Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7975 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7975 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14893-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
GRAZZINI NOME;
– intimata –
Per la revocazione dell’ordinanza n. 18448/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 28/06/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le memorie della ricorrente e dei controricorrenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Nell’àmbito delle procedure di espropriazione presso terzi nn. 572/2003 e 617/2003 r.g.e. pendenti dinanzi al Tribunale di Pistoia nei confronti di NOME COGNOME – introdotte, la prima, dalla RAGIONE_SOCIALE, la seconda, da NOME COGNOME e NOME COGNOME -, il giudice dell’esecuzione incaricava l’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) delle operazioni di vendita dei beni pignorati, costituiti dalle quote di partecipazione del debitore esecutato in due diverse società a responsabilità limitata.
Andati deserti i primi due esperimenti di vendita, dopo una lunga serie di rinvii, i creditori procedenti e intervenuti rinunciavano agli atti esecutivi e il giudice dell’esecuzione dichiarava estinte le suddette procedure con ordinanza del 18 giugno 2012.
Successivamente, in data 1° luglio 2014, l’RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di liquidazione del compenso maturato per l’attività svolta in qualità di ausiliario del magistrato. Con decreto del 28 luglio 2014 il g iudice dell’esecuzione liquidava in favore dell’RAGIONE_SOCIALE la
nonché contro
somma di 246.000,00 euro, oltre accessori di legge, ponendone il pagamento a carico solidale dei creditori procedenti e dell’esecutato.
Avverso tale decreto il COGNOME proponeva opposizione, ai sensi degli artt. 170, comma 1, D.P.R. n. 115 del 2002 e 15 D. Lgs. n. 150 del 2011, con ricorso depositato il 22 novembre 2017.
All’esito del susseguente giudizio, svoltosi in contraddittorio con le parti interessate e nella contumacia della COGNOME, il Presidente del Tribunale di Pistoia, con ordinanza resa in data 18 maggio 2018, accoglieva l’opposizione, annullando il decreto di pagamento opposto e condannando l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale ordinanza, notificata ai sensi dell’art. 285 c.p.c. il 21 maggio 2018, l’RAGIONE_SOCIALE ha spiegato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, con i quali veniva dedotta: 1) la nullità del provvedimento per omessa pronuncia sulla sollevata eccezione di decadenza del RAGIONE_SOCIALE dalla proposta opposizione; 2) la violazione o falsa applicazione dell’art. 71, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002 con riferimento all’individuazione del dies a quo del termine di decadenza stabilito dalla detta norma; 3) l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, costituito dall’accertamento della base di calcolo utilizzata dal g.e. per la liquidazione del compenso.
Resistevano con controricorso il COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, nonché lo COGNOME, il quale, in limine , eccepiva l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso avversario, mentre restava intimata la COGNOME.
Questa Corte con ordinanza n. 18448 del 28 giugno 2023, ha dichiarato improcedibile il ricorso.
In particolare, così motivava:
‘In via preliminare va esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal difensore dello COGNOME (v. controricorso pagg. 3 e 4).
L’art. 369, comma 1, c.p.c. stabilisce che il ricorso per cassazione deve essere depositato nella cancelleria della Corte Suprema, a pena di improcedibilità, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.
In base al numero 2) del comma immediatamente successivo, insieme col ricorso deve essere depositata, sempre a pena di improcedibilità, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta. Per consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, ai fini del controllo officioso circa la tempestività del ricorso assumono rilievo le deduzioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato di aver ricevuto la notificazione della decisione gravata, deve reputarsi che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c.; per contro, qualora egli stesso abbia dichiarato che il provvedimento contro il quale ricorre gli è stato notificato – come pure nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o emerga dall’esame diretto delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio -, deve ritenersi operante il c.d. termine di impugnazione fissato dall’art. 325, comma 2, c.p.c., pari a sessanta giorni.
In tale ultima evenienza sorge a carico dell’impugnante l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi contemplati dall’art. 372, comma 2, c.p.c., purché entro il termine stabilito dall’art. 369, comma 1, dello stesso codice, copia autentica della decisione
impugnata con la relata di notifica. L’inosservanza dell’adempimento comporta l’improcedibilità del ricorso, a meno che questo sia stato notificato prima della scadenza del termine breve di sessanta giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento impugnato (con conseguente superamento della c.d. ‘prova di resistenza’) e salva l’ipotesi che tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine previsto dall’art. 370, comma 3, c.p.c. (ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369, comma 3, c.p.c., limitatamente ai casi, che qui non rilevano, in cui la decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione sia ricollegata alla comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria e a quelli in cui la legge prevede che sia la stessa cancelleria a notificare la sentenza ) (sull’argomento cfr., ex multis, Cass. n. 22822/2022, Cass. Sez. Un. n. 21349/2022, Cass. n. 16926/2021, Cass. n. 15832/2021, Cass. Sez. Un. n. 23594/2020, Cass. n. 17450/2017, Cass. Sez. Un. n. 10648/2017, Cass. n. 27184/2016).
Tanto premesso in punto di diritto, deve rilevarsi che, nel caso di specie, lo stesso RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato (v. pag. 1 del ricorso) che l’ordinanza oggetto di impugnazione gli è stata notificata il 21 maggio 2018.
Alla luce di ciò, considerato che l’intervallo temporale fra la data di deposito del provvedimento (18 maggio 2018) e quella di avvio della notificazione del ricorso (20 luglio 2018, venerdì) risultava superiore a sessanta giorni, il ricorrente non poteva ritenersi
dispensato dall’onere di depositare, entro il termine di cui all’art. 369, comma 1, c.p.c., copia autentica della decisione impugnata munita della relazione di notificazione. Ora, dall’esame degli atti interni al presente giudizio di legittimità si evince che l’ultima notificazione del ricorso -e ciò al fine di far decorrere il termine ex 369 cpc – è quella eseguita a mezzo del servizio postale nei confronti di NOME COGNOME, perfezionatasi per compiuta giacenza, ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5, L. n. 890 del 1982, il 3 settembre 2018, alla scadenza del termine di dieci giorni dalla data (23 luglio 2018) in cui fu spedita la lettera raccomandata a.r. contenente la comunicazione di avvenuto deposito del piego non recapitato; scadenza calcolata tenendo conto del periodo di sospensione feriale dal 1° al 31 agosto 2018 previsto dall’art. 1, comma 1, L. n. 742 del 1969, nel nuovo testo applicabile ratione temporis, nonché della proroga di diritto operante ex art. 155, comma 4, c.p.c. per essere festivo il giorno finale del termine suddetto (domenica 2 settembre 2018).
Nel descritto contesto, la copia autentica dell’ordinanza impugnata con la relazione di notificazione doveva essere depositata, al più tardi, entro il 24 settembre 2018, primo giorno non festivo successivo a quello di scadenza (domenica 23 settembre 2018).
Sennonché, tale deposito è avvenuto soltanto il 25 settembre 2018, come risulta attestato dal timbro di cancelleria -ufficio depositi -apposto sulla nota in pari data a firma dell’AVV_NOTAIO, ove si fa espresso riferimento alla produzione di ‘copia autentica del provvedimento impugnato e della relata di notifica’.
Peraltro, la documentazione di cui trattasi non è rinvenibile all’interno dei fascicoli delle altre parti costituite, sicché il
ricorrente nemmeno può giovarsi dell’orientamento nomofilattico al quale si è fatto cenno sopra.
Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato improcedibile.’
Per la revocazione di tale ordinanza propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE sulla base di un motivo.
Hanno resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre COGNOME NOME non ha svolto difese in questa fase.
La ricorrente ed i controricorrenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il motivo di ricorso per revocazione denuncia ex art. 395, co. 1, n. 4, c.p.c. l’errore di fatto revocatorio nel quale sarebbe incorsa questa Corte nella ordinanza impugnata, quanto all’affermazione secondo cui la copia autentica del l ‘ordinanza impugnata con la relazione di notificazione sarebbe stata depositata solo in data 25 settembre 2018, come attestato da una nota di deposito avente tale data, nella quale si faceva espresso riferimento alla produzione della copia autentica e della relata di notifica.
Tuttavia, tale conclusione si fon da sull’errore di fatto consistito ne l non essersi avveduta che il difensore della ricorrente in realtà aveva già depositato in data 27 luglio 2018, e quindi a distanza di appena sette giorni dalla prima notifica del ricorso, la stampa del file pdf. d ell’ordinanza emessa all’esito dell’opposizione nonché i messaggi pec attestanti l’avvenuta notifica all’AVV_NOTAIO, all’epoca difensore della ricorrente, con attestazione di conformità sottoscritta dall’AVV_NOTAIO, difensore nominato per il giudizio di legittimità da RAGIONE_SOCIALE.
Il successivo deposito del 25 settembre era correlato ad un eccesso di scrupolo, in quanto, a fronte di generiche eccezioni di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa del controricorrente COGNOME, si era reputato opportuno a fini cautelativi procedere ad un nuovo deposito in data 25 settembre 2018, di atti già però in precedenza depositati.
4. Il motivo è fondato.
Rileva la Corte che effettivamente come si ricava dalla lettura del fascicolo di parte ricorrente nel giudizio definito con l ‘ ordinanza di cui si chiede la revocazione, risultava depositata copia autentica dell’ordinanza impugnata (rec a nte un’autonoma attestazione di conformità in calce), nonché altra copia della medesima ordinanza impugnata, accompagnata dalla stampa del messaggio pec della sua notifica avvenuta nei confron ti dell’avvocato dell’RAGIONE_SOCIALE in sede di opposizione, documenti per i quali risultava predisposta dall’AVV_NOTAIO una ulteriore attestazione di conformità, complessivamente riferita a tali documenti (cfr. pag. 57 della riproduzione in formato digitale del contenuto della produzione della ricorrente nel precedente giudizio di cassazione).
La decisione di improcedibilità appare, pertanto, fondata sull’erronea affermazione, evidentemente contrastata dal tenore oggettivo degli atti di causa, c he nel termine di cui all’art. 369 c.p.c. non fosse stata prodotta anche la copia autentica e la notifica del provvedimento impugnato, con relativa attestazione di conformità, ritenendosi, sempre in contrasto con quanto incontrovertibilmente evincibile dalla produzione di parte, che tale produzione fosse avvenuta solo in data 25 settembre 2018, e quindi tardivamente rispetto al menzionato termine.
Né, a fronte del contenuto oggettivo degli atti, che denota la presenza anche dell’attestazione di conformità, può evocarsi in senso contrario la circostanza che nell’indice del fascicolo di parte allora ricorrente, non fosse stata fatta menzione anche dell’attestazione di conformità, trattandosi di omissione che appare superata dal riscontro della sua effettiva presenza.
Ancor meno può incidere sulla sussistenza dell’errore revocatorio la circostanza che l’attestazione di conformità del provvedimento oggetto di ricorso e della stampa del messaggio pec sia stata effettuata da colui che era stato nominato difensore della RAGIONE_SOCIALE per il giudizio di legittimità, e non anche dall ‘AVV_NOTAIO che la difendeva in sede di merito.
Una volta ribadito che la prova dell’avvenuta notifica in modalità telematica della sentenza può essere data mediante il deposito delle copie informatiche, in formato “pdf”, delle ricevute di accettazione e consegna della PEC, corredate di attestazione di conformità agli originali informatici, non occorrendo il deposito dei relativi file in formato “.eml” o “.msg” (necessario, invece, al diverso fine della prova dell’avvenuta notificazione telematica degli atti introduttivi del giudizio), posto che la relata di notifica della sentenza ai fini di cui all’art. 325 c.p.c. è atto esterno al giudizio che, come qualsiasi atto digitale, può essere stampato o salvato e attestato conforme all’originale dal difensore (cfr. da ultimo Cass. n. 25686/2023), occorre far richiamo al principio affermato da Cass. n. 25969/2022, secondo cui il difensore costituito nel giudizio di merito, in quanto destinatario della comunicazione della cancelleria, ha il potere di attestare la conformità al provvedimento giurisdizionale digitale, reso nel grado, della sua copia cartacea, ancorché sia privo di procura
speciale per il ricorso per cassazione e la parte abbia designato altro difensore per il giudizio di legittimità, perché, pur essendo esaurito il processo per il quale era stata conferita la procura, il procuratore può legittimamente continuare a compiere e ricevere gli atti relativi a quel grado di giudizio, non potendosi ragionevolmente escludere la sua potestà di certificare la conformità all’originale di un provvedimento contenuto nel fascicolo informatico ed entrato in suo legittimo possesso in forza di valide credenziali.
Trattasi di affermazione che ha inteso superare il precedente e più rigoroso orientamento che invece reputava che, il difensore che aveva assistito la parte nel precedente grado di giudizio, non potesse procedere all’attestazione di conformità, dopo che il cliente aveva già conferito il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore (Cass. n. 4401/2021; Cass. n. 6907/2020, e ciò sul presupposto che una volta avvenuta la sostituzione, fosse solo il nuovo difensore legittimato a redigere tale attestazione.
Alla luce di tale successiva precisazione deve perciò reputarsi che entrambi i difensori possano validamente attestare la conformità del provvedimento impugnato e della relativa notificazione, il che rende evidente come l’AVV_NOTAIO fosse pienamente legittimato (anche alla luce del più restrittivo orientamento) a redigere la detta attestazione.
Il ricorso per revocazione deve pertanto essere accolto, dovendosi quindi pervenire alla cassazione dell’ordinanza n. 18448/2023.
Passando alla fase rescissoria, occorre preliminarmente disattendere l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario per essere stato notificato all’intimata NOME COGNOME allorché era già
decorso il termine di cui all’art. 325 c.p.c., dovendosi a tal fine replicare che, vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio necessario che coinvolge nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione dei comp ensi dell’ausiliario del giudice, tutte le parti del giudizio, l’avvenuta notifica nel termine ad uno solo dei litisconsorti assicura che sia impedita la decadenza dall’impugnazione, atteso che, anche ove fosse mancata la notifica agli altri litisconsorti (e non anche come nella specie sia avvenuta tardivamente), il giudice avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., conseguendo l’inammissibilità solo all’inottemper anza all’ordine di integrazione nel termine assegnato.
Ad avviso della Corte si pone però il rilievo assolutamente pr egiudiziale della ricorrenza di un’ipotesi che impone, ancor prima della disamina dei motivi di ricorso, di dover cassare senza rinvio il provvedimento impugnato, in quanto ai s ensi dell’art. 382 c.p.c., la stessa opposizione decisa con l’ordinanza impugnata non poteva essere proposta.
E’ pacifico, dalla narrazione dei fatti di causa, ed è frutto anche di un rilievo spesso presente nella difesa del controricorrente COGNOME nonché nelle memorie di RAGIONE_SOCIALE, che la procedura esecutiva nella quale ha prestato l’attività al ricorrente, in relazione alla quale ha chiesto la liquidazione del compenso, è stata definita con ordinanza di estinzione del 18 giugno 2012.
Solo in data successiva a tale definizione in rito, la ricorrente ha avanzato istanza di liquidazione dei compensi, che è stata accolta dal giudice dell’esecuzione con decreto del 28 luglio 2014.
Va al riguardo fatto richiamo al principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il giudice, una volta definito il
giudizio, non ha più il potere di provvedere alla liquidazione dei compensi in favore del consulente tecnico d’ufficio ovvero dell’ausiliario e, pertanto, ove emesso, tale provvedimento risulta abnorme; peraltro, trattandosi di atto reso da un giudice in carenza di potere ed idoneo ad incidere in modo definitivo su posizioni di diritto soggettivo, avverso lo stesso è ammissibile, non già l’opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, quanto il ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111 Cost., da proporre nel rispetto del termine ex art. 327 c.p.c., senza che possa ravvisarsi alcuna lesione del diritto del consulente tecnico d’ufficio a ottenere il compenso per la propria prestazione, ben potendo egli chiedere il decreto ingiuntivo ex art. 633, n. 3, c.p.c. (cfr. Cass. n. 20478/2017; Cass. n. 1899/2023, che specifica che la proposizione dell’opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002, ancorché inammissibile, fa sì che dalla data della sua notificazione decorra il termine breve di cui all’art. 325, comma 2, c.p.c., essendo questa equivalente alla conoscenza legale del provvedimento da parte del ricorrente; Cass. n. 6924/2023; Cass. n. 3275/2020; Cass. n. 28299/2009).
Per l’effetto, poiché il decreto di liquidazione è stato emesso a procedura esecutiva ormai estinta, lo stesso non era suscettibile di opposizione, ma, come detto, solo di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., così che l’opposizione stessa non poteva essere proposta.
Va altresì evidenziato che non sussistono ostacoli al rilievo d’ufficio dell’originaria inammissibilità dell’opposizione, in quanto, anche voler soprassedere sul fatto che la questione relativa alla peculiare natura del decreto emesso a procedura ormai definita era stata posta dalla difesa dello COGNOME, anche di recente è stato
precisato che la tardività (ovvero originaria inammissibilità) dell’opposizione formulata avverso il decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del magistrato è rilevabile d’ufficio e, trattandosi di questione di puro diritto, non richiede la necessità di sollevare il contraddittorio (cfr. da ultimo Cass. n. 27478/2023).
Solo per completezza di motivazione può peraltro rimarcarsi come si palesasse altresì fondato il primo motivo di ricorso originario della RAGIONE_SOCIALE, che lamentava la tardiva proposizione dell’opposizione ex art. 15 del D. Lgs. n. 150/2011, ancorché per ragioni in parte diverse da quelle specificamente dedotte (decorrenza del termine di 30 giorni per l’opposizione dalla data in cui il difensore del COGNOME aveva chiesto di estrarre dal fascicolo di ufficio copia del decreto di liquidazione, dovendosi tale condotta reputare equivalente alla conoscenza del provvedimento e quindi equipollente a quella che si verifica per effetto della comunicazione).
Occorre però evidenziare che il decreto di liquidazione è stato emesso in data 28 luglio 2014 e che invece il ricorso in opposizione è stato proposto solo nel 2017, il che rende evidente come sia stato avanzato tardivamente, avuto riguardo non già al termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. (decorrente appunto dalla comunicazione a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 106/2016), ma a quello lungo di cui all’art. 327 c.p.c.
Questa Corte ha infatti affermato che in caso di opposizione al decreto di liquidazione del compenso al difensore di cui all’art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, si applica il termine impugnatorio cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c., sia per la parte contumace che
per quella costituita, ove non intervenga la comunicazione del provvedimento. Il decreto di liquidazione viene, infatti, emesso all’esito di un processo che, ancorché sommario, è idoneo ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi con caratteri di stabilità e definitività e che soggiace, quindi, alla pari degli altri all’applicazione degli strumenti presenti nel sistema aventi carattere generale, tra cui quello di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. n. 30432/2022, e più in generale per tutti i procedimenti per i quali si applicano le regole del procedimento sommario di cognizione, Cass. S.U. n. 28975/2022).
Tenuto conto del decorso di oltre due anni tra la data di emissione del provvedimento di liquidazione e la sua opposizione, si evidenziava la tardività di quest’ultima, come appunto sostenuto dal ricorrente, sebbene, come detto, per ragioni in parte diverse.
In definitiva la Corte, decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio l’ordinanza impugnata, in quanto il procedimento di opposizione non poteva essere proposto.
Alla luce del rilievo d’ufficio dell’inammissibilità dell’originaria opposizione, si ritiene che sussistano i presupposti per la compensazione del le spese dell’intero giudizio
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per revocazione proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 18448 del 28 giugno 2023; cassa per l’effetto l’ordinanza impugnata, e decidendo sul ricorso originariamente proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Pistoia del 18 maggio 2018, cassa senza rinvio la medesima ordinanza perché il giudizio di opposizione di cui all’art. 15 del D. Lgs. n. 150/2011 non poteva essere proposto;
c
ompensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024