Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14896 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14896 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19134-2019 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 581/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 04/12/2018 R.G.N. 935/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 19134/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/05/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME, dipendente dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in servizio quale legale di 1^ livello, volta a dichiarare la nullità o l’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un giorno, che gli era stata irrogata dall’istituto in data 6.11.2014, ex art. 2, comma 6, lett. b) del Regolamento di disciplina per il personale delle Aree dei professionisti e medica, sul presupposto della violazione degli obblighi di preventiva comunicazione della procura speciale a tempo indeterminato rilasciatagli dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, l’epigrafato ricorrente.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., depositando altresì memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , per aver la sentenza di appello individuato in modo errato il dies a quo entro il quale, a pena di decadenza, va concluso il procedimento disciplinare.
1.1. Si sostiene che il compimento di ulteriori atti istruttori per condotte estranee a quella per la quale è stata poi irrogata la sanzione e non avvinte a quest’ultima dal vincolo della continuazione, non comporta affatto, a differenza di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, lo spostamento in avanti del dies a quo del termine di decadenza dalla potestà disciplinare, vieppiù nel caso in esame, in cui tali condotte, benché inserite nella contestazione disciplinare, non hanno poi dato luogo all’applicazione di alcuna misura.
1.2. Si assume che, ad argomentare in senso contrario, il datore di lavoro potrebbe prolungare ad libitum il termine per l’avvio del procedimento, adducendo la necessità
di ulteriori accertamenti anche se in alcun modo collegati alla condotta per la quale è stata poi irrogata la sanzione disciplinare.
1.3. Osserva il Collegio che vengono qui in rilievo i principi già affermati dal giudice di legittimità in Cass. n. 7134 del 2017, rv. 643567-01 e – tra le altre massimate nelle successive conformi Cass. n. 21193/2018, rv. 650142-02, nonché Cass. n. 11635/2021, rv. 661113-01, cui si intende dar seguito non essendo emerse ragioni che impongano una rimeditazione.
1.4. Va ribadito, quindi, che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione; con la precisazione che ciò vale anche nell’ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente.
1.5. Tanto premesso, evidenziato, quindi, che il termine a quo decorre dall’acquisizione della ‘notizia di infrazione’ nei termini innanzi indicati, va verificato il rispetto di detto principio nel caso qui all’attenzione.
1.5.1. Al riguardo va ricordato che nel caso di specie la sanzione è stata irrogata ( cfr. sentenza pag. 2) per violazione degli obblighi di preventiva comunicazione della procura speciale a tempo indeterminato rilasciata al lavoratore dal legale rappresentante p.t. della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
1.5.2. Al fine di acquisire compiutamente la notizia di infrazione, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il datore ha compiuto un ‘istruttoria con
l’acquisizione, fra l’altro, dei dati presenti nel registro delle imprese, attraverso acquisizione della visura RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in data 5.6.2014, e, successivamente, con l’accesso al cassetto previdenziale , in data 14.7.2014, al fine di operare verifiche sulle risultanze d ell’estratto contributivo.
1.5.3. Quel che allora resta da indagare, sulla scorta delle specifiche doglianze contenute nel motivo ed innanzi ricordate, è se il termine a quo per la conclusione del procedimento disciplinare decorra dal compimento del primo degli atti istruttori innanzi indicati, l’acquisizione dei dati dal registro delle imprese del 5.6.2014 già sufficiente – ad una valutazione ex post alla contestazione o, invece, dal compimento di ulteriori atti, nello specifico la consultazione, in data 14.7.2014, del cassetto previdenziale, al fine dell’acquisizione dell’estratto contributivo , dal quale secondo la difesa dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE – sarebbero potute emergere ulteriori violazioni connesse a quella oggetto della contestazione o un aggravamento di quella oggetto di accertamento.
1.5.4. Ebbene, in linea con quanto già osservato dalla Corte territoriale, precisa il Collegio che l’utilità dell’atto istruttorio, al fine dell’individuazione del termine iniziale, va valutata ex ante e non ex post , non in relazione agli esiti istruttori raggiunti ai fini della contestazione, quindi, ma a quelli che avrebbero potuto essere acquisiti. e non vi è dubbio alcuno che nel caso di specie l’accesso al cassetto fiscale doveva compiersi ai fini della piena valutazione della condotta di procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE innanzi indicata o di condotte collegate.
1.5.5. In termini ancor più chiari, ritiene il Collegio di affermare che la notizia di infrazione è acquisita all’esito di tutti quegli accertamenti che secondo una valutazione di ragionevolezza a compiersi ex ante avrebbero potuto apportare elementi utili alla contestazione della condotta in rilievo o di quelle connesse. Irragionevole l’interpretazione di segno opposto predicata nel motivo che comporterebbe il decorso del termine iniziale per la conclusione del procedimento fin dal primo risultato utile alla contestazione, senza possibilità di compiere i necessari accertamenti atti, secondo una valutazione prognostica anticipata, a colorare di maggiore o minor disvalore la condotta in rilievo o quelle connesse in modo da poter -se del caso -procedere alla contestazione disciplinare nel pieno rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza della sanzione.
1.5.6. La valutazione dell’utilità dell’atto istruttorio -ai fini della verifica dell’acquisizione della notizia di infrazione , momento da cui decorre il termine per la conclusione del procedimento disciplinare -non rispetto all’utilità ultima poi acquisita ai fini della contestazione e dell’irrogazione della sanzione disciplinare, ma rispetto a quella potenziale, affermata nella sentenza gravata, va poi aggiunto, non è stata nemmeno contestata nel motivo.
1.5.7. Conclusivamente il mezzo va rigettato perché – indiscutibile la potenziale utilità dell’accesso , in data 14.7.2014, al cd. ‘ cassetto ‘ ai fini dell’acquisizione dell’estratto previdenziale, in ragione della condotta contestata di violazione degli obblighi di preventiva comunicazione della procura speciale a tempo indeterminato di una RAGIONE_SOCIALE di capitali di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, condotta rispetto alla quale la verifica previdenziale era senza dubbio, in astratto ed ex ante, idonea sia a colorare di mag gior disvalore l’illecito, sia a lla verifica del l’esistenza di altre condotte connesse – il termine di 120 giorni per conclusione del procedimento disciplinare di cui all’art. 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001, vigente ratione temporis, fissato il termine iniziale alla data del 14.7.2014, risulta senz’altro rispettato in quanto la sanzione disciplinare è stata irrogata in data 6.11.2014. Irrilevante, quindi, lo si ribadisce, ai fini qui in discussione, l’esito negativo dell’accertamento compiuto.
Con la seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 55 bis, comma 2, c.p.c. (così in ricorso a pag. 10) , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte di Appello erroneamente ritenuto contestata la violazione di disposizioni interne invece non indicate nell’ addebito.
2.1. Nel dettaglio , in disparte l’erronea indicazione del dato normativo, la doglianza ruota attorno all’impossibilità di ritenere la sussistenza della violazione contestata, in assenza del richiamo, nella contestazione, al messaggio Hermes n. 001931 del 10.10.2001, inapplicabile, ratione temporis, l’art. 2, comma 6, lett. b) del Regolamento di disciplina per il personale delle Aree dei professionisti e medica per esser la condotta contestata risalente ad un periodo anteriore all’adozione del regolamento che impone la comunicazione al datore -secondo quanto ritenuto dai giudici di appello -dell’attività in contestazione, tanto perché il conferimento dell’incarico di procuratore speciale di NOME COGNOME presso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE risale al 10 luglio 2002. Nè si può affermare, si soggiunge, che per le situazioni non ancora
esaurite sussista comunque l’obbligo di informare il datore di lavoro, atteso che l’art. 8 del sopraricordato regolamento richiede la preventiva comunicazione di dette attività all’amministrazione, il che comporta che la disposizione si applic hi alle sole attività non ancora avviate e non anche a quelle già in essere al momento dell’entrata in vigore del decreto.
2.2. La seconda censura è inammissibile per una pluralità di ragioni.
2.2.1. In primis perché, puntualmente individuata la condotta contestata, a differenza di quanto sostenuto nel motivo, resta del tutto irrilevante l’eventuale erronea individuazione della fonte normativa violata, vieppiù nel caso di specie, in cui le disposizioni non rispettate vanno rintracciate, come sarà di seguito compiutamente esplicitato nel corso della motivazione, oltre che in disposizioni primarie, nella stessa Carta costituzionale e, in particolare, negli artt. 97 e 98.
2.2.2. In secundis , perché non si confronta con la ratio complessiva della motivazione che non richiama solo il messaggio Hermes, ma anche e soprattutto la violazione degli art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, disposizioni senza dubbio in vigore al momento del conferimento della procura speciale di cui si discute.
Con il terzo mezzo viene denunziata la violazione degli arrt. 53 e 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, degli artt. 2380 e 2475 c.c., nonché la violazione dell’art. 1362 c.c., in ordine al messaggio Hermes n. 001931 del 10.10.2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la sentenza di appello erroneamente ritenuto la sussistenza di un comportamento rilevante ai fini sanzionatori.
3.1. Si osserva che nella sentenza di appello, per un verso, si assume che il dipendente avrebbe avuto l’obbligo di comunicare all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE il rilascio della procura al fine di consentire al datore di valutare la compatibilità d ell’attività con le regole contenute nell’art. 60 et ss. del d.P.R. n. 3 del 1957, per altro verso, si ritiene che il conferimento di detta procura speciale sarebbe rientrata tra gli incarichi non liberamente esercitabili, stante il conferimento di amplissimi poteri gestori.
3.2. Tanto premesso, si rimarca nella doglianza che la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contenuto del messaggio Hermes TARGA_VEICOLO del
10.10.2001, atteso che il punto 2 del messaggio in questione individua quali sono gli incarichi che i dipendenti possono liberamente assumere senza preventiva autorizzazione del datore di lavoro pubblico, fra i quali rientrano quelli a titolo gratuito quale quello in esame.
3.3. Si aggiunge ancora che la disciplina delle incompatibilità dei pubblici dipendenti, contenuta, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel d.P.R. n. 3 del 1957 vieta al lavoratore , per quanto rilevante in causa, l’esercizio del commercio, dell’industria, come imprenditore individuale, nonché l’assunzione di una carica che comporti lo svolgimento di funzioni di RAGIONE_SOCIALE, all’interno di una RAGIONE_SOCIALE costituita a fine di lucro.
3.4. Alla luce di tali premesse, si sostiene vada esclusa la riconducibilità della condotta del dipendente alle previsioni innanzi richiamate, in quanto il rilascio di una procura speciale non può esser considerato equivalente né allo svolgimento di attività commerciale, né al conferimento di cariche sociali. Si evidenzia ancora che il rilascio di una procura rientra nella diversa ipotesi della rappresentanza di un singolo soggetto che non determina la coincidenza tra il procuratore ed il rappresentato; che, in ogni caso, non è stato contestato il compimento di atti in violazione dei doveri gravanti sul dipendente pubblico; che il lavoratore non ha svolto alcuna attività di amministrazione o di RAGIONE_SOCIALE per conto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE che comunque non svolge attività di impresa, ma solo di RAGIONE_SOCIALE di immobili. Precisa che le risultanze istruttorie -in particolare le dichiarazioni del teste NOME COGNOME – hanno confermato quanto innanzi.
3.5. In ordine all’esame del terzo motivo va innanzi tutto premesso – osserva il Collegio – che la sanzione, secondo quanto emerge dalla sentenza di appello (cfr. pag. 2), è stata irrogata per la violazione degli obblighi di preventiva comunicazione della procura speciale a tempo indeterminata rilasciata al lavoratore dal legale rappresentante della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Detto obbligo ha evidentemente lo scopo, anche nell’ottica di salvaguardia del principio di esclusività dell’impiego , di consentire la verifica preventiva di ipotesi di incompatibilità.
3.6. Ratione temporis disciplinavano la fattispecie qui in rilievo:
– l ‘art. 53 del d.lgs. 165 del 2001 nella versione vigente alla data del conferimento della procura speciale di cui si discute che così disponeva:
Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e ((dall’articolo 1, commi 57 e seguenti)). Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina
3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.
Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l’attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.
In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da RAGIONE_SOCIALE o persone fisiche, che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’inte resse del buon andamento della pubblica amministrazione. (…)
3.7. E’ quindi senza dubbio violato – come osservato nella sentenza di appello – il comma 5 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede l’autorizzazione dell’Amministrazione ogni volta che vengano conferiti incarichi
3.8. Non rileva, quindi, ai fini della sussistenza della condotta contestata che l’incarico fosse o meno gratuito, perché il conferimento di esso da parte di una da RAGIONE_SOCIALE o persona fisica, stante anche l’ampiezza dei poteri gestori conferiti con la procura, per ciò solo andava comunicato al datore per le valutazioni di incompatibilità (cfr pagg. 10-11 della sentenza), al fine, quindi, di verificare il rispetto del principio di esclusività. Innegabile la natura imprenditoriale dell’ente , in considerazione oltre che dell’attività svolta di ‘RAGIONE_SOCIALE di immobili’ anche della forma societaria (di RAGIONE_SOCIALE di capitali) della conferente, ricordato, peraltro, che non sono più rivisitabili in sede di legittimità le risultanze documentali e testimoniali che, secondo quanto si argomenta nel motivo, sarebbero state erroneamente valutate.
3.9. Quanto innanzi si è affermato in relazione alla violazione del principio di esclusività è in linea con la recentissima Cass 9801/2024, rv. 670684-01 in cui vengono espressi principi generali (benché la fattispecie riguardi nel caso lì all’attenzione le RAGIONE_SOCIALE cooperative) anche qui utilmente richiamabili .
3.10. Si legge al riguardo nella pronunzia innanzi ricordata, ‘ l ‘ac cettazione di cariche sociali in una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella specie Presidente del Consiglio di amministrazione di una
‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘, non incorre nella incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, in ragione della deroga prevista dall’art. 61 del medesimo d.P.R. Ciò, tuttavia, non esclude che il lavoratore debba chiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale al datore di lavoro. Trova applicazione l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituisce disciplina volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, si è inteso rafforzare il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Il lavoratore pubblico contrattualizzato concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, e la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extraistituzionale. Il carattere gratuito dell’attività non esclude la necessità della valutazione di compatibilità e dunque dell’autorizzazione, come stabilito dall’art. 53, comma 7, per gli incarichi retribuiti. In particolare, quanto al RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, va rilevato che l’art. 53 richiama l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, che tra l’altro stabilisce: ‘(…) Il rapporto di lavoro con il RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso’. La mancanza della comunicazione al datore di lavoro, ai fini della valutazione di compatibilità funzionale all’autorizzazione, dell’incarico extraistituzionale consistente nella carica RAGIONE_SOCIALE di Presidente del Consiglio di amministrazione di una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dà luogo a responsabilità disciplinare ‘ .
3.11. Conclusivamente il motivo non può essere accolto, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, assolutamente irrilevanti le deduzioni relative alla gratuità dell’incarico e alla gravità della violazione. La valutazione del rispetto dell’obbligo di esclusività, imposto, come innanzi visto, prima ancora che dal 53 TUPI dai principi costituzionali, obbliga alla preventiva comunicazione degli incarichi extraistituzionali, comportanti così ampi poteri gestori, irrilevante la gratuità o meno del conferimento degli stessi.
4. Con il quarto motivo si contesta la violazione dell’art. 2106 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per aver la Corte considerato proporzionata la sanzione impugnata.
4.1. Si argomenta che al dipendente è stata applicata la sanzione in esame in applicazione dell’art. 2, comma 6, lett. b) del codice disciplinare, ma che la violazione imputata al dipendente non ricade in alcuna delle ipotesi previste da detta norma, non essendo in alcun modo prevista la comunicazione di incarichi conferiti a titolo gratuito; si rappresenta inoltre che la sanzione è sproporzionata in relazione agli altri comportamenti per i quali è prevista la sospensione del servizio. Da tale ultima consid erazione si fa discendere la nullità o comunque l’annullabilità del provvedimento disciplinare per violazione del principio di proporzionalità.
4.2. Sulla questione della proporzionalità della sanzione va precisato che la censura è inammissibile, oltre, e prima ancora, che infondata.
4.3 Va innanzi tutto premesso che in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia. (cfr. in tal senso la recentissima Cass. n. 107 del 2024, rv. 669701-01).
4.4. Ebbene, nel caso di specie, la motivazione del giudice di merito è presente ed in alcun modo viziata.
4.5. Peraltro va qui ricordato che viene in rilievo una condotta perdurante, sicché ai fini dell’individuazione della sanzione ad irrogarsi deve aversi riguardo alla normativa vigente all’epoca della contestazione e quindi nel regolamento di disciplina per il personale delle Aree dei professionisti e medica, entrato in vigore l’1.2.2012, come correttamente valutato dal giudice di merito.
4.6. Secondo quanto emerge dalla sentenza in atti (né tale aspetto è contestato) per l’illecito disciplinare per cui è causa è prevista la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a 10 gg.
4.6.1. Ebbene, la sanzione è stata applicata nel minimo edittale, sicché, in disparte le preliminari e già assorbenti considerazioni innanzi svolte, alcuna discussione può esservi sul (difetto) di proporzionalità. Nessuna ulteriore motivazione occorrendo sul punto da parte del giudice di merito.
4.7. Sull’applicabilità della sanzione disciplinare sulla scorta delle disposizioni normative di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, oltre che sulla scorta del messaggio Hermes si vedano gli argomenti spesi in relazione al secondo motivo.
Con l’ultima censura si denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art.1, comma 3, e dell’art.13, comma 6, della l. n. 247 del 2012, in relazione all’art. 4, comma 10, della l. n. 55 del 2014 per non aver la Corte di Appe llo liquidato le spese di lite in relazione all’effettivo valore della causa, concordemente indicato dalle parti.
5.1. Si sostiene che il valore della causa sia pari ad Euro 500,00, essendo la sanzione pari ad una giornata di retribuzione del ricorrente e che tale è il valore dichiarato in atti, con la conseguenza che il giudice di appello ha sicuramente errato nel far riferimento ad un ‘valore indeterminabile ‘.
5.2. Il motivo non può essere accolto, in armonia con il seguente principio, pienamente condiviso dal Collegio: ‘ la controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare è di valore indeterminabile, giacché l’applicazione della sanzione può esplicare un’incidenza sullo status del lavoratore implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del lavoratore ‘ (cfr. Cass. n. 24979/2018, ma anche la precedente conforme n. 5443/1988).
5.3. Sulla scorta di quanto innanzi è quindi evidente che la parametrazione delle spese non andava effettuata, come ritenuto dalla parte ricorrente in cassazione, al valore dell’unica giornata di retribuzione irrogata quale sanzione, quanto piuttosto alla controversia disciplinare nel suo complesso che, come anticipato, è di valore indeterminabile.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
8. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7.5.2024.