Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5615 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 5615  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8576/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore NOME COGNOME, in qualità di procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE, in qualità di avente causa dell’RAGIONE_SOCIALE; -intimata – avverso l’ordinanza  della  Corte  di  cassazione  n.  31717/21,  depositata  il  4
novembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 12 dicembre 2016, il Tribunale di Milano accolse l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo n. 6720/ 14, emesso il 27 febbraio 2014, con cui, su ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE S.p.a., in qualità di avente causa della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Commercio e Industria S.p.a., era stato intimato all’opponente il pagamento della somma di Euro 61.697,16, oltre interessi, a titolo di saldo debitore di un conto corrente intestato alla RAGIONE_SOCIALE
L’apCOGNOME interposto dall’RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) fu rigettato dalla Corte d’apCOGNOME di Milano con sentenza del 13 giugno 2019.
Avverso la predetta sentenza l’UBI RAGIONE_SOCIALE propose ricorso per cassazione, accolto da questa Corte con ordinanza del 4 novembre 2021, che ha rinviato la causa alla Corte d’apCOGNOME di Milano.
A fondamento della decisione, questa Corte ha ritenuto corretta l’osservazione della sentenza impugnata, secondo cui il fascicolo relativo alla fase monitoria, del quale il Tribunale aveva rilevato la mancanza, non era presente tra gli atti al momento della decisione della causa in primo grado: ha reputato infatti non decisiva, in contrario, l’attestazione del Cancelliere, secondo cui il fascicolo era presente al momento della pubblicazione della sentenza di primo grado, osservando che il Cancelliere ha l’obbligo di annotare la restituzione a norma dell’art. 77, secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., e rilevando che non era stata fornita alcuna altra prova della presenza del fascicolo alla scadenza del termine di cui all’art. 169, secondo comma, cod. proc. civ.
Precisato tuttavia che la perentorietà di detto termine va riferita esclusivamente alla fase decisoria di primo grado, e non può quindi operare una volta  che  il  procedimento  trasmigri  in  apCOGNOME,  ha  affermato  che,  essendo stato il fascicolo depositato nuovamente in sede di gravame, la Corte d’ap-
COGNOME era tenuta a prendere in considerazione i documenti prodotti, ai fini della decisione in ordine alla fondatezza della pretesa azionata dalla RAGIONE_SOCIALE in via monitoria.
Avverso la predetta ordinanza l’COGNOME ha proposto ricorso per revocazione, affidato a un solo motivo, illustrato anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti della BPER RAGIONE_SOCIALE S.p.a., a sua volta cessionaria del ramo di azienda dell’UBI RAGIONE_SOCIALE relativo all’attività bancaria in senso stretto. L’Intesa Sanpaolo S.p.a., succeduta all’UBI RAGIONE_SOCIALE a seguito di fusione per incorporazione, non ha invece svolto attività difensiva. 
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., sostenendo che, nel ritenere ammissibile il ricorso per cassazione, l’ordinanza impugnata ha omesso di rilevare l’inesistenza della relativa notificazione, in quanto effettuata all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’AVV_NOTAIO, domiciliatario di esso ricorrente per il giudizio di apCOGNOME, anziché a quello, indicato come domicilio digitale, dell’AVV_NOTAIO, costituito nella medesima fase in qualità di procuratore dell’appellato.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua RAGIONE_SOCIALE atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza,
la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass., Sez. VI, 10/06/2021, n. 16439; Cass., Sez. III, 14/02/2006, n. 3190). In riferimento alle sentenze di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè quelli che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di cassazione (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/2018, n. 26643; Cass., Sez. V, 5/03/2015, n. 4456; Cass., Sez. lav., 18/02/2014, n. 3820).
L’errore di fatto è quindi configurabile, in riferimento alle sentenze di legittimità, nelle ipotesi in cui la Corte sia chiamata ad operare come giudice anche del fatto, e in particolare quando, come nella specie, essa abbia valutato l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso: il vizio in questione non può peraltro consistere, come pretenderebbe il ricorrente, nell’omessa rilevazione dell’inesistenza della notifica dell’atto di impugnazione, in quanto effettuata presso un domicilio digitale diverso da quello del procuratore costituito per la parte destinataria nel giudizio di apCOGNOME; considerato infatti che l’intestazione dell’atto di apCOGNOME recava l’indicazione di due diversi indirizzi di posta elettronica certificata, uno del procuratore costituito e l’altro di un diverso avvocato, presso il quale il primo aveva eletto anche domicilio fisico, l’affermazione della validità della notificazione effettuata presso l’indirizzo digitale di quest’ultimo, implicita nell’omessa rilevazione della sua inesistenza, non può essere fatta dipendere da una svista materiale, cioè da una falsa rappresentazione del contenuto dell’atto, che ha indotto la Corte a supporre l’esistenza di un’elezione di domicilio mai in realtà effettuata, ma dall’interpretazione ed applicazione delle norme che individuano il luogo in cui dev’essere eseguita la notificazione, in caso di elezione del domicilio digitale.
Trova pertanto applicazione il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di revocazione, secondo cui l’errore di cui all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. non può consistere nell’omessa rilevazione di un vizio concernente la ritualità della notificazione dell’atto d’impugnazione, sotto il profilo dell’individuazione del luogo in cui la stessa è stata effettuata, trattandosi in tal caso non già di una falsa rappresentazione di un fatto immediatamente emergente dagli atti, ma, al più, di un errore di diritto, riguar-
dante l’applicazione delle norme che disciplinano la notificazione (cfr. Cass., Sez. V, 20/12/2016, n. 26278; Cass., Sez. VI, 15/11/2013, n. 25654; v. anche, in tema di validità della notificazione, Cass., Sez. VI, 8/05/2017, n. 11202; Cass., Sez. III, 9/07/2009, n. 16136). Non risultano invece pertinenti gli altri precedenti richiamati dalla difesa del ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., i quali non hanno ad oggetto l’individuazione dei presupposti necessari per la configurabilità dell’errore revocatorio, ma la validità della notificazione eseguita presso il domicilio fisico eletto dalla parte, anziché presso quello digitale indicato dal procuratore negli atti processuali (cfr. Cass., Sez. I, 22/08/2018, n. 20946), nonché di quella effettuata da un procuratore non iscritto nell’RAGIONE_SOCIALE al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori (cfr. Cass., Sez. VI, 12/10/2015, n. 20468; Cass., Sez. II, 10/01/2011, n. 357): non merita dunque accoglimento l’istanza di rimessione RAGIONE_SOCIALE atti al AVV_NOTAIO Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, non ravvisandosi alcun contrasto di giurisprudenza in ordine alla questione sollevata dal ricorrente, e non configurandosi la stessa come una questione di massima di particolare importanza, giacché la controversia può essere risolta sulla base di principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e mai messi in discussione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
Va invece rigettata la domanda di condanna del medesimo ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., non ravvisandosi, nella proposizione del ricorso per revocazione, una condotta oggettivamente valutabile come abuso del processo, per la cui configurabilità non è sufficiente l’infondatezza delle tesi prospettate, ma è necessario che la parte abbia agito o resistito pretestuosamente, in tal modo determinando un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali (cfr. Cass., Sez. III, 4/08/2021, n. 22208; Cass., Sez. lav., 15/02/2021, n. 3830; Cass., Sez. VI, 24/09/2020, n. 20018). 
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10/11/2023