo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Decreto

Questo provvedimento ribadisce un principio fondamentale della procedura civile: i termini processuali non sono mere formalità, ma elementi essenziali che garantiscono la certezza e la celerità del diritto. Per chi intraprende un ricorso in Cassazione, la lezione è chiara: la ricezione di una proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. richiede una reazione attiva e tempestiva.

Ignorare la comunicazione o lasciar trascorrere il termine di quaranta giorni senza presentare un’istanza di decisione equivale a una sconfitta processuale, con l’ulteriore aggravio della condanna alle spese. È quindi cruciale che le parti e i loro difensori monitorino attentamente le scadenze e prendano una decisione esplicita sul da farsi, per evitare che un’inerzia si trasformi in una rinuncia dagli effetti economici e legali definitivi.

Cosa succede se la parte che ha fatto ricorso in Cassazione non risponde alla proposta di definizione del giudizio?
Se la parte ricorrente non chiede che si proceda alla decisione del ricorso entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta di definizione, il ricorso si intende rinunciato e il giudizio viene dichiarato estinto.

Chi paga le spese legali in caso di estinzione del giudizio per inattività del ricorrente?
In base al provvedimento, la parte ricorrente, la cui inattività ha causato l’estinzione, viene condannata a pagare le spese processuali sostenute dalla parte controricorrente.

Qual è la base normativa per dichiarare l’estinzione del giudizio in questo caso?
La decisione si fonda sull’articolo 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile, che disciplina la rinuncia tacita al ricorso, e sull’articolo 391 dello stesso codice, che regola l’estinzione del giudizio di cassazione e la pronuncia sulle spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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