Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22344 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22344 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
REVOCAZIONE ORDINANZA CASSAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23766/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE DI COSENZA
-intimata – avverso e per la revocazione dell ‘ordinanza n. 15366/2024 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il giorno 3 giugno 2024; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
con l’ordinanza n. 15366/2024, in epigrafe meglio indicata, questa Corte rigettò il ricorso per cassazione proposto dal Centro diagnostico COGNOME avverso la sentenza della Corte d’appello di
Catanzaro n. 790/2021 la quale, in conferma della decisione di prime cure, aveva rigettato la domanda del Centro diagnostico, struttura privata erogante prestazioni sanitarie in regime di accreditamento, di condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Co senza al pagamento dell’importo differenziale tra il tetto di spesa contrattualmente previsto e la minore somma effettivamente corrisposta;
con ricorso articolato in un unico motivo, il Centro diagnostico domanda la revocazione della sopra richiamata ordinanza;
non svolge difese in sede di revocazione l’Azienda Sanitaria; disposta la trattazione in adunanza camerale, il P.G. non ha depositato conclusioni scritte;
parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
Considerato che
l’unico motivo del ricorso lamenta errore di fatto;
censura l’affermazione contenuta nella ordinanza (fondante la dichiarata inammissibilità del primo motivo dell’impugnazione di legittimità) secondo cui « il ricorrente non riporta debitamente nel ricorso il testo del decreto del Commissario ad acta n. 128/2017 »;
sostiene, per contro, che il ricorso per cassazione illo tempore proposto conteneva la trascrizione « tra virgolette ed in corsivo del testo del DCA 128/2017 nelle parti ritenute rilevanti per la decisione della controversia con l’indicazione della localizzazione dell’atto », in piena osservanza del disposto dell’art. 366 cod. proc. civ.;
l’istanza di revocazione è infondata;
è doveroso premettere che ai fini della revocazione della sentenza per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, num. 4, cod. proc. civ., occorre siano integrati i seguenti presupposti:
l’errore (c.d. di percezione) non deve consistere in un errore di giudizio ma in un errore di fatto (svista percettiva immediatamente percettibile) che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a
supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa;
deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche: postula l’esistenza di un obiettivo contrasto tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (Cass, Sez. U, 27/11/2019, n. 31032; Cass. 11/01/2018, n. 442; Cass. 29/10/2010, n. 22171);
l’errore deve essere essenziale e decisivo, nel senso che, in mancanza di esso, la decisione sarebbe stata di segno opposto a quella in concreto adottata (Cass. 10/06/2021, n. 16439; Cass. 29/03/2016, n. 6038; Cass. 14/11/2014, n. 24334);
d ) non può concernere l ‘ attività interpretativa e valutativa (da ultimo, Cass., Sez. U, 19/07/2024, n. 20013);
in particolare, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391bis e 395, num. 4 cod. proc. civ., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, cioè incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità (Cass. 22/10/2018, n. 26643; Cass.18/02/2014, n. 3820);
il fatto incontrastabilmente escluso di cui erroneamente viene supposta l’esistenza (o quello positivamente accertato di cui erroneamente viene supposta l’inesistenza) non deve aver costituito oggetto di discussione nel processo e non deve quindi riguardare un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata; ove su un fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato
luogo ad una discussione in corso di causa, la pronuncia del giudice non si configura, infatti, come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa delle risultanze processuali, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. 26/01/2022, n. 2236; Cass. 22/10/2019, n. 26890; Cass. 04/04/2019, n. 9527; Cass. 30/10/2018, n. 27622; Cass. 08/06/2018, n. 14929);
tanto precisato, l’istanza di revocazione è inammissibile;
la gravata ordinanza, con l’affermazione qui criticata ha infatti espresso un apprezzamento valutativo sull’assolvimento dell’onere ex art. 366, primo comma, num. 6, cod. proc. civ.: ha cioè ritenuto che la trascrizione del DCA n. 128/2017, per come operata nel ricorso, fosse inidonea ad offrire al giudice di legittimità un’adeguata ( quantomeno sufficiente) cognizione del contenuto del documento;
ed è proprio tale apprezzamento che, in ultima analisi, l’istanza di revocazione contesta: ma in tal guisa, finisce con l’assumere la esistenza non già di una svista percettiva bensì di un errore di natura valutativa, concernente la conformità del contenuto del ricorso per cassazione al paradigma formale disegnato dal codice di rito;
errore valutativo che -si badi – tale rimarrebbe anche se si volesse dare rilievo all’assenza di spiegazione dell’avverbio « debitamente », che integrerebbe, semmai, una motivazione assertoria;
ad ogni buon conto, l’inammissibilità della revocazione discenderebbe anche dalla non decisività del (supposto) errore;
ed infatti, a giustificare la reiezione del primo motivo di ricorso, l’ordinanza n. 15366/2024, oltre al rilievo formale oggetto di doglianza, ha posto comunque l’esame delle disposizioni de DCA n. 128/2017 individuate in virtù di « quanto riferito dalla ASP controricorrente ed in base a quanto già accertato in precedenti pronunce di questa Corte »: ha così ritenuto che detto DCA determinasse « in realtà i criteri per la decurtazione del budget, stabilendo un abbattimento del 10% tra
quanto finanziato nell’anno 2016 e quanto finanziato per l’anno 2017 » e che « tale limite di spesa risultava conoscibile dalle strutture sanitarie nel corso dello stesso anno »;
questa ulteriore argomentazione è di per sé idonea a giustificare la pronuncia sul primo motivo di ricorso per cassazione: e tanto rende l’asserito errore di fatto comunque privo del connotato della decisività;
il ricorso per revocazione è pertanto inammissibile;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di revocazione, non avendo ivi parte intimata svolto difese;
attesa l’inammissibilità dell’impugnazione, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso per revocazione;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione