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Errore di fatto: Cassazione revoca la sua ordinanza

La Cassazione ha revocato una propria ordinanza per un errore di fatto, avendo erroneamente ritenuto tardivo il deposito di un atto. Decidendo poi nel merito, ha cassato la decisione impugnata perché l’opposizione originaria era inammissibile: era stata proposta contro un decreto di liquidazione emesso da un giudice dopo l’estinzione del procedimento, configurando un atto “abnorme” impugnabile solo con ricorso straordinario.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Errore di Fatto: la Cassazione Annulla la Propria Ordinanza e Chiarisce i Limiti del Potere del Giudice

L’ordinamento processuale prevede rimedi eccezionali per correggere le decisioni giudiziarie viziate. Uno di questi è la revocazione per errore di fatto, uno strumento che consente di rimediare a una svista materiale del giudice che ha inciso sull’esito del giudizio. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione non solo ha corretto un proprio errore, ma ha anche colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: i limiti del potere del giudice una volta che un procedimento è stato definito.

La Vicenda Processuale: un Complesso Itinerario Giudiziario

La controversia nasce nell’ambito di due procedure di espropriazione presso terzi. Un Istituto di Vendite Giudiziarie (I.V.G.) viene incaricato dal giudice dell’esecuzione di vendere le quote societarie pignorate al debitore. Tuttavia, a seguito della rinuncia dei creditori, le procedure esecutive vengono dichiarate estinte con un’ordinanza del giugno 2012.

La richiesta di compenso e l’opposizione

Ben due anni dopo, nel luglio 2014, l’I.V.G. presenta un’istanza per la liquidazione del proprio compenso. Il giudice dell’esecuzione, nonostante il procedimento fosse già estinto, emette un decreto di liquidazione per una somma considerevole. Una delle parti del procedimento originario propone opposizione a tale decreto, che viene accolta dal Tribunale nel 2018. L’I.V.G., vedendosi annullare il decreto e condannare alle spese, decide di impugnare questa decisione proponendo ricorso per cassazione.

Il primo ricorso in Cassazione e l’errore di fatto

Inizialmente, la Corte di Cassazione, con un’ordinanza del 2023, dichiara il ricorso dell’I.V.G. improcedibile. La ragione? Un presunto ritardo nel deposito della copia autentica del provvedimento impugnato. La Corte rileva che il deposito sarebbe avvenuto il 25 settembre 2018, oltre il termine di venti giorni dall’ultima notifica, scaduto il 24 settembre 2018. Questa decisione si basa su un’errata percezione degli atti processuali, ovvero un errore di fatto.

La Revocazione: la Cassazione Corregge Sé Stessa

L’I.V.G. non si arrende e propone un ricorso per revocazione contro l’ordinanza della Cassazione, sostenendo che i giudici fossero incorsi in un palese errore di fatto. L’istituto dimostra che, in realtà, la copia autentica era già stata depositata il 27 luglio 2018, pochi giorni dopo la notifica del ricorso, e quindi ampiamente nei termini. Il deposito del 25 settembre era solo un atto cautelativo e ulteriore.

La Corte di Cassazione, riesaminando il fascicolo, riconosce la fondatezza del motivo. Ammette di essere incorsa in un errore percettivo, avendo considerato solo il secondo deposito e ignorato il primo, tempestivo. Di conseguenza, accoglie il ricorso e revoca la precedente ordinanza di improcedibilità.

La Decisione nel Merito: L’Inammissibilità Originaria dell’Opposizione

Una volta annullata la propria precedente decisione, la Corte passa a esaminare il ricorso originario. Tuttavia, rileva d’ufficio una questione pregiudiziale che assorbe ogni altro motivo: l’opposizione al decreto di liquidazione non avrebbe mai dovuto essere proposta.

Il concetto di provvedimento abnorme

La Corte chiarisce che il decreto di liquidazione del compenso, emesso nel 2014, era un “provvedimento abnorme”. Questo perché il giudice dell’esecuzione, avendo dichiarato estinta la procedura nel 2012, aveva perso ogni potere decisionale su quella causa. Un atto emesso da un giudice in totale carenza di potere è giuridicamente anomalo, estraneo al sistema processuale.

Le motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione finale sulla base di principi consolidati. In primo luogo, ha riaffermato che la revocazione per errore di fatto è ammissibile quando il giudice ha fondato la sua decisione sulla supposta esistenza (o inesistenza) di un fatto processuale che in realtà era incontrovertibilmente escluso (o provato) dagli atti di causa. Nel caso specifico, l’errore consisteva nell’aver ignorato il primo, tempestivo deposito dell’atto.

Successivamente, passando alla fase rescissoria, la Corte ha applicato il principio secondo cui un giudice, una volta definito il giudizio, perde il potere di provvedere ulteriormente. Il decreto di liquidazione emesso due anni dopo l’estinzione della procedura è stato quindi qualificato come abnorme. Contro un tale provvedimento, l’unico rimedio esperibile non è l’opposizione prevista dalla legge per i decreti di liquidazione “normali” (art. 170 D.P.R. 115/2002), ma il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. Poiché era stato scelto lo strumento processuale sbagliato (l’opposizione), questo era originariamente inammissibile e il Tribunale non avrebbe dovuto neppure esaminarlo nel merito.

Le conclusioni

In definitiva, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso per revocazione, ha cassato la propria precedente ordinanza e, decidendo il ricorso originario, ha cassato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale. La conseguenza pratica è che l’intero giudizio di opposizione è stato annullato fin dall’inizio, poiché non poteva essere proposto. La vicenda sottolinea l’importanza del rispetto dei termini processuali e, soprattutto, dei limiti funzionali della giurisdizione, sanzionando con l’abnormità gli atti emessi al di fuori di essi.

Cosa si intende per errore di fatto revocatorio?
Si tratta di un errore di percezione del giudice che cade su un fatto processuale decisivo, la cui esistenza o inesistenza risulta in modo inconfutabile dagli atti di causa. Nel caso specifico, la Corte aveva creduto che un documento fosse stato depositato in una data, mentre gli atti dimostravano un deposito precedente e tempestivo.

Quando un provvedimento del giudice è considerato abnorme?
Un provvedimento è abnorme quando è emesso da un giudice in una situazione di totale carenza di potere (ad esempio, dopo che il giudizio è stato definitivamente concluso, come nel caso di estinzione) o quando è talmente anomalo da non essere inquadrabile in alcuno schema legale, ostacolando di fatto la prosecuzione del processo.

Qual è il rimedio corretto contro un provvedimento abnorme?
Secondo la Corte, l’unico rimedio contro un provvedimento abnorme che incide su diritti soggettivi in modo definitivo è il ricorso straordinario per cassazione previsto dall’art. 111 della Costituzione, e non gli ordinari mezzi di impugnazione o opposizione previsti per gli atti legittimamente emessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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