Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 740 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 740 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3705/2024 R.G. proposto da:
COMUNE DI MILANO, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché dall’Avv. NOME COGNOME presso lo studio del quale in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e COGNOME e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1082/2023, depositata il 12.12.2023, RG 40/2023;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME per il ricorrente e NOME COGNOME per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, dipendente del Comune di Milano come agente di Polizia Locale, nel giugno 2006 fu posto agli arresti domiciliari in base ad ordinanza del GIP di quella città, cui il Comune fece seguire la sospensione cautelare dal servizio con privazione della retribuzione dal 23.6.2020, poi mantenuta anche quando successivamente gli arresti domiciliari vennero sostituiti con la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio per dieci mesi.
In data 12.2.2021, l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari del Comune (di seguito, UPD) apprese che, con sentenza del 30.9.2020, al COGNOME era stata applicata, ai sensi dell’art. 444 ss. c.p.p., la pena di anni due e mesi sei di reclusione, per reati di truffa ed abusiva introduzione nel sistema informativo dell’ente, con alterazione di files, il tutto al fine di far constare, contrariamente al vero, come definite le posizioni debitore connesse ad ordinanze prefettizie, sulla base di importi ben maggiori rispetto a quelli effettivamente versati dagli interessati in contanti e poi trattenuti dallo stesso COGNOME
In data 16.2.2021 l’UPD ha quindi dato corso alla contestazione disciplinare di tali fatti e in data 10.5.2021 ha applicato al Cianflone la sanzione del licenziamento senza preavviso.
Il licenziamento è stato impugnato dal COGNOME in sede giudiziale e la sua domanda è stata accolta dal Tribunale di Milano, con sentenza poi confermata, seppure con diversa motivazione, dalla Corte d’Appello della stessa città.
Quest’ultima, in difformità del primo giudice, riteneva infondata l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare e ciò
argomentava sul presupposto che l’ente datore di lavoro avesse appreso notizia di quanto addebitato al proprio dipendente, in forma adeguata all’esercizio dell’azione disciplinare, solo con la trasmissione della sentenza di c.d. patteggiamento, mentre prima di allora non erano pervenute indicazioni sufficienti, con particolare riferimento alla individuazione delle ordinanze prefettizie oggetto delle asserite registrazioni scorrette.
La Corte territoriale riteneva tuttavia che l’efficacia probatoria della sentenza di patteggiamento, per quanto sussistente all’epoca del licenziamento, fosse venuta meno per effetto dell’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia, sicché, in difetto di supporto documentale e stante l’insufficienza degli esiti della prov a testimoniale svolta presso il giudice di secondo grado, neanche poteva attribuirsi rilevanza al sostanziale riconoscimento di responsabilità sotteso all’accesso alla definizione mediante il c.d. patteggiamento.
Il Comune di Milano ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso del Cianflone.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso per cassazione, come poi confermato in udienza pubblica.
Sono in atti memorie di ambo le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso adduce la violazione eo falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 25, co. 1, lett. b) del d. lgs. n. 150 del 2022, dell’art. 653 c.p.p., dell’art. 445, co. 1 -bis, c.p.p. nuova formulazione e con esso si sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’avere interpretato ed applicato con effetti retroattivi la modifica apportata all’art. 445, co. 1 -bis, cit. dall’art. 25, co. 1 lett. b) del d. lgs. n. 150 del 2022 cit.
2. Il motivo è fondato.
3. Fino alle recenti modifiche introdotte ne ll’art. 445, co. 1 -bis, c.p.p. dal d.lgs. n. 150 cit. era pacifico che la sentenza di applicazione della pena su richiesta avesse efficacia di giudicato, nel giudizio disciplinare, quanto all’accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (Cass. 31 luglio 2019, n. 20721, sulla scia di Cass., S.U. 31 ottobre 2012, n. 18701 e Cass., S.U., 9 aprile 2008, n. 9166; successivamente, nel medesimo senso, poi, Cass. 19 luglio 2021, n. 20560; Cass. 31 gennaio 2022, n. 2876; Cass. 29 marzo 2023, n. 8943).
Ciò in forza dell’ineludibile dato normativo per cui l’art. 445, in esito alle modifiche di cui alla legge n. 97 del 2001 e poi con il co. 1-bis quale introdotto dalla legge n . 134 del 2003, nell’equiparare tale pronuncia ad una sentenza di condanna e nel limitare l’efficacia di essa nei giudizi ‘civili o amministrativi’, faceva espressamente « salvo quanto previsto dall’articolo 653 », norma quest’ultima in forza della quale, con il co. 1bis introdotto anch’esso dalla legge n. 97 del 2001, « la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso ».
Ciò è stato inteso da questa S.C. -coerentemente con il dato testuale -nel senso che, a parte l’equiparazione alla pronuncia di condanna, la salvezza, esplicitamente affermata, del disposto di cui all’art. 653 c.p.p. non poteva che assicurare alla sentenza di c.d. patteggiamento gli effetti di giudicato derivanti da quest’ultima previsione generale.
In altre parole, a fronte di una tale pronuncia, restano da valutare soltanto la rilevanza sul piano disciplinare dei fatti così accertati, la personalità dell’autore dell’illecito e quanto attiene alla
proporzionalità dell’illecito, mentre non sono più discutibili secondo la disciplina qui in esame -la sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e l’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
Si è poi anche precisato (Cass. 20560/2021, cit.) che « il riferimento dell’art. 653 c.p.c. al «giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità» non vale poi a delimitare la valenza della norma alla sola fase amministrativa della valutazione disciplinare, essendo evidente che l’ordinamento, per non contraddire se stesso, non potrebbe riconoscere l’efficacia di giudicato alla sentenza penale di patteggiamento solo allorquando la P.A. valuti l’addebito e non nella sede giudiziale in cui ulteriormente si discuta dello stesso ».
Il d.lgs. n. 150 del 2022, ha ora apportato, come si è detto, significative modifiche rispetto a tale assetto.
L’attuale formulazione dell’art. 445, co. 1 -bis, c.p.p. è infatti nel senso « la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ».
È in proposito evidente la rottura del nesso -decisivo nell’interpretazione del disposto previgente con l’art. 653 c.p.p., che non è più fatto salvo dall’art. 445 c.p.p. rispetto alla sentenza di patteggiamento.
È poi altresì evidente che la negazione di efficacia e di utilizzabilità di tale sentenza ‘a fini di prova’ e ciò anche nei giudizi disciplinari
non consente certamente di sostenere in via interpretativa che -permanendo comunque una qualche equiparazione di essa alla sentenza di condanna (v. art. 445, co.1-bis, ultimo inciso) – possa riconoscersi all’art. 653 c.p.c. la capacità di dispiegare ancora effetti in proposito.
Se infatti la sentenza non vale a fini di prova, a fortiori è da escludere che essa valga come fonte di giudicato sui profili riguardanti il verificarsi e la commissione del fatto.
Il tutto, del resto, in linea con la legge delega (legge n. 134 del 2021) che ha indirizzato le modifiche normative, il cui art. 1, co. 10 n. 2, come sottolineato dalla Corte territoriale, precisava espressamente che l’intento era quello di « ridurre gli effetti extrapenali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi ».
Ciò posto, non può invece ritenersi che, sul piano del giudicato, la novella normativa possa avere effetto, in mancanza di disciplina transitoria in tal senso, rispetto a sanzioni disciplinari la cui irrogazione da parte dell’autorità competente sia anteriore ad essa.
In proposito può dirsi che, mentre il giudicato civile ha tendenzialmente per oggetto, in senso più o meno ampio, situazioni giuridiche soggettive, di cui costituisce la lex specialis (v. anche art. 2953 c.c. in tema di prescrizione), gli effetti extrapenali del giudicato penale hanno riguardo, come è proprio delle pronunce rese in tale ambito, fatti materiali.
È dunque naturale che il tema degli effetti del giudicato penale possa avvicinarsi a quello della prova delle circostanze che poi rilevano nel processo civile e quindi possa assumere connotazioni destinate a porre concretamente il tema della natura sostanziale o processuale delle corrispondenti norme, in ragione della normale irretroattività nel primo caso e della possibile applicazione del principio tempus regit actum , nell’altro.
In realtà, la questione non va affrontata su piani sistematici astratti, ma è di diritto positivo e gli effetti extrapenali delle sentenze penali vanno ricostruiti sulla base delle norme che li regolano.
6.1 In proposito, limitando l’attenzione alle sentenze di condanna, se è indubbio che l’efficacia nel giudizio « civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali» e la sentenza sia stata pronunciata «in seguito a dibattimento» (art. 654 c.p.p.) si esplichi nel processo, civile o amministrativo, è altrettanto indubbio che invece, rispetto ai giudizi disciplinari, la previsione è diversa ed è nel senso che « l’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso » opera già prima ed in particolare « nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità » (art. 653, co. 1-bis).
Mentre dunque, rispetto ai casi di cui all’art.654 c.p.p. si può discutere se la norma sul giudicato abbia natura sostanziale o processuale, con quanto può conseguirne, nei casi di cui all’art. 653, co. 1bis, l’efficacia del giudicato opera già prima del processo, con riferimento alle norme che le ‘pubbliche autorità’ sono chiamate senza discrezionalità ad applicare nel valutare la responsabilità disciplinare.
6.2 D’altra parte, è evidente che anche la P.A. deve poter contare sulla stabilità delle regole che governano il suo operato, ovverosia gli accertamenti disciplinari e le conseguenti scelte che essa è chiamata a fare.
Infatti, le regole di tempo in tempo vigenti definiscono anche il tipo di accertamenti che chi procede è indotto a svolgere nell’applicare o meno le sanzioni disciplinari ed il grado di approfondimento di essi.
Una rimodulazione postuma delle regole da questo punto di vista comporterebbe un disallineamento rispetto ai principi di certezza e del diritto, costringendo poi la P.A. nel processo a difendersi su basi probatorie diverse da quelle che le legge non solo le consentiva, ma le imponeva di osservare precedentemente nel determinarsi ad operare sul piano sostanziale.
Ne resterebbe dunque alterato in modo grave l’intero assetto disciplinare della fase transitoria, in contrasto con i principi di ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost., qui declinabili anche attraverso il richiamo al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, il giudizio reso sulle basi fattuali e normative che derivavano dal combinato disposto degli artt. 445 e 653 c.p.c. non può essere successivamente inficiato, stante l’ordinaria irretroattività della legge, per il sopravvenire di una nuova normativa che regolamenti diversamente quegli effetti extrapenali.
6.3 Non si tratta poi di norme di individuazione o integrazione della fattispecie o del precetto penale (Cass. pen. 23 novembre 2011, n. 46669), per le quali possa operare il regime di retroattività della lex mitior di cui all’art. 2 c.p.
Né si tratta di pena, per la quale valgano analoghe regole di beneficio per il condannato.
Infatti, il giudizio sulla sanzione disciplinare non è immediata conseguenza della condanna penale, ma ha una sua autonomia, sul piano in cui esso opera, che è quello del rapporto con la pubblica autorità di riferimento, restando da valutare, come si è detto tutta una serie di elementi, tra cui la rilevanza disciplinare dei fatti così accertati, la personalità dell’attore dell’illecito e quanto attiene alla proporzionalità dell’illecito.
Questa S.C. (Cass. 26 ottobre 2017, n. 25485) ha del resto già chiarito come, anche ai fini del divieto di duplicazione di misure punitive di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 allegato alla Convenzione
per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, le sanzioni disciplinari riguardanti rapporti di lavoro o previste in ambiti settoriali (v. Cass. 5 maggio 2016 n. 9041 e Cass. 3 febbraio 2017 n. 2927 rispetto alle misure inflitte dagli ordini professionali; Cass., S.U., 29 febbraio 2016 n. 4004 per i procedimenti disciplinari a carico di magistrati) non possono confondersi con la pena conseguente alla commissione di reati.
6.4 Su tali presupposti si deve concludere che gli effetti extrapenali del giudicato conseguente a pronuncia di c.d. patteggiamento, quali delineati dall’art. 445, co. 1 bis, c.p.p., restano regolati dalla legge del tempo in cui la sanzione disciplinare è stata applicata dal datore di lavoro pubblico e dunque non hanno rilevanza i mutamenti delle norme che regolano quel fenomeno.
Da quanto sopra deriva la cassazione della pronuncia impugnata, perché la Corte d’Appello non poteva giudicare sui fatti addebitati prescindendo dall’effetto di vincolo rispetto al loro accertamento che derivava -secondo la costante giurisprudenza di questa S.C. citata al punto 3 che precede – dal combinato disposto degli artt. 445, co. 1-bis e 653 c.p.p., quali vigenti al momento dell’irrogazione della sanzione.
Ciò manda assorbito il secondo motivo con cui si adduce la violazione degli artt. 653, co. 1-bis, e 445, co. 1-bis, c.p.p., nonché degli artt. 115, 116 e 245 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte territoriale posto a base della decisione prove testimoniali, atti e documenti il cui esame era precluso dagli effetti della sentenza penale irrevocabile di patteggiamento.
La causa va quindi rinviata alla medesima Corte territoriale la quale, in diversa composizione, giudicherà facendo applicazione dei principi di diritto, anche sul piano intertemporale, sopra evidenziati, risolvendo altresì ogni altra questione.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro