Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24921 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24921 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29030-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – controricorrenti – avverso la sentenza n. 2052/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/05/2021 R.G.N. 5415/2016;
Oggetto
R.G.N. 29030/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Associazione sportiva dilettantistica RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza n. 2052/2021 della Corte d’appello di Roma che ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva respinto il ricorso avverso verbale di accertamento con cui INPS aveva contestato l’omesso versamento dei contributi al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo per 106 lavoratori impiegati presso l’impianto sportivo gestito dall’Associazione da gennaio 2011 al settembre 2013.
Propone tre motivi di ricorso, illustrati da memoria.
Resiste Inps con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 25 giugno 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
L’Associazione censura la sentenza sulla base di tre motivi. I)violazione e falsa applicazione dell’art. dall’art. 67, lettera m), del d.P.R. n. 917/1986, per non avere il collegio ritenuto applicarsi l’esenzione prevista in materia contributiva per i collaboratori delle associazioni sportive dilettantistiche, in contrasto con la qualifica non di lucro della ricorrente, che rimane tale anche in presenza di attività commerciali, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
II) violazione dell’art. dall’art. 67 lettera m) del d.P.R. n. 917/1986, per non avere il collegio ritenuto applicarsi
l’esenzione prevista in materia contributiva per i collaboratori delle associazioni sportive dilettantistiche in virtù del presupposto della professionalità della collaborazione, non previsto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. III) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ, in relazione al mancato e/o insufficiente esame del fatto che le prestazioni dei collaboratori erano occasionali e marginali.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce e sono infondati.
La Corte romana ha ampiamente e correttamente motivato come segue.
-Il d.lgs. C.P.S. n. 708/1946, ratificato con modifiche dalla legge n. 2388/1952, e successive modificazioni, stabilisce l’obbligo di iscrizione all’ENPALS, cui è succeduto l’INPS, per determinate categorie professionali, in base al tipo della attività e a prescindere dalla forma subordinata o autonoma.
-In particolare, l’art. 3 del d.lgs. cit. prevede che” ‘Sono obbligatoriamente iscritti all’Ente tutti gli appartenenti alle seguenti categorie: … 21..addetti agli impianti sportivi.
-Con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 15.3.2005, di “adeguamento delle categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo” è stato previsto, in sostituzione della elencazione di cui all’art. 3 d.lgs. C.P.S. 708/1947 che ” le categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei lavoratori dello spettacolo sono adeguate secondo la seguente elencazione: ( … ) 20) impiegati, operai e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere,
palestre, sale fitness, stadi sferisteri, campo sportivi, autodromi; 22) direttori tecnici, massaggiatori, istruttori e i dipendenti delle società sportive; 23) atleti, allenatori, direttore tecnico-sportivi e preparatori atletici delle società di calcio professionistico e delle società sportive professionistiche.
-Per quanto riguarda la applicabilità alla fattispecie in esame della esenzione prevista dall’art. 67 T.U.I.R. e successive modifiche, tale norma prevede: “Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: …. m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.
-L’art. 35, comma 5, del D.L. n. 207/2008, convertito dalla legge n. 14/2009, ha successivamente disposto che “nelle parole esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche di nell’art. 67, comma l, lettera m), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 91, e successive modificazioni, sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e I’ assistenza all’ attività sportiva dilettantistica”.
-Secondo Cass n.24365/2019, i compensi di cui si discute potranno “ricomprendersi tra i «redditi diversi» di cui all’art. 67 T.U.I.R. lett. m), e quindi andare esenti dalla contribuzione previdenziale, alle seguenti condizioni: (che) siano erogati per una collaborazione svolta in favore di organismi che perseguano finalità sportive dilettantistiche, riconosciute ai sensi dell’art. 7 DL nr. 136 del 2004 ci t.; (che) siano corrisposti per una prestazione di «esercizio diretto di una attività sportiva dilettantistica», secondo l’interpretazione autentica del legislatore, resa con l’art. 35, comma 5, del D.L. nr. 207 del 2008”.
-L’esenzione contributiva prevista in favore delle associazioni sportive dilettantistiche dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sull’interessato e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, del riconoscimento da parte del CONI.
-Per quanto riguarda il requisito della natura non professionale, “non tutti i compensi erogati dalle società sportive dilettantistiche (come dagli altri soggetti ivi indicati) costituiscono “redditi diversi” (esclusi dalla categoria dei redditi da lavoro), ma solo quelli che non costituiscono redditi da capitale ovvero che non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni. Pertanto, affinché operi l’esonero dall’obbligo contributivo, l’attività svolta dall’atleta o dall’istruttore deve avere carattere non professionale, avendo avuto il legislatore l’intento di favorire, in tal modo, lo svolgimento di attività
sportive per mere finalità ludiche e non già imprenditoriali. Contestualmente, però, non è sufficiente che il soggetto, in favore del quale tale attività è resa, non persegua fini di lucro e abbia invece soltanto quello di promozione dell’attività sportiva, in quanto, ove l’atleta o l’istruttore esercitino professionalmente la loro attività, prevale l’esigenza di tutela costituzionale del lavoro con conseguente persistenza dell’obbligo contributivo sui compensi corrisposti a colui il quale, anche in via non esclusiva, trova nell’attività sportiva la propria fonte di sostentamento.
-Non rileva la circostanza che, qualora il reddito così generato non superi la soglia di €7.500,00, esso non è assoggettato ad imposta, trattandosi di soglia stabilita dal legislatore solo ai fini dell’esclusione dell’imposizione fiscale IRPEF del soggetto percettore.
-In conformità alle regole sull’onere probatorio a carico di colui che intenda beneficiare dell’esonero dall’obbligazione contributiva, l’associazione che, fruendo dell’opera di collaboratori tecnici, invochi l’applicabilità dell’art. 67 del citato D.P.R. e l’esonero, sotto il profilo contributivo, dall’obbligazione contributiva, ha l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi che consentano di annoverare la fattispecie nella categoria «redditi diversi»” (Cass. 2019 n. 21535).
-Nel caso in esame, non può attribuirsi valenza decisiva all’iscrizione nel Registro nazionale delle Associazioni e società Sportive dilettantistiche della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in quanto affiliata alla Federazione Italiana Pesistica e alla Feder azione Italiana Nuoto … che peraltro riguardano due discipline sportive che non esauriscono la vasta gamma di attività organizzate dalla società.
-In relazione alla attività svolta dall’ Associazione, si evidenzia nel verbale di accertamento del 17.1.2014 che ‘il centro si
estende su 4600 mq con 9 sale fitness, piscina, thermarium (idromassaggio, bagno turco, saune); ristobar, centro estetico, solarium, parrucchiere … “, che “la struttura è frequentata attualmente da 2.500-3000 soci che svolgono le svariate attività di fitness, sala pesi e sala cardiofitness, spinning, ecc.
-Risulta, inoltre, per come acquisito direttamente dai verbalizzanti in sede di accertamento e non contestato dall’Associazione, che, al momento dell’accesso, all’interno del centro sportivo, si stava svolgendo l’attività affidata ai vari collaboratori-istruttori relativa ai corsi delle varie discipline, organizzati dall’ Associazione dietro il pagamento di abbonamenti ovvero a seguito di convenzioni.
-L’oggetto dell’attività trova conferma nelle dichiarazioni scritte, acquisite in sede di accertamento di alcuni lavoratori impegnati in via non occasionate nelle lezioni di nuoto o fitness… ed anche nella deposizione nel giudizio di appello dal teste …, il quale ha riferito di lavorare da circa dieci anni per l’Associazione come istruttore di spinning, di non avere mai partecipato a gare sportive organizzate dall’Associazione e che all’interno del centro vi sono una piscina e una sala fitness.
-Appare evidente il carattere commerciale dell’attività svolta all’interno del centro sportivo dell’Associazione, sì da escludere che la stessa avesse finalità sportive dilettantistiche che presuppongono l’assenza di uno scopo di lucro sotteso all’attività sportiva, stante la erogazione a pagamento in favore della clientela di servizi – riconducibili all’ambito dell’esercizio fisico più che alla preparazione atletica – assicurati dai lavoratori impiegati come tecnici o addetti amministrativi.
-Va quindi condiviso il giudizio espresso dal primo giudice, il quale ha valutato come i compensi corrisposti ai lavoratori, legati all’Associazione da “un contratto di collaborazione che
fissava tempi e modi di esecuzione della società” (come dedotto dalla stessa società) per i corsi a pagamento gestiti dalla Associazione Sportiva nella propria palestra non rientrassero nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.
-Non rileva il mancato superamento della soglia di euro 7.500,00 dei compensi annui erogati ad alcuni collaboratori, trattandosi, come detto, di franchigia stabilita dal legislatore solo ai fini dell’esclusione dell’imposizione fiscale IRPEF del soggetto percettore, e posto che il regime di non imponibilità dei redditi percepiti entro il predetto limite presuppone, per quanto esposto, che i compensi in oggetto siano erogati da e nell’ambito di un’associazione di tipo sportivo-dilettantistico e quindi elemento determinante, ai fini del trattamento fiscale agevolato, è proprio la natura del soggetto nei cui confronti le prestazioni sono eseguite (così, Cass. ord. 2016 n. 23789).
-Per quanto riguarda la deduzione della parte appellante del mancato superamento della soglia del compenso annuo 4.500,00 euro annuali, tale importo, come ritenuto da questa Corte di Appello nella sentenza 2019 n. 3543, è solo un indicatore per la esclusione della c.d. “non marginalità”, per cui sussistendo tutti gli altri presupposti come sopra evidenziato e cioè l’esclusione dei redditi professionali percepiti dagli istruttori dalla categoria dei “redditi diversi” di cui all’art. 67, primo comma, lett. m), la mancanza di prova del carattere dilettantistico dell’attività sportiva, il carattere di continuità e l’abitualità della prestazione nonché la professionalità, deve senza dubbio confermarsi l’obbligo del versamento della contribuzione previdenziale all’Inps ex Enpals secondo quanto rilevato nel verbale ispettivo. Va detto, in ogni caso, che osta alla qualificazione dei compensi come “redditi diversi” anche il carattere professionale della prestazione, riconoscibile per i
collaboratori sportivi e amministrativi della Associazione, con i quali erano stati stipulati contratti di prestazione sportiva dilettantistica per istruttori di base con la corresponsione di compensi sulla base di ricevute mensili, e, in particolare, per gli istruttori impegnati nei vari corsi (nuoto, acquagym, fitness, spinning ..) che svolgevano, con carattere di abitualità, prestazioni richiedenti specifici titoli e competenze tecniche’.
A fronte di tale diffusa e completa motivazione, le censure di cui ai primi due motivi possono essere esaminate congiuntamente per l’intima connessione che l e unisce e sono infondate, anche a prescindere dal fatto che, in parte, sotto l’apparenza di violazione di norme di legge, tendono a rileggere e rivedere il materiale probatorio analizzato dalla Corte, rivalutazione in questa sede inammissibile.
La decisione è, infatti, conforme a ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, che si è ripetutamente espressa in materia, ribadendo a più riprese l’insufficienza della mera affiliazione al Coni e la necessità di indagare in concreto le modalità di espletamento delle attività (solo da ultimo, Cass. n. 20923/2025, n. 11203/2025, n. 11196/2025).
Cass. n. 8631/2025, richiamando a sua volta Cass. n. 28845/2023 ex multis , ha statuito che, «premesso che in tema di assicurazione presso la gestione RAGIONE_SOCIALE, ora INPS, sono soggetti in via generale all’obbligo assicurativo, secondo quanto precisato dal decreto ministeriale n. 17445 del 2005, emanato in esecuzione dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. C.P.S. n. 708 del 1947, gl’impiegati, gli operai, gl’istruttori e gli addetti ad impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, «ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. m), del d.P.R. n. 917 del 1986 sono esonerati dall’obbligo assicurativo coloro che abbiano reso prestazioni, compensate nei limiti monetari di cui all’art. 69 del medesimo
testo unico, relative alla formazione, alla didattica, alla preparazione e all’assistenza dell’attività sportiva dilettantistica. Chi invoca l’esonero deve provare che le prestazioni rese: a) non siano state compensate in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore; b) siano state espletate in favore di associazioni o società dilettantistiche e senza fine di lucro; c) trovino fonte nel vincolo associativo e non in un distinto obbligo personale; d) non trovino corrispondenza nell’arte o nella professione abitualmente esercitata, anche in modo non esclusivo, da colui che ha effettuato la prestazione (Cass., sez. lav., 23 dicembre 2021, n. 41397).
La disposizione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. m), viene dunque in rilievo anche in materia previdenziale, ma è necessario riscontrarne, in concreto, i presupposti applicativi.
Il tema della professionalità riveste rilievo cruciale sul versante dell’obbligazione contributiva dedotta in causa .
La disposizione richiamata del Testo unico sulle imposte sui redditi non annovera tra i redditi diversi le somme percepite da coloro che svolgano professionalmente le attività da cui le somme derivano.
Invero, il citato art. 67 esordisce escludendo a priori i redditi di capitale, quelli conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, o in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.
Tale esclusione opera anche nell’ipotesi in cui il soggetto percettore intervenga nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche.
La previsione dell’art. 67 non accorda, pertanto, un’automatica e indiscriminata esenzione dall’obbligo contributivo alle associazioni o alle società formalmente riconosciute quali dilettantistiche, “a prescindere cioè dalla effettiva e concreta riprova della presenza dei requisiti specifici richiesti dalla citata disposizione, rilevando piuttosto, a monte, la verifica giudiziale della effettiva natura “dilettantistica” del soggetto (associazione e/o società sportiva) in favore del quale la collaborazione è stata esercitata (così Cass. n. 2152 del 2020, Cass. n. 10393 del 2018, Cass. n. 16449 del 2016 e Cass. n. 23789 del 2016) e, a valle, il fatto che i compensi non devono essere conseguiti nell’esercizio di professioni né derivare da un rapporto di lavoro dipendente, essendosi a tal fine precisato che, per esercizio di arti e professioni, ai sensi dell’art. 53 TUIR, deve intendersi “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo” diversa dall’attività di impresa (cfr. Cass. n. 11375 del 2020 cit.)” (Cass., sez. lav., 7 marzo 2022, n. 7388).
Non si possono dunque configurare come “redditi diversi” quelli che derivano dall’esercizio abituale di un’attività autonoma nel senso specificato o quelli tratti dall’esercizio professionale di attività coordinate e continuative, assimilati piuttosto a quelli di lavoro dipendente (art. 50 TUIR, lett. c)».
La Corte di appello ha ricostruito ed interpretato il tessuto normativo in modo conforme agli indicati principi ed ha correttamente osservato che non tutti i compensi erogati dalle società sportive dilettantistiche costituiscono «redditi diversi», dovendo esserne esclusi, per quanto qui rileva, quelli conseguiti
per effetto di attività svolte professionalmente; quindi, alla stregua di un compiuto esame del materiale probatorio, ha accertato lo svolgimento professionale delle prestazioni rese, facendone, coerentemente, conseguire la sussistenza degli obblighi nei confronti degli enti previdenziali.
Il terzo motivo è inammissibile: si lamenta un omesso esame di fatto decisivo in presenza di doppia conforme, in relazione alla quale, secondo il costante orientamento di legittimità, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit.) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 30295/2019 ex multis e precedenti ivi citati), mentre nel caso in esame, la prospettazione della censura conferma una totale consonanza di opinioni tra il primo e il secondo giudice, di tal che le doglianze del ricorrente appaiono piuttosto rivolte a sollecitare un riesame del merito della causa, inibito in questa sede.
Inoltre, il fatto il cui esame sarebbe stato omesso sarebbe ‘l’accertamento del fatto, costituito da natura e modalità delle prestazioni svolte’: le censure, quindi, non individuano un fatto storico, decisivo e controverso che non sarebbe stato esaminato dalla Corte ma si dolgono, in definitiva, della mancata valutazione di una tesi difensiva e di elementi probatori.
Sul punto, giurisprudenza di legittimità uniforme afferma che -come ex multis Cass. n. 21672/2018 -«nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie».
Per questi motivi il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
Il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale di questa Corte in un tempo successivo a quello della proposizione del ricorso per cassazione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno