Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 8169 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 8169 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 4447-2024, proposto da:
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale a ll’indirizzo EMAIL –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE BARI NOME COGNOME , c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso gli indirizzi e –
Controricorrente
Avverso l ‘ordinanza n. 21362/2023, pronunciata dalla Corte Suprema di cassazione e pubblicata il 19/07/2023;
Revocazione – 391-bis c.p.c.
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME
COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1 – Il ricorso per revocazione trae genesi dal giudizio introdotto dinanzi al giudice amministrativo da COGNOME NOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE che, aggiudicatario di un appalto di servizi di trasporto e facchinaggio per la durata di 36 mesi presso l’Università di Bari, annullato in autotutela a seguito di esposto della ditta seconda classificata, con conseguente caducazione del relativo contratto stipulato in data 11.5.07, sul presupposto della carenza ‘ del requisito per la partecipazione alla gara ‘ (ossia della ‘ capacità tecnico-organizzativa derivante dall’esecuzione di servizi analoghi per conto di almeno una Amministrazione per un importo unico di almeno € 100.000 eseguiti con regolarità e senza contestazione negli anni 2005/2006 ‘ ), aveva proposto ricorso al TAR Puglia chiedendo, previo accertamento dell’illegittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio e della responsabilità per inadempimento contrattuale dell’Amministrazione, il risarcimento dei danni prodotti dalla condotta della stazione appaltante (per lucro cessante, curriculari, non patrimoniali da lesione all’i mmagine, psicologici ed esistenziali).
1.1 – Il giudice amministrativo, con sentenza n. 522/2020 TAR Puglia, rigettò il ricorso; il Consiglio di Stato, pur con diversa motivazione, confermò le statuizioni di primo grado con sentenza n. 7059/2021; le Sezioni unite di questa Corte, adite dal Brigante ex art. 111, comma 8, Cost., hanno dichiarato il ricorso inammissibile con ordinanza n. 21362, depositata il 19 luglio 2023.
1.2 – Avverso tale ultima ordinanza il ricorrente ha proposto ricorso per revocazione, ex artt. 391 bis e 395 n. 4, cod. proc. civ.
1.3 – La Prima Presidente ha formulato una proposta di definizione accelerata del giudizio, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., cui è seguita l’istanza del ricorrente , che insiste per la decisione.
Nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2 – Il ricorrente in revocazione ha denunciato una omessa o errata percezione del contenuto degli atti processuali, prospettando «palesi errori di fatto revocatori come risulta dal raffronto tra i testi del ricorso per Cassazione, della ordinanza impugnata, nonché della memoria del 21/07/’21 della Università degli Studi di Bari A. Moro depositata nel giudizio di appello».
2.1 L’ordinanza di cui si chiede la revocazione, dopo aver sintetizzato i fatti di causa e gli esiti della vicenda processuale, ha riassunto le ragioni con cui il Consiglio di Stato aveva rigettato l ‘appello del COGNOME nei seguenti termini: «1. l’errore nel quale il Tar era incorso circa la qualificazione della domanda risarcitoria del COGNOME (non affidamento incolpevole, ma responsabilità per inadempimento insito nella illecita caducazione del contratto di appalto) non precludeva la verifica in appello della effettiva illiceità della condotta così tenuta dall’Amministrazione, e tale verifica induceva ad escludere sia l’illegittimità del provvedimento di annullamento in autotutela (e dunque l’illiceità di tale condotta) sia, comunque, la effettiva sussistenza di danni risarcibili; 2. in ordine al primo aspetto (legittimità dell’autotutela) contava il fatto che il COGNOME avesse fornito all’Amministrazione, a fittizia riprova del possesso dei requisiti di qualificazione indicati nella lettera di invito, un’attestazione della Provincia risultata contraffatta (essendo emerso che in realtà, nel corso del biennio 2005/2006, in favore della ditta appellante era stato assunto un solo impegno di spesa per l’importo di € 8.685,72, rispetto ai € 135,512,00 falsamente certificati) con conseguente sua escludibilità dalla gara; né l’annullamento dell’aggiudicazione poteva ritenersi tardivo, risultando infatti che l’amministrazione appaltante avesse agito con ragionevole tempestività, ex art.21 nonies legge 241/90, non appena ricevuto l’esposto dalla ditta seconda classificata; 3. in assenza di un provvedimento illegittimo causativo, faceva difetto il requisito oggettivo della responsabilità e del danno risarcibile in quanto ingiusto; 4. in ordine al secondo aspetto (mancata prova di danni risarcibili) doveva farsi qui applicazione del principio generale di cui al secondo comma dell’articolo 1227 cod.civ. (richiamato anche dall’articolo 30 cod.proc.amm.), il quale poneva a carico del danneggiato un canone di diligenza e di attivazione a tutela del bene della vita pregiudicato; 5. neppure, ancora, era stata fornita prova di danni risarcibili nell’ an e nel
RGN 4447/2024
quantum : né a titolo di lucro cessante per mancato guadagno e di danno curriculare, né quanto a danno-conseguenza non patrimoniale».
2.2 – Ha quindi riportato i motivi per i quali il COGNOME ha proposto ricorso ex art. 111, comma 8, Cost. (I motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 cod. civ., nonché degli artt. 329, 346 e 342 c.p.c., 24 e 113 Cost. in relazione agli artt. 362 co 1^ c.p.c., 111 co. 8 Cost. e 110 cod.proc.amm., per ‘ omesso rilievo e/o violazione del giudicato interno; violazione dei c.d. ‘limiti esterni’ della giurisdizione amministrativa/difetto di giurisdizione/eccesso di potere giurisdizionale/ diniego di tutela giurisdizionale ‘ in quanto il Consiglio di Stato aveva ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela nonostante quest’ultimo fosse stato invece ritenuto illegittimo dal Tar, con decisione non impugnata sul punto e divenuta definitiva; inoltre perché il Consiglio di Stato aveva valorizzato un’ipotesi di mendacio del Brigan te, ritenuta ininfluente dai primi giudici; II motivo: violazione e falsa applicazione di norme procedurali e sul giudicato, con conseguente ‘ omessa pronuncia su motivo di appello, violazione del giudicato interno, eccesso di potere giurisdizionale, diniego di tutela giurisdizionale ‘ , perché il Consiglio di Stato, pur dopo aver evidenziato l’effettiva contraddittorietà della sentenza di primo grado nella qualificazione della posizione giuridica dedotta in giudizio -ora di interesse legittimo ed ora di diritto soggettivo-, aveva poi omesso di pronunciarsi sul motivo di appello secondo il quale, vertendosi su una posizione di diritto soggettivo, non era invocabile il terzo comma dell’articolo 30 cod. proc. amm.; III motivo: violazione e falsa applicazione del giudicato, della legge processuale e delle disposizioni sulla prova, con conseguente ‘ violazione del giudicato interno, eccesso di potere giurisdizionale e/o diniego di tutela giurisdizionale ‘ , perché il Consiglio di Stato aveva riesaminato la questione della sussistenza e della prova di danno risarcibile, nonostante che il Tar avesse ritenuto irrisarcibile il danno (non patrimoniale) non perché tout court inesistente, ma solo per mancata impugnazione dell’atto amministrativo di autoannullamento, ne avrebbe ‘ provocato la stabilizzazione ‘, con la conseguenza che ‘ non potendo più ius dicere neppure in tal caso, la sua (ennesima) violazione assurge ancora una volta a motivo afferente la giurisdizione riverberandosi sulla tutela giurisdizionale conseguentemente negata ‘ ).
2.3 – Ha dichiarato la palese inammissibilità del ricorso per essere le doglianze del tutto avulse da motivi inerenti la giurisdizione.
2.3.1 – Nello specifico ha richiamato i principi enunciati dalla stessa Corte di cassazione , ‘confortata’ dall a Corte costituzionale (sentenza n. 6 del 2018), chiarendo che «in nessun caso può essere configurato quale motivo attinente alla giurisdizione quello volto a far constare gli errores in iudicando o in procedendo nei quali sarebbe incorso il giudice speciale, non investendo questi errori il superamento dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo o contabile, quanto soltanto la legittimità e correttezza del suo esercizio. E ciò quand’anche tali errori possano risultare forieri di decisioni anomale, abnormi o segnate dal radicale stravolgimento delle norme, sostanziali o processuali, di riferimento».
2.3.2 – Nel prosieguo, esaminando il caso di specie, ha evidenziato che «nella concretezza del caso non si riscontra nessuna delle ipotesi di sindacato appena menzionate. Lungi da sottrarsi all’esercizio della propria giurisdizione, ovvero da affermare l’improponibilità avanti a sé dell’azione risarcitoria, nella sentenza impugnata il Consiglio di Stato è invece proprio addivenuto ad una decisione sul merito della domanda (nel senso della sua infondatezza), e ciò sulla base di plurime ed autonome ragioni decisorie, rispettivamente costituite » (§ 2.2 dell’ordinanza revocanda) .
2.3.3 – Nello specifico, e ad ulteriore richiamo delle ragioni esposte da questa Corte nell’ordinanza di cui ora si invoca la revocazione, ha rilevato come in essa si affermi che «Contrariamente a quanto vorrebbe il ricorrente, poi, non è individuabile nella sentenza in esame alcuna affermazione volta a subordinare la proposizione stessa dell’azione risarcitoria alla previa domanda costitutiva di annullamento dell’atto di autotutela, posto che il Consiglio di Stato ricollega la mancata azione di annullamento di tale atto non ad una condizione ostativa sistematica, quanto soltanto all’inosservanza di un dovere di diligenza che gravava sul COGNOME se ed in quanto soggetto danneggiato, e che avrebbe potuto elidere nell’immediato, con l’adozione dei rimedi cautelari, il danno da lui lamentato quasi dieci anni dopo. Neppure, infine, un motivo attinente alla giurisdizione potrebbe individuarsi laddove il Consiglio di Stato, secondo la tesi del ricorrente, avrebbe per più versi legittimità dell’autotutela (primo motivo di ricorso); natura giuridica della posizione lesa (secondo motivo); sussistenza di un danno risarcibile (terzo
motivo) – violato il giudicato interno. A ben vedere, le risultanze di causa non sembrano avvalorare questa plurima violazione, dal momento che l’Università aveva riproposto in appello anche le questioni della legittimità dell’annullamento d’ufficio, e comunque della non riconoscibilità a favore del Brigante di qualsivoglia danno risarcibile in applicazione dell’articolo 1227 co. 2^ cod. civ. come richiamato anche dall’art. 30 co. 3^ cod. proc. amm. (in caso di lesione tanto di un diritto soggettivo quanto di un interesse legittimo), sicché l’iniziale e protratta inerzia del COGNOME – pur volendosi qualificare la sua domanda come risarcitoria da responsabilità contrattuale e non da lesione di affidamento incolpevole nel contegno della PA -avrebbe irrimediabilmente reciso il nesso causale ex art. 1223 cod. civ. Ad ogni buon conto, ciò che è davvero dirimente in questa sede -secondo le rassegnate premesse -è che neppure l’ipotetica violazione del giudicato interno (così come quella, pure invocata in ricorso, del principio devolutivo) potrebbe integrare il paventato sovvertimento dei confini giurisdizionali, essendosi in proposito già affermato (Cass. SSUU n. 8245/17, così Cass. SSUU n. 300/13 ed altre) che: ‘ la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, attenga, invece, all’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili – dalla sua omessa interpretazione, alla valutazione del suo contenuto, nonché dei suoi presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti – riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, sostanzialmente, una violazione di legge commessa da quest’ultimo, sicché resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi ‘. In definitiva, anche per questa via si ha conferma del fatto che nessuna delle violazioni dedotte nei tre motivi di ricorso integra motivo ‘attinente alla giuri sdizione’ quanto, a tutto concedere, ad errores in procedendo o in iudicando , rivelandosi – come tali – qui del tutto ininfluenti».
2.4 -Ebbene, rispetto all’ordinanza, la cui motivazione è stata qui richiamata per ampi stralci, il ricorrente, con la richiesta di revocazione, sostiene che in essa sia stato omesso o erroneamente percepito il contenuto degli atti processuali. A conforto della propria doglianza dedica numerose pagine al raffronto tra i testi degli atti processuali, ossia il ricorso per cassazione, quanto ai motivi articolati, gli atti processuali delle parti ed il
contenuto della ordinanza con la quale le sezioni unite hanno rigettato il ricorso medesimo. Di questa si duole perché rileverebbe «il travisamento dei motivi di ricorso, omettendone conseguentemente un esame coerente con la reale loro architettura. Invero, il ricorrente non ha denunciato, sic et simpliciter , una (plurima) violazione del giudicato quale ‘mero’ error in procedendo , bensì ‘il travalicamento dei c.d. ‘limiti esterni’ della giurisdizione amministrativa e/o il difetto di giurisdizione e/o l’eccesso di potere giurisdizionale e/o il diniego di tutela giurisdizionale’ che in essa sono immanenti investendo la sussistenza della (ulteriore) funzione giurisdizionale». Insiste, ancora, affermando di non aver denunciato « … il cattivo esercizio di un potere giurisdizionale esistente, bensì l’esercizio di un potere giurisdizionale non più esistente».
2.5 – Il ricorso è palesemente inammissibile, c ome d’altronde già evidenziato nella proposta di definizione agevolata del giudizio.
2.5.1 – In merito, va chiarito che ai fini del giudizio di revocazione, si sostiene che la norma circoscrive la rilevanza e decisività dell’errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale il giudice si sia poi pronunciato (Cass., 14 novembre 2014, n. 24334; 29 marzo 2022, n. 10040). Si è anche affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., si configura come una falsa percezione della realtà, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice per situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (Cass., 15 gennaio 2009, n. 844; 28 marzo 2018, n. 7617). Quel che rileva dunque è che l’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione debba basarsi esclusivamente sull’errore di fatto in cui la Corte possa essere incorsa nella lettura degli atti del processo a quo ovvero degli atti propri del giudizio di legittimità, consistendo l’errore revocatorio in un errore di percezione che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti
incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa. Ai fini della revocazione occorre quindi che la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali (Cass., 10040/2022 cit., relativa ad una fattispecie in cui la Corte ha escluso la rilevanza dell’erroneo accertamento dell’esistenza di un giudicato interno, non trattandosi di un errore di fatto rilevante ai fini dell’art. 395, comma 4, c.p.c., bensì dell’apprezzamento in diritto delle risultanze processuali. Cfr. anche Cass., 16 febbraio 2023, n. 4893, in tema di mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea; 4 maggio 2023, n. 11691). Ciò, dunque esclude la sua configurabilità nell’ipotesi in cui riguardi norme giuridiche, essendo la loro violazione o falsa applicazione un errore di diritto (Cass., 15 giugno 2009, n. 13367; 22 settembre 2017, n. 19926). Deve avere inoltre i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo. Deve risolversi esclusivamente in un vizio di assunzione del “fatto”, che può anche consistere nel contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice (quali la sentenza impugnata o gli atti di parte), e non può, quindi, concernere il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (cfr. ex multis , Sez. U, 28 maggio 2013, n. 13181; da ultimo, Sez. U, 19 luglio 2024, n. 20013; da ultimo, Sez. U, 19 luglio 2024, n. 20013, in cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, lungi dall’evidenziare un errore di fatto percettivo, ha lamentato un omesso esame dei motivi articolati nel ricorso introduttivo, così sollecitando un rinnovato giudizio sui disattesi motivi del ricorso per cassazione).
2.5.2 – Ebbene, nel caso di specie risulta già sintomatico della palese estraneità delle doglianze del ricorrente dal perimetro della fattispecie revocatoria, ex art. 391, cod. proc. civ., la circostanza che in essa si assume che vi sia stato un ‘travisamento dei motivi di ricorso’ (cfr. p. 23 del ricorso per revocazione), e dunque non già di un fatto, che può anche afferire al contenuto degli atti processuali, ma certo non al contenuto concettuale delle tesi difensive, come appunto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte.
L’estraneità al suddetto perimetro è ancor più evidente quando la difesa si affanna a sottolineare che la denuncia non afferisce al cattivo esercizio di un potere giurisdizionale esistente, bensì «l’esercizio di un potere giurisdizionale non più esistente», come se ciò non riguardasse sempre e solo valutazioni d’ordine concettuale. E questo senza contare che l’intero tessuto argomentativo nel quale il ricorso si sviluppa attinge sempre al percorso logico seguito dall’ordinanza revocanda, censurata nella sostanza proprio sul piano della erronea interpretazione degli atti, delle vicende giuridiche, così come delle conseguenze seguite a tali supposte erronee interpretazioni dei fatti e delle regole processuali. In definitiva esso si traduce in una congerie di critiche al contenuto del provvedimento, ossia l’esatto contrario della denuncia dell’errore percettivo.
2.5.3 – Trovano dunque conferma le ragioni di inammissibilità enunciate nella proposta di definizione accelerata del giudizio.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
All’esito del giudizio segue la soccombenza dl ricorrente nelle spese processuali, così come regolate in dispositivo, cui si aggiunge la condanna per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96, commi terzo e quarto c.p.c., per come quantificato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte a Sezioni Unite dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in favore della controricorrente nella misura di € 7.000,00 a titolo di competenze e di € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% delle competenze e accessori come per legge.
Condanna, altresì, il ricorrente al pagamento, a favore della controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura di € 4.500,00, nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., della somma di € 4.500,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025