Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4587 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1   Num. 4587  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 1409/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante p.t., rappresentata e difes a dall’AVV_NOTAIO, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale apposta sul documento analogico separato allegato al ricorso mediante strumenti informatici, elettivamente domiciliata in Roma presso il suo studio, INDIRIZZO, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative a questo procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato .
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, incorporante del RAGIONE_SOCIALE, a seguito di fusione per incorporazione efficace dal 6/2/2020, ora RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale alle liti posta in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  RAGIONE_SOCIALE  n.  4569/2023, depositata il 27/10/2023
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/2/2025 dal AVV_NOTAIO;
udito  il  P.M.,  in  persona  del  Sostituto  Procuratore  Generale,  NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso udito , per la ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE chiedeva emettersi decreto ingiuntivo nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE per la somma di euro  56.565,13,  oltre  interessi,  sulla  base  di  4  fatture  emesse nell’anno 2009 (nn. 2973, 3116, 3354 e 3906), per la somma di euro 39.405,27 (per la parte non pagata, al netto degli acconti già versati dalla RAGIONE_SOCIALE) e di 2 fatture emesse del 2015, nn. 5 e 6, per la somma di euro 17.159,86, totalmente impagate.
 Il  tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE  emetteva  decreto  ingiuntivo  per  la somma di euro 56.565,13.
Proponeva opposizione a decreto ingiuntivo la RAGIONE_SOCIALE, deducendo che,  con  riferimento  all’anno  2009,  era  stato  applicato  lo  sconto tariffario,  sicché  vi  era  stata  la  decurtazione  della  somma di euro 41.243,15, sulla somma complessiva dovuta di euro 289.834,35; era stata poi decurtata anche la RTU (Regressione Tariffaria Unica) nella misura dello 0,38%, per il superamento del tetto di spesa per tale annualità.
Pertanto,  ad  avviso  della  RAGIONE_SOCIALE,  nulla  era  più  dovuto,  avendo provveduto  la  stessa  al  residuo  pagamento,  dopo  l’emissione  del decreto ingiuntivo, per euro 4318,02.
Tra l’altro,  la  RAGIONE_SOCIALE,  richiamando  l’art.  7,  comma 5,  dei contratti stipulati che  subordinava,  ai  fini della regolarità contabile, la limitazione del pagamento di saldi al ricevimento della nota di credito emessa  dalla  società  privata,  deduceva  la mora  credendi della RAGIONE_SOCIALE «che non aveva emesso la nota di credito per le somme fatturate dopo la data del superamento del budget, al fine di ricevere il pagamento del saldo effettivamente dovuto».
All’udienza delle 2/5/2019 il tribunale, dopo aver rigettato la richiesta  di  concessione  della  provvisoria  esecuzione  del  decreto ingiuntivo,  rinviava  la  causa  per  la  precisazione  delle  conclusioni all’udienza dell’8/10/2020.
Successivamente, a causa dell’emergenza RAGIONE_SOCIALE da Covid-19, il tribunale, con decreto del 23/7/2020 ritualmente comunicato dalla cancelleria alle parti in pari data, disponeva la sostituzione della già fissata udienza in presenza con il deposito telematico «di sintetiche note scritte ai sensi dell’art. 221, comma 4, decreto-legge n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020, assegnando termine fino al 2 ottobre 2020 per il deposito di note congiunte o in caso di ragioni ostative di note disgiunte».
All’udienza dell’8/10/2020 il tribunale, dopo aver rilevato che le parti non avevano  depositato le note nei termini assegnati, nonostante  la  rituale  comunicazione  del  provvedimento,  «visti  gli articoli 181  e  309  c.p.c., rinviava la  causa,  per  i  medesimi incombenti, all’udienza del 26 novembre 2020».
5. All’udienza del 26/11/2020 il tribunale, «riscontrata l’assenza delle parti, rilevato che la causa veniva già da un precedente rinvio per assenza delle parti, nonché che vi era in atti prova della rituale comunicazione  del  detto  rinvio  alle  parti,  emetteva  ordinanza motivata di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c. e di estinzione del giudizio».
In particolare, il tribunale motivava nel senso che «in assenza di esplicito provvedimento giudiziale che abbia disposto la sostituzione dell’odierna udienza con il deposito telematico di note scritte ex art. 221, comma 4, D.L. 34/2020 (provvedimento né evincibile dal verbale di rinvio dell’udienza del 8 ottobre 2020 – nel quale non erano assegnati alle parti neppure i termini per il deposito di eventuali note scritte -, né emesso successivamente a tale data ed entro i termini previsti dalla norma menzionata, né tacitamente evincibile aliunde ) – trattandosi di disposizione evidentemente eccezionale che richiede apposito provvedimento espresso da parte del giudice in tal senso , non vi sono dubbi che la odierna udienza era da trattarsi in praesentia ».
6. Avverso tale provvedimento proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, con atto di citazione notificato il 16/12/2020, deducendo che il provvedimento di estinzione era ingiusto, «eccessivo ed oggettivamente contraddittorio perché dalla lettura delle motivazioni dell’ordinanza  dell’8  ottobre  2020  sarebbe  emersa  in  maniera evidente la volontà del giudice di prime cure di celebrare l’udienza mediante sostituzione con il deposito di note scritte».
Per l’appellante risultava decisiva la dicitura «per i medesimi incombenti», con la quale il primo giudice avrebbe voluto indicare, come già previsto per l’udienza dell’8 ottobre 2020, «la modalità di trattazione mediante scambio di note scritte, anche considerando che ‘dalla vigenza delle disposizioni contenute dalla L. 77/2020 ed in esecuzione delle disposizioni regolamentari vigenti presso quel tribunale, le cause aventi ad oggetto controversie simili introdotte dall’RAGIONE_SOCIALE ed assegnate alla 2^ Sez. Civile sono state tenute, finora, con le predette modalità’, sicché per l’appellante non vi sarebbero stati motivi per immaginare una diversa volontà del giudice».
La  RAGIONE_SOCIALE  osservava  anche  che,  «con  il  deposito  telematico  delle proprie richieste scritte del 15 ottobre 2020 […] avrebbe formalizzato e  documentato  la  propria  volontà  di  coltivare  il  giudizio  e  non  di abbandonarlo».
L’appellante richiamava anche i principi affermati dalla giurisprudenza  di  legittimità  secondo  cui  «le  pronunce  nel  merito devono essere sempre preferite a quelle in rito, stante il superamento  ‘dell’assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito’, sicché se l’atto processuale ha raggiunto lo scopo a cui è destinato non può essere dichiarato nullo e l’ambiguità delle norme processuali deve essere risolta sempre in modo da favorire una decisione sul merito».
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 4569/2023, depositata il 27/10/2023, rigettava l’appello.
La  Corte  di  merito  precisava  che  l’art.  221,  comma  4,  del decreto-legge  n.  34  del  2020  non  stabiliva  che  la  modalità  di celebrazione  dell’udienza,  nel  periodo  dell’emergenza  pandemica, «doveva essere, in via principale, quella della trattazione scritta, ma ne  prevedeva  la  residualità,  sottoponendola  alla  valutazione  di
opportunità del giudice che avrebbe potuto disporla, previa comunicazione,  almeno  30  giorni  prima  della  data  fissata  per l’udienza,  delle  modalità  di  celebrazione  della  stessa  mediante  lo scambio di note scritte».
Nella specie, l’udienza «cartolare» era stata disposta espressamente,  mediante  decreto  del  23  luglio  2020,  solo  per l’udienza dell’8 ottobre 2020 mentre nessun provvedimento simile a quello  del  23  luglio  2020  era  stato  disposto  per  udienza  del  26 novembre 2020».
Con il provvedimento emesso all’esito dell’udienza dell’8 ottobre 2020 il giudice «aveva semplicemente previsto il rinvio alla successiva udienza del 26 novembre ‘per i medesimi incombenti’, con ciò riferendosi non al deposito delle note scritte entro termini stabiliti, e quindi, alla modalità di celebrazione dell’udienza, ma ai provvedimenti da assumere a quella udienza a seguito dell’attività delle parti ( id est precisazione delle conclusioni delle parti e riserva in decisione oppure discussione orale)».
Chiosava  la  Corte  d’appello  nel  senso  che  la  circostanza  che «l’udienza  del  26  novembre  2020  doveva  tenersi  in  presenza  si desume dal fatto che tale data era stata fissata a breve, a ridosso di quella dell’8 ottobre».
Per  tale  ragione  il  tribunale  correttamente,  a  seguito  della mancata  partecipazione  delle  parti  alla  citata  udienza,  ed  ancor prima a quella dell’8 ottobre 2020, aveva disposto l’estinzione del processo  ai  sensi  dell’art.  309  c.p.c.,  «non  potendo  prendere  in considerazione la nota scritta dell’RAGIONE_SOCIALE del 15 ottobre 2020, da cui si evinceva la volontà di  tale  parte  di  non  abbandonare  il  processo, perché non autorizzata».
Non assumeva rilievo la circostanza che altre cause in cui era parte la RAGIONE_SOCIALE, ed attribuite al medesimo giudice, erano state decise e
trattate nel medesimo periodo con modalità cartolare, in esecuzione di disposizioni regolamentari in uso presso il tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, «in quanto – come già riferito – per l’udienza del 26 novembre 2020 non  vi era stato provvedimento  di fissazione di termini, da considerarsi  perentori,  per  il  deposito  delle  note  scritte,  come disposto per la pregressa udienza dell’8 ottobre 2020».
Tra  l’altro,  una  conferma  di  tale  interpretazione  proveniva  dal nuovo testo  dell’art.  127ter c.p.c.,  che,  al  comma  4,  assegna  al giudice la facoltà di fissare una nuova udienza cartolare, dopo quella pregressa in cui nessuna parte ha depositato le note scritte, o di disporre  l’udienza  in  presenza,  stabilendo  che,  qualora  nessuno depositi le note scritte nel nuovo termine o compaia all’udienza, egli ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo.
Entrambe le norme sarebbero «ispirate al principio di strumentalità  ed  elasticità  delle  forme»  dovendo  «garantire  il superiore principio costituzionale del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità».
Per tale ragione – ad avviso della Corte di merito – «la fissazione dei termini per il deposito di note scritte e di quelli dilatori prima dell’udienza – che, nel caso in esame, per l’udienza del 26 novembre 2020,  è  mancato  –  serve  per  tutelare  il  diritto  delle  parti  di  fare opposizione  e  chiedere  che  il  processo  si  svolga  con  le  modalità ordinarie, cioè in presenza».
La Corte d’appello concludeva nel senso che «un’interpretazione volta a forzare il significato del provvedimento di rinvio dell’8 ottobre 2020,  in  essa  rinvenendo  la  volontà  del  giudice  di  fissare  altra udienza  cartolare  per  il  successivo  26  novembre  2020  (si  ripete senza la fissazione dei termini per il deposito delle note scritte), si
porrebbe contro il principio del contraddittorio e della parità tra le parti nel processo».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, incorporante il RAGIONE_SOCIALE a seguito di fusione per incorporazione, ora RAGIONE_SOCIALE, incorporante con efficacia dal 1/1/2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Costituzione, art. 112 e 309 c.p.c., nonché art. 221, comma 4, D.L. 34/2020 convertito in legge  n.  77/2020  in  relazione  all’art.  360,  primo  comma,  n.  4, c.p.c.».
Sarebbe evidente l’ error in procedendo in cui sarebbero incorsi il tribunale prima e la Corte d’appello poi, nell’avere dichiarato il tribunale, e confermato la Corte, la legittimità del provvedimento di estinzione del giudizio, con la decisione di mero rito, «senza consentire di giungere ad una pronuncia nel merito dell’opposizione e nonostante fosse emerso palese dagli atti che non vi era, da parte della RAGIONE_SOCIALE, quale parte opponente, alcuna intenzione di abbandonare il giudizio ed in particolare di rendersi inattiva rispetto all’udienza del 26/11/2020 fissata per la precisazione delle conclusioni».
Sarebbe stato così violato il principio del giusto processo, come pure quello di effettività della tutela giurisdizionale, nonostante dagli atti, «e segnatamente dalle note scritte in sostituzione dell’udienza depositata il 15/10/2020 dalla difesa della RAGIONE_SOCIALE, emergesse palese che la mancata partecipazione in presenza all’udienza del 26/11/2020, non era stata determinata dalla volontà di abbandonare il giudizio di
opposizione, bensì dalla mera circostanza che il provvedimento di rinvio dell’8/10/2020 era stato interpretato dal difensore della RAGIONE_SOCIALE nel senso di ritenere che, anche la successiva udienza ex art. 309 c.p.c.,  come  quella  precedente  dell’8/10/2020,  dovesse  essere celebrata ‘a trattazione scritta’ e non già in presenza».
Ed infatti, con le note depositata il 15/10/2020 il difensore della RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto: «L’AVV_NOTAIO nell’interesse di parte opponente, impugna e contesta tutto quanto ex adverso prodotto, dedotto ed eccepito siccome inammissibile ed infondato, si riporta a tutte le difese svolte ed alle eccezioni sollevate chiedendo l’integrale accoglimento. Conclude per l’accoglimento della proposta opposizione, la revoca del d.i. e la condanna di parte opposta alle spese di lite. Chiede che la causa venga decisa».
La  Corte  di  merito,  poi,  ha  ritenuto  che  l’interpretazione  del provvedimento di rinvio del giudice, al termine dell’udienza cartolare dell’8/10/2020,  dovesse  interpretarsi  nel  senso  che  il  riferimento ‘per i medesimi incombenti’ andava riferito solo ed esclusivamente all’attività  da  svolgersi all’udienza e non anche alle modalità della stessa.
L’errore della Corte d’appello sarebbe stato quello di non aver colto che con il gravame la RAGIONE_SOCIALE «sostanzialmente non intendeva indicare quale, tra le possibili interpretazioni, fosse quella corretta o quella aderente alla volontà del G.U., quanto piuttosto che il provvedimento di rinvio doveva essere interpretato nel senso di consentire comunque di pervenire ad una pronuncia sul merito, piuttosto che interpretato nel senso di imporre una pronuncia di mero rito quale quella di estinzione».
Ed infatti, l’ambiguità dell’atto processuale non ne comportava l’inefficacia  o  l’inammissibilità,  tutte  le  volte  che  essa  potesse «essere agevolmente superata dal giudicante facendo ricorso ad una
interpretazione  complessiva  dell’atto  (si  cita  Cass.,  n.  28811  del 2019).
Inoltre,  le  norme  processuali,  se  ambigue,  devono  essere interpretate «in modo da favorire una decisione sul merito, piuttosto, che esiti ‘abortivi’ del processo (si cita Cass. n. 15274 del 2019).
L’ambiguità del provvedimento di rinvio dell’udienza, nella specie, era determinata non solo e non tanto dal mero contenuto delle espressioni letterali usate (‘per i medesimi incombenti’), «quanto piuttosto dal complesso delle circostanze, tra le quali, il precedente provvedimento con cui veniva disposta l’udienza cartolare, nonché il fatto che tutte le altre cause di cui era parte la RAGIONE_SOCIALE, ed attribuite al medesimo giudice, erano state decise e trattate nel medesimo periodo con modalità cartolare in esecuzione di disposizioni regolamentari in uso presso il tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
L’insieme delle circostanze poteva indurre le parti ad equivocare circa interpretazione da attribuire al provvedimento di rinvio.
Le note depositate il 15/10/2020 dalla RAGIONE_SOCIALE, con congruo anticipo rispetto all’udienza del 26/11/2020, avrebbe dovuto rendere evidente  al  giudice  quale  fosse  stata  «l’interpretazione  del  suo provvedimento» da parte del difensore della RAGIONE_SOCIALE.
Per tale ragione, sia il provvedimento di rinvio dell’8/10/2020 per l’udienza del 26/11/2020, che la mancata comparizione a quest’ultima del difensore dell’RAGIONE_SOCIALE «dovevano essere interpretati nel senso tale da consentire una pronuncia sul merito, piuttosto che la pronuncia di mero rito di estinzione del giudizio».
Tra  l’altro,  non  era  condivisibile  neppure  l’affermazione  della Corte di merito per cui un’interpretazione volta a forzare il significato del  provvedimento  di  rinvio  dell’8  ottobre  2020,  si  sarebbe  posta contro  il  principio  del  contraddittorio  e  della  parità  tra  le  parti  al processo, in quanto, in realtà, «una tale interpretazione funzionale a
garantire una pronuncia di merito mai avrebbe comportato una violazione del principio del contraddittorio, dal momento che il giudice, una volta rilevato che la mancata comparizione delle parti in presenza all’udienza era stata, all’evidenza, o quanto meno per la RAGIONE_SOCIALE, determinata dal fatto che il provvedimento di rinvio era stato percepito come rinvio per la trattazione cartolare dell’udienza, avrebbe dovuto adottare semplicemente ed esclusivamente un ulteriore provvedimento di mero rinvio, con modalità a sua scelta tra cartolare o in presenza, al fine di garantire e, se del caso, di ripristinare il pieno contraddittorio tra le parti».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Costituzione, art. 1367 c.c art. 6, 3º comma, Trattato sull’Unione Europea dell’1/2/1992 (come modificato dal Trattato di Lisbona del 13/12/2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2/8/2008, n. 130), art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 309 c.p.c., nonché art. 221, comma 4, D.L. 34/2020 convertito in legge n. 77/2020 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c».
Per la ricorrente le note scritte depositate dal difensore della RAGIONE_SOCIALE del 15/10/2020 «dovevano in ogni caso interpretarsi nel senso in cui potevano avere un qualche effetto e non in quello secondo il quale non avevano alcun».
Nella specie, invece, sia il primo giudice che la Corte d’appello non  hanno  attribuito  alcun  effetto  alle  note  scritte  depositata  il 15/10/2020 dal difensore della RAGIONE_SOCIALE «nonostante con le stesse questi avesse manifestato la volontà di proseguire nel giudizio di opposizione e di prendere comunque parte all’udienza del 26/11/2020,  pur  se  fissata  con  modalità  ‘in  presenza’  e  ‘non cartolare’».
I giudici di merito hanno dunque violato la regola dell’interpretazione ‘utile’ di cui all’art. 1367 c.c., nonché quella del diritto europeo, in forza dell’art. 6, paragrafo 3, TUE che ha recepito nel diritto dell’unione i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e, tra questi, il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Costituzione, art. 156, 3º comma e 309, c.p.c., nonché art. 221, comma 4 D.L. 34/2020 convertito  in  legge  n.  77/2020,  in  relazione  all’art.  360,  primo comma, n. 4, c.p.c».
La decisione impugnata sarebbe illegittima anche perché, nell’omettere di considerare la valenza delle note scritte depositate della difesa della RAGIONE_SOCIALE il 15/10/2020, ha implicitamente ritenuto «la nullità in quanto depositata in violazione dei provvedimenti di rinvio che disponeva l’udienza in presenza e non cartolare, senza tuttavia considerare che la nullità non può mai sussistere se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato che nella specie era quello di garantire la partecipazione della RAGIONE_SOCIALE all’udienza del 26/11/2020».
I giudici di merito avrebbero dovuto prendere atto che «anche se irritualmente,  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva  inteso  partecipare  e  di  fatto  aveva comunque partecipato all’udienza del 26/11/2020».
Se  tale  modalità  non  fosse  stata  tale  da  garantire  il  pieno contraddittorio  con  la  parte  opposta,  il  giudice  avrebbe  dovuto adottare «quale unico provvedimento legittimo, quello di un mero e semplice rinvio, senza pregiudizio alcuno per le posizioni processuali di entrambe le parti».
I tre motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.
4.1.  I  fatti  di  causa  –  per  i  quali  vi  sono  motivi  di  ricorso  per cassazione – sono del tutto pacifici.
4.2. All’udienza del 2/5/2019 il tribunale, dopo essersi pronunciato sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, ha rinviato  la  causa  per  la  precisazione  delle  conclusioni  all’udienza dell’8/10/2020.
Successivamente, a causa dell’emergenza RAGIONE_SOCIALE dovuta al Covid-19, il tribunale con decreto del 23/7/2020, ritualmente comunicato dalla cancelleria ad entrambe le parti, ha disposto la sostituzione della già fissata udienza in presenza con il deposito telematico di sintetiche note scritte ai sensi dell’art. 221, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020, assegnando un termine fino al 2/10/2020 per il deposito di note congiunte o in caso di ragioni ostative di note disgiunte.
Nessuna delle parti depositava note scritte.
All’udienza dell’8/10/2020 il tribunale, rilevato che le parti non avevano  depositato  le  note  nei  termini,  nonostante  la  rituale comunicazione del provvedimento, ai sensi degli articoli 181 e 309 c.p.c., «rinviava la causa, per i medesimi incombenti, l’udienza del 26 novembre 2020».
All’udienza del 26/11/2020 il tribunale così motivava «in assenza di esplicito provvedimento giudiziale che abbia disposto la sostituzione dell’odierna udienza con il deposito telematico di note scritte ex art. 221, comma 4, D.L. 34/2020 (provvedimento né evincibile dal verbale di rinvio dell’udienza dell’8 ottobre 2020 – nel quale non erano assegnati alle parti neppure i termini per il deposito di eventuali note scritte -, né emesso successivamente a tale data ed entro i termini previsti dalla norma menzionata, né tacitamente evincibile aliunde ) -trattandosi di disposizione evidentemente eccezionale che richiede apposito provvedimento espresso da parte del giudice in tal senso -, non vi sono dubbi che la odierna udienza era da trattarsi in praesentia ».
Pertanto, il giudice, riscontrata l’assenza delle parti, rilevato che la causa veniva già da un precedente rinvio per assenza delle parti, emetteva ordinanza motivata di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c. e di estinzione del giudizio.
Va evidenziato che trova applicazione l’art. 221, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020, prima dell’introduzione dell’art. 127ter c.p.c.
5.1. L’art. 221, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, citato, prevede «il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno 30 giorni prima della data fissata per l’udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a 5 giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’art. 181 del codice di procedura civile».
La novella è poi confluita nell’art. 127ter c.p.c., non applicabile nella specie ratione temporis .
5.2. L’art. 127ter c.p.c., introdotto con il d.lgs. 10/10/2022, n. 149, art. 3, comma 10, lettera b), stabilisce che «l’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dei difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l’udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite».
Si prevede al comma 2 dell’art. 127ter , c.p.c. che «con il provvedimento con cui sostituisce l’udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a 15 giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita può opporsi entro 5 giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei 5 giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati».
Pertanto, si prevede espressamente che il termine assegnato dal giudice per il deposito delle note scritte sia «perentorio».
Il  terzo  comma  dell’art.  127ter c.p.c.  dispone  che  «il  giudice provvede entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note».
Al comma 4 dell’art. 127ter c.p.c. si legge che «se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato il giudice assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza. Se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all’udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo».
Pertanto, non solo si stabilisce che il nuovo termine assegnato dal giudice sia «perentorio» ai fini del deposito delle note scritte, ma anche che il giudice, dopo la prima udienza cartolare, può scegliere se  disporre  una  nuova  udienza  cartolare,  assegnando  il  termine perentorio  per  il  deposito  delle  note  scritte,  o  fissare  udienza  in presenza.
Oltre a prevedersi un termine unico e perentorio per il deposito delle  note  di  trattazione  scritta,  tale  termine  non  è  più  ancorato, come in passato, alla data dell’udienza (calcolato a ritroso da essa),
ma decorre  dalla  data  di  emissione  del  provvedimento  con  cui  il giudice dispone la trattazione scritta.
Al comma 5 dell’art. 127ter c.p.c. si prevede che «il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti».
5.3.  Con  il  d.lgs.  31/10/2024,  n.  164,  Correttivo  alla  riforma Cartabia, sono state poi apportate ulteriori modifiche all’art. 127ter c.p.c., prevedendosi, al primo comma, che «l’udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice».
Si stabilisce, poi, al comma 5 che «il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza».
Pertanto, da un lato, la modifica del comma 1, dell’art. 127ter c.p.c., è volta a vietare l’udienza «cartolare», ossia la sostituzione della udienza con note scritte, ogni volta che la comparizione personale delle parti sia imposta dalla legge o dal provvedimento del giudice, come nell’ipotesi di cui all’art. 183 c.p.c del rito ordinario, ed inoltre nei casi in cui il giudice ordini la comparizione personale delle parti per interrogatorio formale ex art. 117 c.p.c., oppure per tentare la conciliazione ex art. 185 c.p.c. o per formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa ex art. 185bis c.p.c..
Dall’altro,  nell’ultimo  comma  dell’art.  127ter c.p.c.,  invece,  si introduce quella che per la dottrina viene definita una fictio , in base alla quale il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza si considera letto in udienza.
In tal modo si stemperano i profili di incompatibilità tra il potere del giudice di disporre che l’udienza si celebri secondo la modalità «cartolare» e le norme disseminate nel codice, come l’art. 429 c.p.c.,
che prevede che il giudice dia lettura in udienza del dispositivo e, oggi, anche della motivazione al termine della discussione orale.
5.4.  L’udienza  cartolare,  comunque,  nelle  varie  declinazioni prospettate  dal  legislatore  è  imperniata  sulla  doppia  «diserzione bilaterale» delle udienze fissate, ai sensi del combinato disposto degli artt.  181 e 309 c.-p.c.
Nell’affrontare la vicenda deve muoversi, anche in base alle prospettazioni del Procuratore generale, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 3, 8/11/2019, n. 28811), conforme al diritto ed alla giurisprudenza unionale, in base alla quale l’ambiguità dell’atto processuale non ne comporta l’inefficacia o l’inammissibilità, tutte le volte che essa possa essere agevolmente superata dal giudicante facendo ricorso ad una interpretazione complessiva dell’atto. Ciò in ossequio al principio sovranazionale secondo cui nell’interpretazione non solo delle norme processuali, ma anche degli atti processuali, il giudice nazionale ha il dovere di preferire le interpretazioni tali da consentire una pronuncia sul merito, piuttosto che quelle tali da imporre una pronuncia di inammissibilità (Corte CEDU, 7/6/2012, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in causa n. 38433/09, paragrafo 140; Corte EDU, 17/5/2016, NOME ed al. C. Ungheria, in cause nn. 42641/13 e 44357/13; e soprattutto Corte Edu, sez. I, 15/9/2016, Trevisanato c. RAGIONE_SOCIALE, in causa n. 32610/07, paragrafi, 42-44. E Corte EDU, sez. I, 24/4/2008, COGNOME c. Lussemburgo, in causa n. 17140/05).
Si è anche confermato, sul tema, che il giudice, a fronte di atti processuali che scontino un non insuperabile tasso di ambiguità, ove gli strumenti dell’ermeneutica lo consentano, deve interpretarli nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, atteso che la regola dell’interpretazione “utile” è imposta sia dal diritto interno, da parte dell’art. 1367 c.c.,
sia dal diritto europeo, in forza dell’art. 6, par. 3, TUE (come modificato dal Trattato di Lisbona), che recepisce nel diritto dell’Unione i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e, tra questi, il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale – nella specie, la S.C. ha ritenuto infondata la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per avere la decisione gravata statuito in merito ad un avviso di accertamento erroneamente indicato nel corpo della sentenza, ma correttamente identificato nell’epigrafe della stessa – (Cass. sez. 5, 23/1/2019, n. 1787).
Si devono, dunque, evitare gli eccessi del formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o di ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’art. 6 della CEDU del 1950 (Corte EDU, sez. II, 28/6/2005, COGNOME c. Repubblica Ceca, in causa 74328/2001; Corte EDU, sez. I, 21/2/2008, COGNOME c. Grecia, in causa 2602/06; Corte EDU, sez. I, 24/4/2008, COGNOME c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/2005).
Del resto, trova applicazione il principio per cui, in tema di interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e seguenti, la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena di inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione (Cass., sez. L, 18 del 2014, n. 6226).
Tutti  adempimenti  che  sono  stati  ritualmente  effettuati  dalla ricorrente, anche con l’invocazione dell’art. 1367 c.c., in ordine alla conservazione degli effetti del contratto.
Non può non richiamarsi anche l’ordinanza n. 15274 del 2019 di  questa  Corte,  in  base  alla  quale,  «le  norme  processuali,  sia ambigue, vanno interpretate in modo da favorire una decisione sul merito, piuttosto, che esiti ‘abortivi’ del processo».
Del resto, questa Corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 26242 del  12/12/2014,  ha  affermato  il  superamento  «dell’assunto  della inossidabile primazia del rito rispetto al merito», aggiungendo che tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile: sicché tra un rigetto per  motivi  di  rito  e  uno  per  ragioni  afferenti  al  merito,  il  giudice dovrebbe scegliere il secondo (vedi anche Cass., Sez.U., 16/11/2017, n. 27199).
Si è rimarcato che il diritto processuale, come quello sostanziale, «non può non essere interpretato alla luce delle regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario» (Cass., n. 15274 del 2019).
Tra queste vi è anche l’art. 6, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea  (c.d.  Trattato  di  Lisbona,  ratificato  e  reso  esecutivo  con legge 2/8/2008, n. 130) il quale stabilisce che «i diritti fondamentali, garantiti  dalla  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti dell’uomo  e  delle  libertà  fondamentali  […]  fanno  parte  del  diritto dell’unione in quanto principi generali».
Per effetto di tale norma, dunque, i principi della CEDU sono stati «comunitarizzati»  e  sono  divenuti  «principi  fondanti  dell’Unione Europea».
Tra  i  principi  sanciti  dalla  CEDU  si  rinviene  anche  quello  alla effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 6 CEDU.
Nell’interpretare tale norma, la CEDU ha ripetutamente affermato che il principio di effettività della tutela giurisdizionale «va inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati
debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito». (Cass. n. 15274/2019).
Per tale ragione, gli organi giudiziari degli  Stati  membri, nell’interpretazione  della  legge  processuale,  «devono  evitare  gli eccessi  del  formalismo,  segnatamente  in  punto  di  ammissibilità  o ricevibilità  dei  ricorsi»,  nel  senso  che  «le  cause  di  nullità  o  di inammissibilità  non  possono  restringere  l’accesso  alla  giustizia  al punto tale che sia vulnerata l’essenza stessa del diritto fatto valere».
Va richiamata anche la recente ordinanza di questa Corte n. 14810 del  27/5/2024  che  si  è  occupata  proprio  della  valutazione degli atti processuali posti in essere dalle parti, al fine di evitare il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 181 c.p.c., seppure nella formulazione all’epoca vigente.
Si è ritenuto, dunque, che la nullità conseguente all’omessa cancellazione della causa dal ruolo, a seguito della diserzione delle parti a due udienze consecutive dinanzi al giudice istruttore (nella disciplina anteriore alla modifica dell’art. 181 c.p.c. da parte del d.l. n. 112 del 2008, conv. con mod. dalla l. n. 133 del 2008), è sanata per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c., dal successivo compimento di un’attività processuale che manifesti l’intenzione di proseguire il processo e ottenere una decisione nel merito (Cass., sez. 3, 27/5/2024, n. 14810).
In  tale  ordinanza  si  è  dato  particolare  rilievo  alla  condotta processuale delle parti, al fine di individuare se le stesse avessero effettivamente avuto intenzione di disertare entrambe le udienze di cui all’art. 181 c.p.c..
Si è affermato che «la successiva attività processuale svolta dalle parti all’udienza di precisazione delle conclusioni (e, segnatamente, l’attività  svolta  dalla  parte  appellante,  che  manifestò  in  modo inequivocabile l’intenzione di proseguire il giudizio e di ottenere una
decisione  nel  merito)  è  certamente  valsa  a  rendere  manifesto  il raggiungimento  dello  scopo  alla  cui  realizzazione  sarebbe  stato destinato  il  provvedimento  (nella  specie  omesso)  di  cancellazione della  causa  dal  ruolo,  ossia  lo  scopo  di  sollecitare  le  parti  ad esprimere, entro i termini di legge, la propria volontà di proseguire il processo».
Pertanto, in quella fattispecie, l’appellante aveva «manifesta[to] la  volontà  di  proseguire  il  processo  d’appello»,  sicché  «la  nullità conseguente alla mancata cancellazione della causa dal ruolo deve ritenersi certamente sanata ai sensi dell’art. 156, 3º comma, c.p.c., per raggiungimento dello scopo».
10. Non può non richiamarsi, poi, l’altra recente ordinanza di questa Corte n. 32827 del 27/11/2023, per la quale ai sensi dell’art. 221, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’art. 181 c.p.c. nel caso in cui nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte entro la data fissata per l’udienza e non anche se tale deposito avvenga senza l’osservanza del termine di cinque giorni prima, ma comunque entro tale data, trattandosi di un termine ordinatorio ed essendo la norma strutturata su una equivalenza tra il deposito telematico delle note scritte e l’udienza da esso sostituita (Cass., sez. 2, 27/11/2023, n. 32827).
In tal caso, al fine di escludere il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione del processo ex art. 181 c.p.c., questa Corte ha dato rilevanza alle note depositate dalle parti, oltre il termine (di natura non perentoria) assegnato dal giudice ai sensi dell’art. 221, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020, ma comunque prima dell’udienza fissata.
Si è rilevato che il mancato deposito telematico delle note scritte delle  parti  è  equiparato  alla  mancata  comparizione  delle  parti
all’udienza. Il deposito delle note scritte, al pari della comparizione in presenza le udienze, «è stato quindi inteso come atto di impulso di  parte,  configurandosi  la  mancata  effettuazione  del  deposito telematico ad opera di tutti i contendenti come implicita loro rinuncia alla prosecuzione del processo».
Tra  l’altro,  all’epoca,  prima  dell’introduzione  dell’art.  127ter c.p.c., il termine per il deposito delle note scritte fino a 5 giorni prima della data fissata per l’udienza doveva essere considerato «ordinatorio, ai sensi dell’art. 152, comma 2, c.p.c., onde il tardivo deposito non ne determina la nullità, purché sia  comunque intervenuto entro la medesima data di udienza, e non può essere equiparato, stante la lettera della legge, alla mancata effettuazione del deposito stesso».
Per tale ragione, chiarisce questa Corte, «in assenza di espressa dichiarazione di perentorietà del termine, occorre considerare che la norma prevista nell’ambito delle misure connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 era strutturata su una equivalenza tra il deposito telematico delle note scritte e l’udienza da esso sostituita (e non tra il giorno di scadenza del termine e il giorno di udienza), non entrando il termine assegnato a far parte dell’atto del procedimento di cui si tratta; ne consegue che la sua inosservanza non comporta effetti identici a quelli che la legge attribuisce all’omesso deposito, salvo che non sia oltrepassata la data fissata per l’udienza sostituita, segnando la stessa una situazione incompatibile con il riconoscimento degli effetti dell’attività della parte» (Cass., n. 32827 del 2023).
Con l’art.  127ter c.p.c.,  introdotto  dal  d.lgs.  n.  149  del  2022 (Riforma Cartabia), si è operata invece una scissione della trattazione scritta rispetto all’udienza, affermandosi che quest’ultima è «sostituita» dal deposito delle note.
Ciò significa, anche  ad  avviso della dottrina, che se c’è trattazione  scritta  non  c’è  udienza,  e  dall’altro  lato,  che  l’attività svolta con la trattazione scritta equivale all’udienza, posto che se ne conservano tutti gli effetti.
Pertanto, alla luce di tutte le argomentazioni sopra riportate, non v’è dubbio che numerosi elementi deponevano per la sussistenza di una estrema ambiguità del provvedimento adottato dal tribunale di RAGIONE_SOCIALE all’udienza «cartolare» del 26/11/2020.
Ma,  soprattutto,  deve  essere  data  la  necessaria  ed  opportuna considerazione al contegno processuale delle parti, e segnatamente alla condotta processuale della RAGIONE_SOCIALE opponente.
In tal senso si è già espressa questa corte, laddove ha ritenuto, sia pure con riferimento al nuovo articolo 127-ter c.p.c., che «in presenza di una situazione dubbia del rito c.d. cartolare, non va avallato il procedere comunque sulla base di dati formali in qualunque modo interpretati, ma va dato corso a richiesta di chiarimenti, che poi altro non sono che l’espressione tangibile del contraddittorio, il quale […] va inteso ‘non solo come dibattito tra le parti, ma coinvolge anche il giudice nella sua posizione di interlocutore, espressione dell’esercizio pubblico dell’attività giudiziaria’» (Cass., sez. L, 3/9/2024, n. 23565; che richiama Cass., 31/5/2023, n. 15311).
Dovendosi dunque privilegiare, specie a fronte dell’introduzione di forme sostitutive dell’udienza ‘fisica’, in cui sono più naturali chiari accertamenti sugli intenti delle parti, «un  approccio che sia rispettoso di un procedere non puramente formalistica» (Cass., n. 23565 del 2024, citata).
11.1.  In  primo  luogo,  il  giudice,  dopo  aver  sostituito  (con provvedimento del 23/7/2020) l’udienza in presenza, già fissata per la  precisazione  delle  conclusioni,  all’  8/10/2020,  con  l’udienza
«cartolare » sempre dell’8/10/2020, con provvedimento dell’8/10/2020  ha rinviato la causa all’udienza del 26/11/2020 «per i medesimi incombenti».
Pertanto, poteva ritenersi, con pari affidabilità, sia che la nuova udienza del 26/11/2020 fosse «in presenza» e che l’espressione «per i  medesimi  incombenti»  fosse  riferita  alle  attività  processuali  che avrebbero  dovuto  esplicare  le  parti  in  tale  udienza,  e  quindi  alla precisazione delle conclusioni, sia che la nuova udienza fosse stata fissata con modalità «cartolare», pur in assenza di un provvedimento espresso che disponesse il deposito di note in sostituzione dell’udienza.
Come correttamente sottolineato dalla Procura generale l’espressione  «per  i  medesimi  incombenti»  non  è  altro  che  «una mera  formula  di  stile  alla  quale  non  accede  necessariamente  il significato che apparentemente essa sembrerebbe esprimere seconda la lettura fornita dai giudici di merito».
Pertanto,  nell’incertezza  della  formula  utilizzata  dal  giudice doveva essere attribuito a tale espressione quella che garantiva la sopravvivenza della prosecuzione del processo al fine dell’emissione di un provvedimento di merito.
11.2.  Inoltre,  va  valorizzata  la  circostanza,  pure  menzionata dalla Corte d’appello, per cui «altre cause in cui era parte la RAGIONE_SOCIALE, ed attribuite  al  medesimo  giudice  impugnato,  erano  state  decise  e trattate nel medesimo periodo con modalità cartolare, in esecuzione di  disposizioni  regolamentari  in  uso  presso  il  tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
11.3.  Soprattutto,  va  rimarcata  la  condotta  processuale  della opponente  RAGIONE_SOCIALE,  che,  a  fronte  della  fissazione  dell’udienza  del 26/11/2020 per «i medesimi incombenti», ha depositato note scritte in  data  15/10/2020,  manifestando,  così,  una  volta  per  tutte,  la
propria espressa volontà di proseguire nel giudizio e non certo quella di abbandonarlo, con conseguente provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ex art. 181 c.p.c. ed estinzione del giudizio.
In presenza del deposito di note d’udienza particolarmente esplicative della volontà della RAGIONE_SOCIALE opponente di proseguire il giudizio e di pervenire ad una decisione sul merito, vale la pena di riportare la trascrizione di tali richieste: «L’AVV_NOTAIO nell’interesse di parte opponente, impugna e contesta tutto quanto ex adverso prodotto, dedotto ed eccepito siccome inammissibile ed infondato, si riporta a tutte le difese svolte ed alle eccezioni sollevate chiedendo l’integrale accoglimento. Conclude per l’accoglimento della proposta opposizione, la revoca del d.i. e la condanna di parte opposta le spese di lite. Chiede che la causa venga decisa. La presente nota viene depositata disgiuntamente a causa dell’elevatissimo numero di cause pendenti (tribunale di RAGIONE_SOCIALE, tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE), con plurime parti e plurimi difensori, che impediscono, per comprensibili motivi di ordine pratico, di poter redigere note congiunte. Tale situazione (dell’elevatissimo numero di note di trattazione richieste, unitamente alla già oneroso carico di lavoro), tra l’altro, ha determinato il rinvio della presente causa ai sensi dell’art. 309 c.p.c., non essendo riuscito lo scrivente procuratore a depositare le richieste note entro i termini concessi dal codesto giudice. E per questo, porgere le proprie scuse».
Non può dubitarsi, dunque, che la RAGIONE_SOCIALE opponente abbia manifestato in modo cristallino la propria intenzione di giungere ad una decisione di merito.
11.4. Quanto all’affermazione della Corte d’appello per cui una diversa interpretazione non avrebbe garantito il superiore principio costituzionale del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, per cui, non avendo il giudice fissato dei termini per il deposito di
note scritte prima dell’udienza, la RAGIONE_SOCIALE opponente non avrebbe potuto depositare  le  proprie  note  scritte,  vale  la  pena  rimarcare  che  il tribunale, una volta preso atto della significativa volontà della parte di giungere ad una decisione nel merito, avrebbe potuto e dovuto rinviare l’udienza per consentire alle parti di partecipare alle stesse in situazione di parità e nel pieno  rispetto del principio del contraddittorio.
Non può condividersi in alcun modo l’affermazione della Corte di merito per cui il tribunale non poteva «prendere in considerazione la nota scritta dell’ASL del 15 ottobre 2020, da cui si evinceva la volontà di tale parte di non abbandonare il processo, perché non autorizzata».
Infatti, la nota scritta delle 15/10/2020 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE aveva l’unico  significato  di  dimostrare  al  giudice  ed  alla  controparte  la propria intenzione di proseguire la controversia fino a giungere ad una decisione nel merito.
 La  sentenza  impugnata  deve,  quindi,  essere  cassata,  con rinvio  alla  Corte  d’appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  in  diversa  composizione,  che provvederà  anche  alla  determinazione  delle  spese  del  giudizio  di legittimità.
P.Q.M.
accoglie  il  ricorso;  cassa  la  sentenza  impugnata  e  rinvia  alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 febbraio