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Estinzione del giudizio: la decisione della Cassazione

Una società propone ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. La Corte formula una proposta di definizione del giudizio ma, non ricevendo alcuna richiesta di decisione entro 40 giorni, dichiara l’estinzione del giudizio. La società ricorrente viene condannata al pagamento delle spese legali. La decisione sottolinea le conseguenze dell’inerzia processuale della parte ricorrente.

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Pubblicato il 31 agosto 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione del Giudizio in Cassazione: Conseguenze dell’Inerzia

L’estinzione del giudizio rappresenta una delle possibili conclusioni di un processo e si verifica quando, per inattività delle parti o per rinuncia, il procedimento si chiude senza una pronuncia sul merito. Un recente decreto della Corte di Cassazione, il n. 16506 del 2025, offre un chiaro esempio di come l’inerzia della parte ricorrente, a seguito di una specifica proposta della Corte, possa portare a questa conclusione. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le implicazioni di questa decisione.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata aveva impugnato una sentenza della Corte d’Appello di Roma, presentando ricorso presso la Corte di Cassazione. La controparte, una persona fisica, si era costituita in giudizio per resistere al ricorso.

Durante la fase preliminare, la Corte di Cassazione, in conformità con quanto previsto dall’art. 380-bis del codice di procedura civile, ha formulato una proposta per la definizione del giudizio. Questa proposta è stata regolarmente comunicata a entrambe le parti coinvolte. La normativa prevede che, a seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente abbia un termine specifico per manifestare la propria volontà di proseguire con la discussione del ricorso.

La Decisione della Corte e l’Estinzione del Giudizio

Il punto cruciale della vicenda è che, trascorsi quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, la società ricorrente non ha presentato alcuna istanza per chiedere la decisione del ricorso. Questa omissione non è passata inosservata.

La Corte di Cassazione, rilevata l’inerzia della parte ricorrente, ha applicato rigorosamente la normativa. Ha dichiarato l’estinzione del giudizio, interpretando il silenzio della ricorrente come una rinuncia tacita al ricorso. Di conseguenza, ha condannato la stessa società al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controparte, liquidate in € 2.200 per compensi, oltre a un rimborso forfettario del 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione alla base del decreto è squisitamente procedurale e si fonda su due articoli chiave del codice di procedura civile:

1. Art. 380-bis, secondo comma, c.p.c.: Questa norma stabilisce che se, entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione, la parte ricorrente non presenta un’istanza per la decisione del ricorso, quest’ultimo si intende rinunciato. È un meccanismo pensato per deflazionare il carico di lavoro della Corte, incentivando le parti ad accettare soluzioni rapide per ricorsi con scarse probabilità di successo.

2. Art. 391 cod. proc. civ.: Questo articolo disciplina le conseguenze della rinuncia al ricorso, prevedendo appunto l’estinzione dell’intero giudizio di cassazione.

La Corte ha semplicemente constatato il decorso del termine senza che la ricorrente compisse l’atto necessario per mantenere vivo il procedimento. L’automatismo previsto dalla legge ha quindi portato inevitabilmente alla declaratoria di estinzione. La condanna alle spese è una conseguenza diretta del principio di soccombenza, applicato anche in questi casi, dove la rinuncia (seppur tacita) equivale a una chiusura sfavorevole del giudizio per chi lo ha promosso.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questo decreto, pur nella sua semplicità, ribadisce un principio fondamentale per chiunque affronti un giudizio in Cassazione: la massima attenzione ai termini processuali. La proposta di definizione ex art. 380-bis c.p.c. non è un mero invito informale, ma un atto formale che innesca conseguenze procedurali precise.

L’inerzia non è mai una strategia processuale valida. La mancata risposta entro il termine perentorio di quaranta giorni viene interpretata dalla legge come una volontà di abbandonare l’impugnazione. Per gli avvocati e le parti, ciò significa che ogni comunicazione proveniente dalla Corte deve essere valutata tempestivamente per decidere se insistere per una decisione nel merito o accettare di fatto la chiusura del procedimento, con tutte le conseguenze che ne derivano, inclusa la condanna alle spese legali.

Cosa succede se la parte ricorrente non chiede la decisione del ricorso dopo aver ricevuto la proposta della Corte di Cassazione?
Se la parte ricorrente non deposita un’istanza per la decisione entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il ricorso si intende rinunciato e il giudizio viene dichiarato estinto.

Qual è il fondamento normativo per dichiarare l’estinzione del giudizio in questo caso?
La decisione si basa sull’art. 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile, che presume la rinuncia in caso di inerzia della parte ricorrente, e sull’art. 391 dello stesso codice, che prevede l’estinzione del giudizio come conseguenza della rinuncia.

Chi è tenuto a pagare le spese legali in caso di estinzione del giudizio per mancata richiesta di decisione?
La parte ricorrente, la cui inerzia ha causato l’estinzione, viene condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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