Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16910 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15107/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME e NOME COGNOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domiciliano in Riccione (RN), alla INDIRIZZO
-ricorrenti -contro
COGNOMERAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
–
intimati – avverso l ‘ordinanza , n. cron. 10283/2024, della CORTE DI CASSAZIONE, pubblicata in data 16/04/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 18/06/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 13/29 settembre 2022, n. 1906, la Corte d’appello di Bologna respinse l’impugnazione promossa da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME avverso il lodo del 22 luglio 2019 con il quale il collegio arbitrale, definitivamente pronunciando a maggioranza, aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di arbitrato, stante l’inestensibilità della clausola compromissoria alla cessionaria del credito, rigettando le domande d’inadempimento, ex art. 2932 cod. civ., e di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale formulate dalla parte intervenuta, NOME COGNOME attesa l’avvenuta risoluzione dell’accordo stipulato tra il COGNOME ed NOME COGNOME con la predetta scrittura privata del 7 dicembre 2016. Quella corte ritenne: i ) infondato il primo motivo di impugnazione, non costituendo ragione di nullità rilevante ai sensi dell’art. 829 cod. proc. civ. quanto scritto a pag. 2 del lodo, ossia che ‘ le parti convocate ‘ eccepivano l’incompetenza degli arbitri, ed escludendo la lamentata contraddittorietà della motivazione del lodo; ii ) inammissibile il secondo motivo di impugnazione, sia perché non rientrante tra le ipotesi di nullità ex art. 829 cod. proc. civ., sia perché riguardante la posizione della COGNOME, non quella del COGNOME; iii ) inammissibile il terzo motivo di impugnazione, stante la superfluità della pronuncia sulla formulata eccezione di compensazione; iv ) insussistente il vizio di omessa pronuncia sulla domanda subordinata di restituzione della somma di €. 80.000,00, denunciato con il quarto motivo di impugnazione; v ) il quinto motivo di impugnazione, infine, non inquadrabile in alcuno dei vizi di nullità di cui all’art. 829 cod. proc. civ.
Il ricorso per Cassazione proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME contro questa decisione è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con ordinanza del 30 gennaio/16 aprile 2024, n. 10283, pronunciata nel contraddittorio con NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
2.1. In quella sede, ritenuta l’inammissibilità di una nuova censura introdotta dai ricorrenti solo con la memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. (in relazione a fatti successivi a quelli oggetto del ricorso, conseguenti ad un’azione di responsabilità professionale proposta nei confronti del proprio
legale) e descritti il contenuto delle formulate censure e le pronunce di legittimità riguardanti le modalità di redazione del ricorso per cassazione in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, si è osservato che: i ) « Nel caso concreto, l’esposizione dei motivi di ricorso si palesa confusa, con riferimento a vizi che non si traducono – in buona parte – in critiche specificamente riferibili alle singole statuizioni della sentenza impugnata. Va aggiunto che, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, la Corte di Cassazione non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (Cass., 07/02/2018, n. 2985). Inoltre, in tema di arbitrato, la decisione della Corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge in tema d’interpretazione dei contratti può essere censurata con ricorso per cassazione per vizi propri della sentenza medesima e non per vizi del lodo, spettando al giudice di legittimità verificare soltanto che la Corte di merito abbia esaminato la questione interpretativa e abbia dato motivazione adeguata e corretta della soluzione adottata (Cass. 3260/2022) »; ii ) « Nella specie, anzitutto, i motivi di ricorso si traducono – inammissibilmente – in un tentativo di sostituzione, in questa sede, della pronuncia della Corte sul lodo, in relazione alla valutazione dei fatti ed all’interpretazione del contratto stipulato tra le parti. Inoltre, i motivi sono accomunati dal fatto di tendere al riesame dei fatti, in ordine alle varie questioni decise dalla Corte territoriale, esaminate adeguatamente e correttamente; inoltre, il ricorso esprime, in diversi punti, frammisti a censure confusamente rivolte alla sentenza impugnata, anche doglianze afferenti a vizi propri del lodo, inammissibilmente riproposte in questa sede. In particolare, poi, circa il vizio relativo al l’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione della somma di euro 80.000,00, va rilevato che i ricorrenti non trascrivono la domanda che,
a loro dire, riguarderebbe l’istanza di restituzione della somma, e non il risarcimento dei danni da risoluzione contrattuale (come motivato in sentenza), per cui emerge, al riguardo anche un difetto di autosufficienza in relazione a tale domanda, sulla quale, peraltro, la Corte si è pronunciata, soltanto qualificandola in maniera diversa da quella auspicata dai ricorrenti. Anche con riguardo alla questione dell’omessa applicazione dell’art. 7 della scrittura privata (che avrebbe vietato la novazione degli accordi tra le parti), parimenti sussiste il vizio di autosufficienza, non avendo i ricorrenti trascritto il testo di tale norma negoziale; in ogni caso, la censura è diretta al riesame dell’interpretazione dei fatti ».
Contro questa decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME COGNOME hanno promosso ricorso ex artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc., formulando due motivi, corredati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE sono rimasti solo intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Allo scrutinio dei formulati motivi, giova premettere che costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza o dell’ordinanza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; l’errore di fatto revocatorio consiste, difatti, in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato ( cfr ., tra le più recenti, Cass., SU, n. 5906 del 2020; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 735 del 2023; Cass. n. 4883 del 2025).
1.1. In altri termini, come ripetutamente ribadito da questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4883 del 2025; Cass., SU, n.
20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 4344 del 2020; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 27570 del 2018; Cass. n. 442 del 2018), l’istanza di revocazione di una decisione della Corte di cassazione, proponibile ex art. 391bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 395, n. 4, cod. proc civ., e consistente in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile, escluso (o accertato) in base agli atti ed ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla decisione, l’altra dagli atti e documenti processuali ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4883 del 2025; Cass. n. 3544 del 2022; Cass., SU., n. 10854 del 2021; Cass., SU, n. 10249 del 2021; Cass., SU, n. 31032 del 2019), sempreché la realtà desumibile dalla decisione stessa sia frutto di supposizione e non di giudizio ( cfr., e plurimis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 13915 del 2005; Cass. n. 2425 del 2006; Cass. n. 22171 del 2010; Cass., SU, n. 9882 del 2001; Cass., SU, n. 23856 del 2008; Cass., SU, n. 4413 del 2016; Cass. n. 16138 del 2019). Il vizio revocatorio, invece, non ricorre ove la statuizione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione ( cfr . Cass. n. 20635 del 2017, menzionata, in motivazione, anche dalle più recenti Cass. n. 16138 del 2019, Cass. n. 3544 del 2022 e Cass. n. 4883 del 2025. Si veda pure Cass., SU, n. 4367 del 2021, che ha escluso la percorribilità della revocazione ove non si tratti di errore percettivo sull’identificazione degli atti, ma di attività di interpretazione e valutazione degli stessi). Un siffatto errore, poi, deve: i ) essere essenziale e decisivo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4883 del 2025; Cass., SU, n. 20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 11200 del 2018; Cass. n. 25871 del 2017; Cass. 24334 del 2014), nel senso che tra la percezione
asseritamente erronea da parte del giudice e la statuizione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che, senza l’errore, la pronuncia sarebbe stata diversa ( cfr., ex aliis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 14656 del 2017); ii ) rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la decisione impugnata e gli atti o documenti del giudizio ( cfr . Cass., SU, n. 20013 del 2024), senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
Fermo quanto precede, i formulati motivi di ricorso assumono, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione dell’art. 395, n. 4, c.p.c. per aver assunto a base della decisione una prova documentale falsa e inesistente ». Si deduce che « L’ordinanza oggetto del presente ricorso a pag. 7 afferma: ‘Con riguardo alla questione dell’omessa applicazione dell’art. 7 della scrittura privata (che avrebbe vietato la novazione degli accordi fra le parti), parimenti sussiste il vizio di autosufficienza, non avendo i ricorrenti trascritto il testo di tale norma negoziale; in ogni caso, la censura è diretta al rie same dell’interpretazione dei fatti’. Si tratta di affermazione falsa e contraddetta dai documenti. Basterà leggere quanto esposto a pag. 10 del ricorso in Cassazione per verificare che, proprio in base al principio di autosufficienza, era stato prospettat o alla Corte d’Appello il motivo secondo cui non era possibile pensare alla estinzione dell’obbligazione a carico di COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE in quanto la scrittura del 7 dicembre 2006 aveva stabilito, all’art. 7, che nessun accordo successivo, anche se derivante da atto pubblico ‘avrebbe avuto valore novativo rispetto alle disposizioni contenute nella presente scrittura’, dunque l’affermazione contenuta nella motivazione dell’ordinanza: ‘non avendo i ricorrenti trascritto il testo di tale norma’ è del tutto priva di fondamento poiché, come si è visto, il testo era stato interamente trascritto nel ricorso e, in ogni caso, la scrittura del 7 dicembre 2006 faceva parte del fascicolo di causa allegato al ricorso, come risulta dal punto 3 del medesimo ricorso »;
II) « Ulteriore violazione dell’art. 395, punto 4, c.p.c. per aver omesso l’esame di una circostanza palesemente risultante in senso contrario dalla documentazione di causa ». Questa censura è così argomentata: « A pag. 11 del ricorso in Cassazione si legge quanto segue: ‘L’On. Suprema Corte non potrà non rilevare che gli errori compiuti, prima dal Collegio Arbitrale poi dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 2507/2019 hanno completamente stravolto il quadro degli accordi intercorsi successivamente alla scri ttura’ e cioè che, pag. 7 della sentenza: ‘In sintesi , si ritiene che le pattuizioni successive abbiano dispiegato efficacia solutoria ed estintiva del contratto per il cui adempimento in forma specifica ha agito in arbitrato COGNOME NOME e per la medesima ragione la domanda subordinata di risarcimento del danno da costui avanzata è infondata perché non supportata da un accoro negoziale ancora vigente fra le parti’. Questa decisione è illegittima e stravolge completamente sia lo spirito sia la lettera di quanto convenuto fra le parti nella scrittura del 7.12.2006 travisando il senso della scrittura e giungendo alla conclusione che i patti successivamente intervenuti, avrebbero avuto effetto novativo degli accordi intercorsi. Esattamente il contrario di ciò che era stabilito fra le parti a proposito del divieto di novazione contenuto nella scrittura del 7.12.2006 ».
Le descritte doglianze si rivelano entrambe manifestamente inammissibili, investendo, sostanzialmente, le determinazioni utilizzate dall’ordinanza impugnata (di cui si è già esaustivamente dato conto nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, da intendersi, qui, per brevità, interamente richiamato) per dichiarare carente di autosufficienza la sola censura concernente la « questione dell’omessa applicazione dell’art. 7 della scrittura privata (che avrebbe vietato la novazione degli accordi tra le parti) ».
Le stesse, infatti, per come concretamente argomentate, cercano di contestare un (preteso) errore di giudizio, e non percettivo, atteso che ciò di cui in esse si lamenta, lungi dall’essere una ‘ svista ‘ obbiettivamente ed immediatamente rilevabile in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte (il non essersi ‘ accorta ‘ che, alla stregua della documentazione invocata nell’odierno motivo, non sarebbe stata configurabile -come pretenderebbero gli odierni
ricorrenti -quella carenza di autosufficienza ritenuta dalla menzionata Corte), si risolve, in realtà, nella contestazione afferente proprio il medesimo, ritenuto difetto di autosufficienza, affermato dalla corte di appello con valutazione che, in quanto fondata su accertamenti di natura chiaramente fattuale, come tali non sindacabili in sede di legittimità (se non per vizio motivazionale, ove concretamente possibile il ricorso al vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e nei limiti imposti dall’ interpretazione dello stesso fornita dalla pressoché costante giurisprudenza di legittimità seguita a Cass., SU, n. 8053 del 2014), ha condotto alla declaratoria di inammissibilità (anche) di quella censura da loro spiegata contro la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1906 del 2022, ossia in una pretesa valutazione di un asserito errore di diritto e non di fatto.
3.1. Occorre ricordare, allora, che, come si è già detto in precedenza, in tema di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone, non un qualsiasi errore di fatto, ma un errore di fatto (riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità. Cfr. Cass., SU, n. 20013 del 2024) che si risolva in un’erronea percezione dei fatti di causa, non ricorrendo, dunque, vizio revocatorio, quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione o interpretazione di documenti e risultanze processuali e non della relativa inesatta percezione ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 13181 del 2013; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 16447 del 2009; Cass. n. 26022 del 2008. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le più recenti Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n. 16138 del 2019, Cass. n. 3544 del 2022, Cass. n. 735 del 2023 e Cass., SU, n. 20013 del 2024).
A ciò va soltanto aggiunto che, della pretesa decisività di questo lamentato ed asserito errore, i ricorrenti nemmeno forniscono un’adeguata spiegazione, posto che: i ) la motivazione adottata sulla questione predetta dall’ordinanza oggi impugnata costituisce soltanto una delle plurime ragioni (su cui, invece, nulla hanno dedotto i ricorrenti) per cui il ricorso deciso in quella sede è stato dichiarato inammissibile; ii ) la ‘decisività’ asserisce, di per sé, al nesso di causalità tra il fatto non esaminato e la decisione: essa
deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di ‘ certezza ‘ della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015); iii ) ciò di cui oggi i ricorrenti lamentano l’errata valutazione o l’omesso esame, non è in alcun modo ‘ decisivo ‘, nei sensi in precedenza ricordati, stante la mancata contestazione delle ulteriori rationes decidendi che hanno concorso alla pronuncia di inammissibilità del ricorso contenuta nell’ordinanza impugnata in questa sede.
In definitiva, quindi, nel caso di specie, le censure oggi complessivamente veicolate non denunciano una svista obiettivamente ed immediatamente percepibile, commessa dalla Corte regolatrice, bensì contestano la valutazione di complessiva inammissibilità e ffettuata da quest’ultima circa una delle questioni da essi proposta, che, semmai (ed in via di mera ipotesi), potrebbe integrare un errore di giudizio (non altrimenti emendabile nel vigente sistema delle impugnazioni, ove riferito ad una decisione della Corte di cassazione, per superiore volontà della Legge affinché ne lites fiant paene perennes, et vita hominum modum excedant ) e non un errore di fatto revocatorio, tendendosi, in ultima istanza, a sollecitare un rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione.
4. In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo rimasti solo intimati NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME Buenano.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile