Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14709 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19879/2024 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOMECOGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
avverso l ‘ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 15713/2024 depositata il 05/06/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere COGNOME
dichiarato
l
‘
improcedibilità
ricorso originario
mancato deposito
relata di
notifica provvedimento
impugnato.
Ud. cc. 21 maggio 2025
FATTI DI CAUSA
L’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso chiedendo la revocazione dell’ordinanza n. 15713/2024, emessa da questa Corte lo scorso 5 giugno 2024, con la quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso, da lui proposto avverso l’ordinanza di liquidazione degli onorari di avvocato – emessa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c. – del Tribunale di Roma in data 3.06.2021, per <>.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME chiedendo la distrazione delle spese in favore del proprio difensore antistatario.
Per l’odierna adunanza, mentre il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, i Difensori hanno presentato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso. Invero, essendo stato il ricorso notificato il 16 settembre 2024, il controricorso andava depositato entro lunedì 28 ottobre; e, poiché è stato, invece, depositato il 30 ottobre 2024, esso è tardivo.
L’inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibile anche la memoria depositata dalla parte intimata ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ., in applicazione della preclusione di cui all’art. 370 cod. proc. civ. (in termini, tra le più recenti: Cass. n. 11803/2025; con riguardo al rito camerale anteriore alla riforma del 2023: Cass. n. 23921/2020; n. 4428/2022).
Il COGNOME ai fini della fase rescindente, articola in ricorso un unico motivo avverso l’ordinanza n. 15713/2024 ; mentre, ai fini della fase rescissoria, riporta integralmente il contenuto del ricorso per cassazione (notificato il 18 agosto 2021, depositato il 17 settembre 2021 e dichiarato improcedibile da questa Corte con l’ordinanza di cui
si chiede la revoca) già proposto avverso l’ordinanza di liquidazione degli onorari di avvocato, che era stata emessa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale di Roma e che era stata a lui notificata in data 3.06.2021. Precisamente:
2.1. Con un unico motivo il ricorrente censura la ordinanza impugnata per: <>, sul presupposto che <>.
Sottolinea che, nel fascicolo d’ufficio, oggetto dell’istanza di trasmissione ex art. 369 c.p.c., è presente l’ordinanza recante la data di pubblicazione 1° giugno 2021; ne deriva che, pur in assenza della prova della notificazione, questa non avrebbe potuto essere effettuata prima del 1° giugno 2021; e che nel giudizio di cassazione il resistente non ha svolto alcuna contestazione sia in merito al deposito del duplicato informatico che alla tardività della notifica del ricorso e quindi dell’improcedibilità dello stesso.
Osserva che, nel caso in cui la notifica fosse stata effettuata lo stesso giorno della pubblicazione, cioè il 1° giugno 2021: a) il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso sarebbe scaduto il 31 luglio 2021, che, essendo sabato, avrebbe determinato la proroga al primo giorno non festivo successivo, cioè il 2 agosto; b) essendo il termine soggetto alla sospensione feriale, la notifica del ricorso ex art. 360 c.p.c., effettuata il 18 agosto 2021, avrebbe dovuto considerarsi in ogni caso tempestiva.
Aggiunge, per inciso, che il Collegio ha statuito l’improcedibilità del ricorso, che era stato notificato in data 18.08.2021, mentre la data
di fissazione dell’udienza in Camera di consiglio era stata notificata a mezzo posta elettronica certificata al proprio difensore in data 1.03.2024 (e, quindi, nel vigore degli artt. 380 bis e 380 bis.1 c.p.c. , come modificati dalla riforma Cartabia) ed osserva che, se avesse ricevuto la proposta di improcedibilità del ricorso, avrebbe evidenziato al Collegio l’errore di percezione in cui l’estensore della proposta sarebbe incorso, individuando la data di emissione del provvedimento gravato con la data di pubblicazione della stessa con ogni relativa conseguenza legale.
Si duole del fatto che il Collegio, se avesse constatato la data di pubblicazione del provvedimento impugnato (si ribadisce, 1° giugno 2021), che risultava dal fascicolo informatico, non avrebbe presunto che la data di pubblicazione dell’ordinanza impugnata coincideva con la data di deliberazione della stessa.
2.2. Ciò posto, il ricorrente riporta i cinque motivi, che aveva articolato nel ricorso originario, proposto avverso l’ordinanza di liquidazione degli onorari di avvocato, che era stata emessa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale Ordinario di Roma R.G. n. 35223/19 – rep. 10631/21 notificata in data 3.06.2021. Precisamente:
con il primo motivo il COGNOME aveva censurato l’ordinanza impugnata per: <>. Aveva osservato che <> e che, nel caso in cui l’atto di opposizione fosse stato qualificato atto impugnatorio, <>;
con il secondo motivo aveva censurato l’ordinanza impugnata per <>. Aveva sottolineato che: la domanda di ingiunzione da lui proposta si fondava unicamente sul fatto che tra lui e la COGNOME era intervenuto contratto professionale sottoscritto in data 20 gennaio 2015; detto contratto era stato eseguito e la COGNOME aveva conseguito i beni oggetto di legato; si era doluto essergli stato riconosciuto il compenso unicamente di una parte della propria attività (quella svolta nella fase della mediazione); aveva censurato l’ordinanza impugnata, perché violava l’art. 99 c.p.c., perché la domanda da lui prospettata si fondava sul contratto professionale, che era stato da lui adempiuto;
con il terzo motivo aveva censurato l’ordinanza impugnata per <>. Aveva osservato che il Collegio aveva qualificato la condotta professionale da lui tenuta in entrambi i giudizi monitori come affetta da colpa grave, valutazione che lui aveva contestato. In sintesi, aveva censurato l’impugnata ordinanza perché violava: l’art. 2233 cc nella parte in cui non considerava che il compenso era stato stabilito dalle parti; e l’art. 2236 cc nella parte in cui l’attività, da lui svolta, era stata ritenuta qualificata da colpa grave;
con il quarto motivo aveva censurato l’ordinanza impugnata per <>. Aveva osservato che il collegio aveva qualificato la domanda riconvenzionale svolta dall’opposta come eccezione riconvenzionale di inadempimento in relazione ad entrambi i giudizi monitori. In sintesi, aveva censurato l’impugnata ordinanza perché violava il dettato dell’art. 36 cpc, avendo qualificato la domanda riconvenzionale spiegata dalla opponente quale eccezione riconvenzionale;
con il quinto motivo aveva censurato l’ordinanza impugnata per <>. Aveva evidenziato che lui nella comparsa di costituzione e risposta depositata in entrambi i giudizi aveva rilevato che: a) la
COGNOME in via riconvenzionale aveva richiesto accertarsi la sua responsabilità per la errata scelta dello strumento processuale e/o per altri versi di mancata articolazione della prova, con conseguente suo inadempimento ex art. 1460 c.c. e perdita del suo diritto al compenso; b) su detta domanda si era formato il giudicato. In sintesi, aveva censurato l’impugnata ordinanza perché violava il dettato dell’art. 39 cpc non avendo considerato la litispendenza della stessa lite nel giudizio di appello presso la Corte di appello di Roma R.G. 700/19.
Il motivo rescindente è in parte inammissibile e in parte infondato, per le ragioni di seguito specificate.
Si premette che nell’ordinanza, impugnata per revocazione, questa Corte ha rilevato che: a) il ricorrente nella intestazione del ricorso originario aveva dichiarato che l’ordinanza di liquidazione degli onorari era stata pronunciata in data 3 maggio 2021 e gli era stata notificata il successivo 3 giugno 2021; b) il ricorso avverso detta ordinanza era stato notificato in data 18 agosto 2021 ed era stato depositato in data 17 settembre 2021; c) il ricorrente aveva <>, ma non aveva prodotto la relata di notificazione; d) il ricorrente nell’indice dei documenti depositati con il ricorso aveva dichiarato espressamente che <>, tra l’altro, <>; e) il ricorrente non aveva indicato la data di pubblicazione del provvedimento impugnato e, men che meno, tale data era documentata mediante una certificazione di cancelleria, per cui, in difetto della stessa, il provvedimento impugnato si doveva ritenere pubblicato nella stessa data della deliberazione (3 maggio 2021); f) la relata di notifica non era stata prodotta neppure dalla controparte costituita.
Ciò posto, il motivo rescindente del ricorso si articola nelle tre censure di seguito indicate.
3.1. In primo luogo, il ricorrente per revocazione: afferma (p. 4) che <>, per poi ribadire (p. 8) che <>; sottolinea (pp. 12-13) che: <> e che è <>; conclude (p. 17) che <>.
La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.
Come è noto, l’art. 369 secondo comma, n. 2, c.p.c., prevede che il ricorrente, a pena di improcedibilità, unitamente al ricorso deve depositare <>.
Scopo di tale obbligo di deposito è quello di consentire alla Corte di controllare la tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, a tutela dell’interesse di carattere pubblicistico (e quindi indisponibile per le parti) al rispetto del vincolo della cosa giudicata formale.
Alla luce della sua ratio , questa Corte, nell’interpretare la norma, nel corso degli anni ha avuto modo di precisare una serie di ipotesi nelle quali non si applica la sanzione di improcedibilità, nonostante il
mancato deposito del provvedimento notificato e, così, anche solo della relata di notifica.
In particolare, già con sentenza n. 10648/2017 le Sezioni Unite di questa Corte avevano affermato <>.
Il suddetto principio è stato più di recente ribadito dalle stesse Sezioni Unite, con sentenza n. 21349/2022; e, in tale solco, si è posta la successiva giurisprudenza di legittimità (il riferimento è, da ultimo, a Cass. n. 27883/2024, nonché a Cass. n. 4516/2025).
Questa Corte ha altresì precisato (Cass. n. 17066/2013, sempre confermata; di recente, Cass. n. 7553/2025) che: <>.
3.1.1. Prima che infondata, la censura in esame è inammissibile per difetto di specificità, nella parte in cui il ricorrente:
non indica precisamente la collocazione e la sede processuale nella quale i documenti richiamati erano prodotti;
non precisa che la suddetta indicazione era stata fornita nell’ambito del ricorso originario, non potendosi ritenere assolto detto
onere di indicazione con il generico riferimento all’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 comma 3 c.p.c. (richiesta nella quale, peraltro, viene indicato come data di pubblicazione del provvedimento il 1° luglio 2021).
Occorre qui ribadire che – fermo restando che questa Corte non ha facoltà di colmare le lacune nella produzione documentale delle parti – è specifico onere del ricorrente indicare in ricorso ogni dato rilevante e ogni singolo documento che si deposita (utilizzando in ricorso la stessa dicitura con cui è denominato il corrispondente documento informatico, riversato nel fascicolo telematico).
Tanto più che, poiché il ricorrente è rappresentato da Difensore patrocinato a difenderlo davanti alle corti supreme, l’onere di diligenza richiesto a quest’ultimo è ancora più pregnante e, al contempo, sicuramente esigibile non solo per la modestia dell’impegno al riguardo richiesto (noto e conoscibile per la consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità), ma anche per la specifica peculiare professionalità, che è presupposta in capo a quegli.
Al riguardo va quindi affermato il seguente principio di diritto:
<>.
3.1.2. Ad ogni buon conto e in via dirimente, il motivo è infondato nella parte in cui il ricorrente non ha provato che, al momento della pronuncia dell’ordinanza oggi gravata di revocazione, il Collegio potesse ritualmente disporre dei dati necessari a verificare la
procedibilità del ricorso e sia, quindi, incorso in una svista percettiva degli atti interni al giudizio di legittimità.
Occorre preliminarmente dare atto che nel ricorso originario: a) il provvedimento impugnato viene indicato come notificato, ma non viene indicata la sua data di pubblicazione; b) la relata di notifica non viene indicata come allegata e si indicano, come <>: il ricorso notificato; la procura alle liti; A-duplicato informatico dell’ordinanza; istanza ex art. 369 c.p.c. per la trasmissione del fascicolo d’ufficio; fascicoli giudizio monitorio e fascicoli di parte; c) viene riferito che <>.
Orbene, l’infondatezza consegue al fatto che – a fronte del fatto che nell’ordinanza impugnata veniva dato atto che dal fascicolo telematico non risultava la data di pubblicazione del provvedimento originariamente impugnato – sarebbe stato onere del ricorrente per revocazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 366 n. 4 e n. 6 c.p.c., provare, esclusivamente tramite apposita certificazione di cancelleria:
la data in cui erano stati in concreto prodotti i documenti, di cui in sede di ricorso originario aveva formulato riserva di produzione;
che il documento, dal quale risultava la data di pubblicazione del provvedimento, era effettivamente nella disponibilità della Corte al momento dell’assunzione in decisione del ricorso originario.
In difetto di tali indicazioni, non può ritenersi provato che la data di pubblicazione del provvedimento, oggetto dell’originario ricorso, che sarebbe stata indubbiamente risolutiva nel senso della procedibilità del ricorso (pur in difetto della relata di notifica), risultasse agli atti legittimamente ed utilmente disponibili dal Collegio al momento in cui questa Corte ha pronunciato l’ordinanza, oggetto di ricorso per revocazione, qui in esame: <>
(così testualmente Cass. n. 10517/2015, p. 5), oltre che provato come effettivamente versato, ad opera di apposita certificazione di cancelleria riferita al tempo in cui la produzione non è ancora tornata nella disponibilità della parte che ha interesse a dedurne una certa articolazione.
A tal fine, la mera produzione, in questa sede, dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c. non è idonea a soddisfare siffatto onere probatorio gravante sul ricorrente:
non solo e non tanto perché nell’istanza è indicata data di pubblicazione erronea (1° luglio 2021);
e neppure solo perché reca sì una sottoscrizione digitale, ma, in difetto di qualsiasi indicazione non consente di ritenere documentata l’avvenuta vidimazione dalla corte territoriale o, comunque, il suo deposito o la sua assunzione agli atti del fascicolo;
quanto perché, in via dirimente, di per sé, non costituisce prova del fatto che i documenti di cui era chiesta la trasmissione fossero stati effettivamente acquisiti e fossero nell’effettiva disponibilità della Corte nel momento in cui ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso originario.
Nel caso di specie, pertanto, deve rilevarsi che il ricorrente per revocazione:
indubbio essendo che la relata di notifica del provvedimento impugnato con il ricorso originario non era stata prodotta né dal ricorrente, né da controparte, non ha provato che detta relata era comunque nella disponibilità di questa Corte al momento della decisione del ricorso originario (e, quindi, alla data della camera di consiglio del 06/05/2024), perché presente nel fascicolo d’ufficio (ma contrariamente al notorio del non inserimento in esso di atti di parte) che avrebbe dovuto essere trasmesso dal giudice di appello a seguito della istanza di trasmissione del fascicolo;
indubbio essendo che l’ordinanza impugnata con il ricorso originario era stata pronunciata il 3 maggio 2021, non ha provato che,
al momento della decisione del ricorso originario, fosse comunque nella disponibilità di questa Corte il dato che l’ordinanza di liquidazione dei compensi era stata pubblicata in data 1° giugno 2021.
Al riguardo va quindi affermato il seguente principio di diritto:
<>.
3.2. Inoltre, il ricorrente per revocazione:
sostiene (p. 5-6) che: <>;
fa presente (p. 15) che proprio questa Sezione con sentenza n. 12971/2024, ha statuito che: b1) <>; b2) <>
La censura è inammissibile.
L’art. 369 c.p.c., all’ultimo comma, prevedeva che: <>.
Il d. lgs. n. 149/2022 ha abrogato l’art. 369 ultimo comma c.p.c., e, all’art. 4 comma 6 lettera b, ha introdotto, tra le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, l’art. 137 bis , in base al quale <>.
Nel previgente regime, le Sezioni Unite di questa Corte, con la già menzionata sentenza n. 10648/2017, hanno altresì affermato <>.
Come è noto, l’errore revocatorio deve essere un errore di fatto, che consiste nella erronea percezione degli atti di causa e che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata e sempre che sia detto errore decisivo (nel senso che tra l’erronea supposizione e la decisione deve sussistere un nesso di causalità necessaria).
L’inammissibilità della censura consegue al fatto che il ricorrente per revocazione con detta censura si duole che la Corte non avrebbe applicato la norma di condotta processuale, ricavata peraltro in via interpretativa ed in base ad un unico precedente di legittimità quasi coevo alla decisione, di consultare ex officio il fascicolo del merito da acquisire altrettanto ufficiosamente, al fine di ricavare la data di pubblicazione del provvedimento originariamente impugnato.
Ma una mancata ufficiosa ricerca di quei dati (inequivocabilmente omessi dal ricorrente, oneratone nel ricorso originario) – quand’anche si volessero ammettere a carico di questa Corte suprema (e per di più al Collegio decidente) oneri ulteriori di verifica, controllo, disamina, ricerca e vaglio di documenti (che, si ribadisce, il ricorrente è invece tenuto a produrre ordinatamente e utilmente) – potrebbe integrare non già un errore percettivo, ma, a tutto concedere, una imperfetta applicazione di regole processuali, oltretutto non immediatamente evincibili dal tenore testuale delle norme interessate ed elaborate in via pretoria solo da Cass. n. 12971/2024.
In altri termini, un errore percettivo, per rilevare ai fini della revocazione, può riguardare un dato sicuramente già agli atti del giudizio di legittimità, ma non può mai riguardare un dato che, in tesi, avrebbe dovuto essere acquisito: poiché quest’ultimo, sempre e proprio in tesi, appunto agli atti non c’era.
Al riguardo va quindi affermato il seguente principio di diritto:
<>.
3.3. Infine, il ricorrente per revocazione – nel rilevare (p. 6) che il ricorso originario era stato notificato in data 18 agosto 2021, mentre la comunicazione della data di fissazione dell’udienza in camera di consiglio (per il 6 maggio 2024) era stata a lui notificata a mezzo posta elettronica certificata il 1° marzo 2024 – deduce (p. 7) un <>, in quanto, se fosse a lui pervenuta la <> di improcedibilità del ricorso, <>.
Anche detta censura è inammissibile.
Come è noto, il più volte richiamato d.lgs. n. 149/2022, riformando gli artt. 380 bis e 380 bis .1 c.p.c., ha introdotto, nella prospettiva di una <>, un procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. In estrema sintesi, se il Presidente o il Consigliere delegato (in funzione di filtro) ravvisa uno dei possibili suddetti esiti, lo comunica alle parti, lasciando loro la possibilità di optare per la richiesta della decisione in camera di consiglio ovvero per la rinuncia al ricorso. La ratio del procedimento accelerato è quella di far sì che la Corte decida soltanto questioni utili al fine del complessivo indirizzo della giurisprudenza (consolidando quindi il ruolo della Corte di Cassazione come Corte del precedente).
Al riguardo della proposta di definizione accelerata del giudizio, le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9611/2024 (p.25)
hanno precisato che essa <>
L’inammissibilità consegue non solo al dirimente rilievo che pure il vizio che si prospetta sarebbe comunque estraneo al paradigma dell’errore di percezione o revocatorio, ma, ad ogni buon conto, al fatto che l’attivazione della procedura, prevista dell’art. 380-bis c.p.c., è del tutto discrezionale, come si desume dalla stessa locuzione verbale (‘può formulare’, impiegato il verbo servile ‘potere’, qui con chiaro significato di abilitazione o concessione di facoltà), che figura nel testo dell’art. 380bis c.p.c. novellato.
Il mancato uso di una facoltà assolutamente discrezionale non può, quindi, giammai integrare – di per sé – una violazione di una norma processuale; ma, non configurandosi un error in procedendo , meno che mai può sussistere, nelle modalità od opzioni concrete del suo esercizio o del suo mancato esercizio, un errore percettivo, solo a poter rilevare quale errore revocatorio.
Né può preconizzarsi un uso per così dire interlocutorio di uno strumento che – per essere stato introdotto esclusivamente come deflativo – non può di certo giovare ai ricorrenti che abbiano mancato ai loro precisi, chiari, univoci e predeterminati oneri di produzione.
D’altronde – a fronte dell’incalzante e massivo numero delle sopravvenienze (allo stato non governato da nessuna delle regole che già da tempo disciplinano in Europa l’accesso alle corti supreme nazionali di legittimità) – neppure può esigersi da questa Corte suprema un’ulteriore attività di preventiva interazione con il ricorrente, oltretutto a discapito della legittima aspettativa della controparte di
vedere applicata in modo uniforme la rigorosa disciplina in tema di vincoli formali per l’accesso al giudizio di legittimità.
Al riguardo va quindi affermato il seguente principio di diritto:
<>.
Per effetto del rigetto del motivo rescindente, i motivi rescissori restano assorbiti.
Al rigetto del ricorso non consegue la condanna alle spese del ricorrente in favore della controparte, in considerazione della già rilevata tardività del controricorso e della conseguente irritualità di tutta l’attività difensiva da lla stessa svolta, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell ‘ importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2025, nella camera di consiglio