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Estinzione del giudizio: la rinuncia tacita in Cassazione

Un gruppo di cittadini ha impugnato una sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione. A seguito della proposta di definizione del giudizio, i ricorrenti non hanno chiesto la fissazione dell’udienza entro il termine previsto. La Corte ha quindi dichiarato l’estinzione del giudizio, interpretando il loro silenzio come una rinuncia tacita al ricorso e condannandoli al pagamento delle spese legali.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione del Giudizio: Il Silenzio che Costa Caro in Cassazione

Nel complesso mondo della procedura civile, il silenzio di una parte può avere conseguenze definitive e talvolta onerose. Un recente decreto della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’inerzia di fronte a una proposta di definizione del ricorso equivale a una rinuncia, portando all’estinzione del giudizio. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere l’importanza della diligenza procedurale nel più alto grado di giudizio.

I fatti del caso

Un gruppo di cittadini aveva presentato ricorso alla Corte di Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma. La loro controversia li vedeva contrapposti a diverse amministrazioni pubbliche, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri dell’Istruzione, della Salute e dell’Economia. I ricorrenti, rappresentati dal loro legale, avevano eletto domicilio a Roma per seguire il procedimento.

La proposta di definizione e il silenzio dei ricorrenti

Durante la fase preliminare del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 380-bis del codice di procedura civile, è stata comunicata alle parti una proposta per la definizione del ricorso. Questa procedura ha lo scopo di accelerare i tempi della giustizia nei casi in cui l’esito del ricorso appare di facile soluzione. La norma prevede che, una volta ricevuta tale comunicazione, la parte ricorrente abbia un termine perentorio – in questo caso quaranta giorni – per richiedere che la Corte decida comunque il ricorso in udienza. Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti hanno lasciato decorrere il termine senza presentare alcuna istanza.

La decisiva conseguenza: l’estinzione del giudizio per rinuncia tacita

La Suprema Corte, preso atto del decorso del termine senza alcuna azione da parte dei ricorrenti, ha applicato rigorosamente la legge. Il silenzio dei ricorrenti è stato interpretato non come una semplice dimenticanza, ma come una rinuncia tacita al ricorso stesso. Di conseguenza, il Collegio ha dichiarato l’estinzione del giudizio e ha condannato i ricorrenti a rifondere le spese processuali alla controparte, liquidate in Euro 7.000,00 oltre oneri accessori.

Le motivazioni della Corte

Il decreto si fonda su un’interpretazione chiara e consolidata delle norme procedurali. La motivazione principale risiede nell’applicazione combinata di due articoli del codice di procedura civile.

In primo luogo, l’art. 380-bis, secondo comma, c.p.c., stabilisce che se la parte ricorrente, dopo la comunicazione della proposta di definizione, non chiede la decisione del ricorso, quest’ultimo ‘si intende rinunciato’. Si tratta di una presunzione legale di rinuncia: il legislatore ha scelto di attribuire al silenzio un significato giuridico preciso, quello dell’abbandono dell’impugnazione.

In secondo luogo, l’art. 391 cod. proc. civ. disciplina le conseguenze della rinuncia, prevedendo che essa porti all’estinzione del procedimento. La Corte non ha fatto altro che applicare questa sequenza logico-giuridica: dalla mancata richiesta di decisione è derivata la presunzione di rinuncia, e dalla rinuncia è conseguita, come atto dovuto, la dichiarazione di estinzione del giudizio. La condanna alle spese, infine, è la conseguenza naturale della soccombenza processuale, anche in caso di estinzione per rinuncia.

Le conclusioni

La decisione in esame è un monito sull’importanza cruciale del rispetto dei termini e delle procedure nel processo di Cassazione. Dimostra come un’omissione, apparentemente di poco conto come la mancata richiesta di fissazione dell’udienza, possa determinare la fine irrevocabile di un giudizio, con l’ulteriore aggravio delle spese legali. Per gli avvocati e i loro assistiti, questo caso sottolinea la necessità di una gestione attenta e proattiva di ogni fase del procedimento, specialmente di fronte a comunicazioni della Corte che richiedono una presa di posizione esplicita. L’estinzione del giudizio per inerzia non è una sanzione, ma la logica conseguenza di un sistema che premia la diligenza e attribuisce un valore decisivo anche al silenzio.

Cosa succede se la parte ricorrente non risponde alla proposta di definizione del giudizio in Cassazione entro il termine stabilito?
Secondo l’art. 380-bis c.p.c., il ricorso si intende rinunciato. Di conseguenza, la Corte procede a dichiarare l’estinzione del giudizio, come avvenuto nel caso di specie.

Qual è la principale conseguenza economica per la parte ricorrente in caso di estinzione del giudizio per rinuncia tacita?
La parte ricorrente viene condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte controricorrente. In questo caso, le spese sono state liquidate in 7.000,00 Euro, oltre agli oneri accessori.

Su quali basi normative si fonda la decisione della Corte di dichiarare estinto il giudizio?
La decisione si basa sull’applicazione combinata dell’art. 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile, che presume la rinuncia in caso di silenzio, e dell’art. 391 dello stesso codice, che stabilisce che la rinuncia comporta l’estinzione del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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