Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4864 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4864 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 22304/2023 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
C RAGIONE_SOCIALE con sede in Bari-Loseto, alla INDIRIZZO in persona del suo liquidatore e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME.
-controricorrente –
avverso l ‘ordinanza , n. cron. 25643/2023, della CORTE DI CASSAZIONE pubblicata il giorno 01/09/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
12/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Insorta controversia tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (d’ora in avanti, breviter , RAGIONE_SOCIALE) in ordine al pagamento di quote mensili sociali, quest’ultima, in data 18 aprile 2008, attivò il procedimento di arbitrato irrituale previsto dall’art. 33 del proprio Statuto per sentire accertato il debito della prima. Quest’ultima , costituendosi in quella sede, eccepì l’incompetenza dell’arbitro sul presupposto che ella non era più socia della RAGIONE_SOCIALE e, contestualmente, rimarcò di avere già precedentemente saldato quel debito.
1.1. L’arbitro unico definì il procedimento con un lodo comunicato l’11 agosto 2008, mediante il quale, respinta l’eccezione di difetto di competenza, accolse la domanda della RAGIONE_SOCIALE
1.2. La NOME, in data 6 novembre 2008, propose azione di nullità avverso il lodo irrituale suddetto innanzi alla Corte d’appello di Bari, denunciando che l’arbitro aveva erroneamente respinto la sua eccezione di difetto di competenza, ma l’adita cort e territoriale, con sentenza n. 1354 del 2013, dichiarò inammissibile l’impugnazione perché ” un lodo pronunciato in esito ad arbitrato irrituale è certamente impugnabile davanti al giudice ordinario, ma da identificare nel giudice competente secondo le disposizioni del libro primo, come detta il capoverso 808 -ter c.p.c., nel rispetto del doppio grado di giurisdizione “.
Contro questa decisione la NOME propose sia regolamento facoltativo di competenza che ricorso per Cassazione. Entrambe tali impugnazioni, previa loro riunione, furono dichiarate inammissibili dalla Suprema Corte con ordinanza n. 13954 del 2016, la quale osservò che « La ratio decidendi della declaratoria d’inammissibilità consistente nel mancato rispetto, vietato dalla legge, del doppio grado di giurisdizione, e della
conseguente erronea individuazione del giudice nella Corte d’Appello e non nel tribunale, non è stata in alcun modo scalfita dal ricorso in questione, da reputarsi, di conseguenza, radicalmente inammissibile ». Segnalò, « comunque, a sostegno della correttezza della soluzione indicata dalla Corte territoriale, la seguente pronuncia della Corte di Cassazione, che esprime un orientamento consolidato: “se è stato pronunciato un lodo irrituale nonostante che alcune delle parti sostengano di avere, in realtà, pattuito una clausola per arbitrato rituale, il lodo medesimo deve essere impugnato, sia pure allo scopo di far valere il carattere rituale dello stesso, non innanzi alla corte di appello, a norma dell’art. 828 cod. proc. civ., ma in base alle norme ordinarie sulla competenza e con l’osservanza del doppio grado di giurisdizione, facendo valere i vizi di manifestazione della volontà negoziale (Cass. 25258 del 2013) ».
3. La Costantino, pertanto, con atto in riassunzione notificato il 31 agosto 2016, citò la RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Bari ‘ in funzione di giudice di appello ‘, affinché quest’ultimo, previa pronuncia sulla propria competenza o richiesta di regolamento di competenza ex art. 45 cod. proc. civ., dichiarasse nullo e/o di nessun effetto il loro arbitrale comunicatole l’11 agosto 2008 e comunque violato il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ.
3.1. Costituitasi la convenuta, che concluse per la inammissibilità ed infondatezza delle avverse pretese, l’adito tribunale, con sentenza dell’8 marzo 2019, n. 1073, ritenne che, « in assenza di qualsivoglia provvedimento sulla ‘competenza’ che rinvii a questo Giudice, le domande proposte dalla Costantino risultano inammissibili, alla luce del giudicato interno formatosi al riguardo. Ed invero, il lodo arbitrale con il quale l’Arbitr o Unico si è limitato ad affermare la propria competenza, giudicando nel merito, era certamente impugnabile davanti al giudice ordinario ma nel rispetto del doppio grado di giurisdizione, ovvero dinanzi al Tribunale e non dinanzi alla Corte di Appello. Quest’ultima, rilevando l’errore procedurale commesso dall’attrice, ha dichiar ato l’inammissibilità del ricorso. La specifica motivazione della Corte territoriale sottesa alla declaratoria di inammissibilità, ‘consistente nel mancato rispetto, vietato dalla legge, del doppio grado di giurisdizione, e della
conseguente erronea individuazione del giudice nella Corte d’Appello e non nel tribunale’… non è stata in alcun modo scalfita dal ricorso per cassazione (così, in motivazione, cit. ordinanza n. 13954/2016), sicché sul punto si è formato il giudicato intern o, che ha precluso l’esame della questione della competenza in sede di legittimità e lo preclude, a fortiori , in questa sede. Tra l’altro, si ribadisce, né la Corte di Appello di Bari, prima, né la Corte di cassazione hanno deliberato, in senso affermativo o declinatorio, sulla ‘competenza.’ Di tal ché, con l’ordinanza del Supremo Collegio n. 13954 del 07/07/2016, deve ritenersi definitivamente concluso l’iter processuale della controversia promossa dalla società deducente nei confronti della sig.ra NOME COGNOME avente ad oggetto la domanda di pagamento della somma di Euro 3.850,11 ».
Il ricorso per Cassazione proposto dalla Costantino tale decisione è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con ordinanza dell’1 settembre 2023, n. 25643, pronunciata nel contraddittorio con la Cooperativa.
4.1. In quella sede si è opinato che « Il ricorso così come declinato dalla ricorrente, in disparte da ogni altra ragione di inammissibilità pure opposta in via preliminare dalla controricorrente, si sottrae previamente alla conoscibilità di questa Corte, trattandosi di ricorso proposto per saltum ovvero direttamente contro la sentenza di primo grado senza interporre appello ed in difetto di accordo tra le parti. Ricordato, per vero, che l’art. 360, comma 2, cod. proc. civ. consente il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado appellabile a condizione, tra l’altro, che le parti siano d’accordo nell’omettere l’appello, è principio, di cui si sono fatte interpreti le SS.UU. di questa Corte, sulla premessa che l’accordo diretto all’immediata impugnazione in sede di legittimità della sentenza di primo grado costituisce un negozio giuridico processuale, il cui effetto è quello di rendere non appellabile la sentenza oggetto dell’accordo, che ‘qualora detto accordo non sia stato concluso dalle parti, o dai loro difensori muniti di procura speciale (non risultando sufficiente allo scopo l’intervento dei difensori muniti di mera procura ad litem ), il ricorso per cassazione, proposto per saltum , deve essere dichiarato inammissibile (Cass., Sez. U, 26/07/2006, n. 16993) ».
Contro questa decisione NOME COGNOME ha promosso ricorso ex artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc., formulando un motivo, illustrato anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Allo scrutinio del formulato motivo, giova premettere che costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza o dell’ordinanza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; l’errore di fatto revocatorio consiste, difatti, in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato ( cfr ., tra le più recenti, Cass., SU, n. 5906 del 2020; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 735 del 2023).
1.1. In altri termini, come ripetutamente ribadito da questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 4344 del 2020; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 27570 del 2018; Cass. n. 442 del 2018), l’istanza di revocazione di una decisione della Corte di cassazione, proponibile ex art. 391bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 395, n. 4, cod. proc civ., e consistente in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile, escluso (o accertato) in base agli atti ed ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla decisione, l’altra dagli atti e documenti processuali ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3544 del 2022; Cass., SU., n. 10854 del 2021; Cass., SU, n. 10249 del 2021; Cass., SU, n. 31032 del 2019), sempreché la realtà desumibile dalla decisione stessa sia frutto di supposizione e non di giudizio ( cfr., e plurimis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 13915 del 2005; Cass. n. 2425 del 2006; Cass. n. 22171 del 2010; Cass., SU, n. 9882 del 2001; Cass., SU, n. 23856 del 2008; Cass., SU, n. 4413 del 2016; Cass. n. 16138 del 2019). Il vizio revocatorio, invece, non ricorre ove la statuizione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione ( cfr . Cass. n. 20635 del 2017, menzionata, in motivazione, anche dalle più recenti Cass. n. 16138 del 2019 e Cass. n. 3544 del 2022. Si veda pure Cass., SU, n. 4367 del 2021, che ha escluso la percorribilità della revocazione ove non si tratti di errore percettivo sull’identificazione degli atti, ma di attività di interpretazione e valutazione degli stessi). Un siffatto errore, poi, deve: i ) essere essenziale e decisivo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 11200 del 2018; Cass. n. 25871 del 2017; Cass. 24334 del 2014), nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la statuizione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che, senza l’errore, la pronuncia sarebbe stata diversa ( cfr., ex aliis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 14656 del 2017); ii ) rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la decisione impugnata e gli atti o documenti del giudizio ( cfr . Cass., SU, n. 20013 del 2024), senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
Fermo quanto precede, l’unico motivo di ricorso formulato dalla Costantino è dalla stessa così sintetizzato: « Violazione dell’art. 395, n. 4,
c.p.c., così risultante dalla documentazione depositata nel giudizio in Cassazione, per mancanza del giudicato nel merito, avendo la sentenza impugnata (Tribunale di Bari) disposto e motivato solo ed esclusivamente in riferimento al pronunciamento arbitrale. Pertanto dovendosi ritenere il processo innanzi il Tribunale di Bari un giudizio di appello. Nonché in riferimento alla violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ». Si assume, in sostanza, che « dagli atti e documenti del giudizio innanzi a Codesto Ecc.mo Supremo Consesso, risulta incontrovertibilmente che il Tribunale non si è pronunciato nel merito del giudizio (sentenza del Tribunale di Bari n. 1073/2019) e pertanto l’impugnativa del lodo dell’Arbitro Uni co, non può non essere considerata un appello e di conseguenza il ricorso proposto in cassazione, avverso la sentenza r.g.n. 1073/2019, del predetto Tribunale di Bari, è assolutamente ammissibile. Tenuto nel debito conto, peraltro, che le parti, non hanno proposto nel ricorso e nel controricorso (Cassazione R. G. N. 14732/2019) e meno che mai discusso, in alcun modo, la questione del saltum , statuito solo ed unicamente dall’Ordinanza di Codesto Ecc.mo Supremo Collegio (r.g.n. 25643/2023) di cui si chiede la revocazione ».
2.1. Tale doglianza si rivela inammissibile.
2.2. Essa investe, infatti, le determinazioni utilizzate dall’ordinanza impugnata (di cui si è già esaustivamente dato conto nel § 4.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, da intendersi, qui, per brevità, interamente richiamato) per dichiarare inammissibile il ricorso spiegato dalla Costantino contro la sentenza del Tribunale di Bari n. 1073 del 2019.
2.3. Orbene, rileva il Collegio che, in realtà, la censura in esame, per come concretamente argomentata, cerca di contestare un (preteso) errore di giudizio, e non percettivo, atteso che ciò di cui si duole l’odierna ricorrente, lungi dall’essere una ‘ svista ‘ obbiettivamente ed immediatamente rilevabile in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte (il non essersi ‘ accorta ‘ che quella innanzi ad essa impugnata era una decisione resa dal Tribunale di Bari come giudice di appello -come pretenderebbe la Costantino -« per mancanza del giudicato nel merito, avendo la sentenza impugnata
disposto e motivato solo ed esclusivamente in riferimento al pronunciamento arbitrale ». Cfr . pag. 1 dell’odierno ricorso), si risolve, invero, nella contestazione afferente la declaratoria di inammissibilità del citato ricorso da lei spiegato contro la sentenza del Tribunale di Bari n. 1073 del 2019, ossia in una censura di un asserito errore di diritto e non di fatto.
2.3.1. Occorre ricordare, allora, che, come si è già detto in precedenza, in tema di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone, non un qualsiasi errore di fatto, ma un errore di fatto (riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità. Cfr. Cass., SU, n. 20013 del 2024) che si risolva in un’erronea percezione dei fatti di causa, non ricorrendo, dunque, vizio revocatorio, quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione o interpretazione di documenti e risultanze processuali e non nella relativa inesatta percezione ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 13181 del 2013; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 16447 del 2009; Cass. n. 26022 del 2008. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le più recenti Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n. 16138 del 2019, Cass. n. 3544 del 2022, Cass. n. 735 del 2023 e Cass., SU, n. 20013 del 2024).
2.3.2. L’odiern o motivo investe, invece, essenzialmente, la stessa attività di valutazione ed interpretazione giuridica compiuta dalla Corte della complessiva vicenda processuale, dalla quale ha evidentemente, e ragionevolmente, desunto che la pronuncia del tribunale innanzi ad essa impugnata non poteva essere stata resa come in grado di appello: tanto per la dirimente ragione che, dopo l’ordinanza resa da Cass. n. 13954 del 2016, l’ iter processuale della controversia promossa dalla Cooperativa in sede arbitrale, avente ad oggetto la domanda di pagamento, da parte della NOME, della somma di € 3.850,11, doveva ritenersi definitivamente concluso, sicché, in assenza di qualsivoglia processo di appello da ‘ riassumere ‘, la successiva citazione della NOME innanzi al Tribunale di Bari, affinché quest’ultimo, ‘ previa pronuncia sulla propria competenza o richiesta di regolamento di competenza ex art. 45 cod. proc. civ., dichiarasse nullo e/o di nessun effetto il loro arbitrale comunicatole l’11 agosto 2008 e
comunque violato il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ. ‘, non poteva che avere dato luogo ad un giudizio di primo grado, con conseguente inammissibilità della impugnazione, per saltum , della sua decisione conclusiva in assenza di dimostrazione del corrispondente accordo tra le parti.
2.3.3. In definitiva, quindi, nel caso di specie, la censura veicolata dalla ricorrente non denuncia una svista obiettivamente ed immediatamente percepibile, commessa dalla Corte regolatrice, bensì contesta la valutazione di complessiva inammissibilità eff ettuata da quest’ultima circa il precedente ricorso della prima, che, semmai (ed in via di mera ipotesi), potrebbe integrare un errore di giudizio (non altrimenti emendabile nel vigente sistema delle impugnazioni, ove riferito ad una decisione della Corte di cassazione, per superiore volontà della Legge affinché ne lites fiant paene perennes, et vita hominum modum excedant ) e non un errore di fatto revocatorio, tendendosi, in ultima istanza, a sollecitare un rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione.
In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese del relativo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
3.1. Va respinta, invece, la domanda ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., formulata dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione nelle conclusioni del proprio controricorso, non ravvisandosene la sussistenza dei presupposti.
3.2. Deve darsi atto, da ultimo, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della nzionata ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del
contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, che liquida in € 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Rigetta la domanda ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., formulata dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato p ari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile