Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 16837 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 16837 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18085-2023 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME;
– ricorrenti –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO;
– controricorrente –
nonchè contro
Oggetto
RIC. CONTRO DECISIONI DI GIUDICI SPECIALI
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/03/2024
CC
PROCURATORE REGIONALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER L’ABRUZZO;
– intimato – avverso la sentenza n. 28/2023 della CORTE DEI CONTI – II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 02/02/2023.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell’art. 362, cod. proc. civ., avverso la sentenza della Corte di conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello, n. 28/2023, del 5 maggio 2022, pubblicata il 2 febbraio 2023.
Il ricorso è articolato in due motivi.
I ricorrenti hanno premesso che la Procura regionale, con il rito ex art. 133 del d.lgs. n. 174 del 2016 ‘Codice di giustizia contabile’ (di seguito c.g.c.), ha agito per l’accertamento della loro responsabilità, con altri, nella causazione del dissesto finanziario del Comune di Ari, che è stato dichiarato con la delibera consiliare n. 28 del 2014, e per la condanna al pagamento in favore dell’Ente locale della sanzione pecuniaria stabilita dall’art. 248, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000.
Il giudizio è stato dichiarato improcedibile dal giudice monocratico, atteso che l’applicazione della sanzione stabilita dalla disposizione da ultimo richiamata presuppone il preventivo accertamento della responsabilità in sede di giudizio di cognizione, mentre la Procura regionale ha agito con il rito di
cui all’art. 133, c.g.c., previsto per la sola applicazione delle sanzioni.
A seguito dell’opposizione della Procura regionale, la Corte dei conti, con la sentenza n. 97 del 2019, ha affermato la procedibilità del ricorso, e lo ha rigettato nel merito.
La sentenza di appello n. 28/2023, richiamando le motivazioni della sentenza delle Sezioni riunite n. 4/2022, ha accolto l’impugnazione della Procura regionale, e in riforma della sentenza di primo grado n. 97 del 2019 ha dichiarato la responsabilità, tra gli altri, di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali amministratori (il primo consigliere comunale e assessore, il secondo consigliere comunale) in carica nel periodo 2011/prima metà del 2014, nella causazione del dissesto, e ha condannato gli stessi al pagamento della sanzione pecuniaria stabilita dall’art. 248, commi 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, nella misura di euro 1.084,60 ciascuno. Ha rigettato l’appello incidentale.
È intervenuto nel presente giudizio il Procuratore generale presso la Corte dei conti, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
La Procura generale ha contestato la ricostruzione effettuata dai ricorrenti, atteso che il rito sanzionatorio previsto dall’art. 133, c.g.c., non limita il contraddittorio o il diritto di difesa.
Ha ricordato, quindi, che l’ambito in cui è ammesso il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione, non si estende alla verifica di errores in procedendo o errores in iudicando , come quelli dedotti nella specie.
La Prima Presidente ha emanato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’articolo 380bis , primo comma, cod. proc. civ., nel senso della inammissibilità del ricorso.
Essendo stata comunicata la proposta il 31 ottobre 2023, il difensore dei ricorrenti ha depositato l’11 dicembre 2023 tempestiva istanza di decisione del ricorso.
È stata pertanto disposta la trattazione ex articolo 380bis .1., terzo comma, cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotto eccesso di potere giurisdizionale della sentenza, in relazione: all’art. 362, cod. proc. civ., all’art. 103, secondo comma, Cost., all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, all’art. 133, c.g.c., all’art. 248, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000.
La sentenza d’appello, nel porre a fondamento della decisione argomenti che costituiscono obiter dicta della decisione delle Sezioni riunite, privi di valore nomofilattico, non ha adempiuto all’obbligo di motivazione, con conseguente eccesso di potere giurisdizionale per la peculiare applicazione della suddetta sentenza; ha invaso la sfera di competenza del legislatore laddove, in luogo della stretta applicazione dell’art 133, c.g.c., e dell’art. 248, comma 5, del d.lgs. 267 del 2000, ha introdotto nelle materie di cui al citato art. 133, c.g.c., ex nihilo , un rito giurisdizionale cognitivo in aggiunta al previsto rito speciale per l’irrogazione della sanzione pecuniaria.
1.2. In particolare, i ricorrenti hanno dedotto quanto segue.
L’accertamento della responsabilità è escluso dal rito di cui all’art. 133, c.g.c., che prevede l’irrogazione della sanzione pecuniaria, già determinata per legge fra un minimo e un massimo, nell’esercizio di un potere sanzionatorio amministrativo e non giurisdizionale
Sin dal primo grado, essi ricorrenti hanno contestato che con il rito speciale di cui all’art. 133, c.g.c., caratterizzato da sinteticità e sommarietà, si potesse procedere all’accertamento della responsabilità, che è riservato al giudizio di piena cognizione, come invece ha affermato la sentenza di appello n. 28/2023.
Tale questione è diversa da quella rimessa alle Sezioni riunite e decisa con la sentenza n. 4/2022, le cui motivazioni sono state impropriamente richiamate nella sentenza di appello.
Alle Sezioni riunite è stata devoluta la seguente questione di massima: ‘se con il rito sanzionatorio previsto dagli artt. 133 e ss., c.g.c., possa valutarsi solo l’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai commi 5 e 5bis dell’art. 248, del d.lgs. n. 267 del 2000, o possa accertarsi anche la connessa natura interdittiva prevista dai medesimi commi quale effetto ope legis della condotta sanzionatoria’.
Pertanto, la Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello, nel richiamare argomenti esposti nella sentenza delle Sezioni riunite n. 4/2022, che hanno costituito obiter dicta rispetto alla questione di massima che è stata rimessa, non ha assolto all’obbligo di motivazione gravante sul giudice, così incorrendo in eccesso di potere giurisdizionale.
Inoltre, i ricorrenti hanno esposto che la decisione impugnata ha introdotto nell’ordinamento la fattispecie del rito sanzionatorio con cognizione, che il legislatore non ha previsto, atteso che l’irrogazione della sanzione presuppone il precedente e distinto accertamento della responsabilità.
3. Il motivo è inammissibile.
Queste Sezioni unite hanno affermato la regula iuris secondo la quale l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il
ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale – nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.
Conseguentemente, tale vizio non è configurabile per errores in iudicando o errores in procedendo , i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo ( ex multis , Cass., S.U., n. 28550 del 2023, n. 29285 del 2018).
3.1. Con riguardo alla fattispecie in esame, occorre considerare che il legislatore ha configurato le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, quale articolazione interna della medesima Corte in sede d’appello, che assicura l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione delle norme di contabilità pubblica e nelle altre materie sottoposte alla giurisdizione contabile (art. 11, c.g.c.).
La Sezione giurisdizionale di appello che ritenga di non condividere un principio di diritto di cui debba fare applicazione, già enunciato dalle Sezioni riunite, rimette a queste ultime, con
ordinanza motivata, la decisione dell’impugnazione (art. 117, c.g.c.).
Pertanto, la prospettazione dei ricorrenti, laddove gli stessi deducono che, dando luogo ad eccesso di potere giurisdizionale, la Sezione di appello avrebbe posto a fondamento della decisione obiter dicta delle Sezioni riunite non vincolanti, in quanto enunciati al di fuori della questione di massima che era stata rimessa dinanzi alle stesse, si sostanzia nella prospettazione della violazione delle regole processuali che disciplinano i rapporti fra due organi della stessa giurisdizione, e si colloca interamente all’interno di quest’ultima (Cass., S.U., n. 28653 del 2008).
La Sezione d’Appello ha esercitato la propria potestas iudicandi , e l’interpretazione della sentenza delle Sezioni riunite anche con riguardo al vincolo che ne è derivato, attiene al rapporto tra i due organi, come regolato dalle norme processuali nell’ambito della giurisdizione contabile.
Analoghi principi sono stati già affermati da queste Sezioni unite anche con riguardo al rapporto tra le Sezioni semplici e l’Adunanza plenaria del RAGIONE_SOCIALE di Stato (Cass., S.U., n. 8569 del 2021, che richiama, dando continuità, Cass. S.U. n. 30869 del 2018, Cass., S.U., 24742 del 2016), atteso che l’eventuale violazione delle norme del codice di rito amministrativo sul vincolo alle Sezioni semplici del principio di diritto pronunciato dall’Adunanza plenaria si risolve in un ipotetico error in iudicando , tutto interno alla giurisdizione speciale.
3.2. Neppure è ravvisabile il difetto assoluto di giurisdizione per invasione della sfera riservata al legislatore, che è configurabile solo allorché il giudice speciale ha applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività
di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si è limitato al compito interpretativo che gli è proprio. Ciò, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando , ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione (v., Cass., S.U., n. 36899 del 2021).
L’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi, non ravvisabile nella specie, di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (cfr., Cass., S.U., n. 15573 del 2021).
Con il motivo di ricorso, piuttosto, al di là della formale autoqualificazione, si è prospettato che il giudice contabile, nell’affermare la contestualità dell’accertamento della responsabilità e dell’irrogazione della sanzione pecuniaria, ha commesso error , in iudicando o error in procedendo , non sindacabile dinanzi a queste Sezioni unite.
Con il secondo motivo è denunciato eccesso di potere giurisdizionale della sentenza, in relazione all’art. 103, secondo comma, Cost., all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, all’art. 248, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000.
Hanno illustrato i ricorrenti che la sentenza di appello, nel ritenere la loro legittimazione passiva – NOME COGNOME quale consigliere comunale e assessore, e NOME COGNOME quale consigliere comunale – ha esteso la responsabilità da dissesto
a soggetti diversi da quelli che sono sottoposti alla giurisdizione sanzionatoria in ragione del combinato disposto dell’art. 133, c.g.c., e dell’art 248, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000.
I ricorrenti prospettano che in primo grado avevano tempestivamente dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva.
Ricordano, quindi il contenuto precettivo dell’art. 248, del d.lgs. n. 267 del 2000, che individua quali destinatari della norma sanzionatoria gli ‘amministratori’ nella cui nozione, a loro avviso, non rientrerebbe il RAGIONE_SOCIALE comunale o i suoi singoli membri, ma nemmeno la Giunta ed i suoi singoli membri.
Il motivo è inammissibile.
Si tratta di una censura che è rivolta a far emergere i vizi in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte dei conti nel concreto esercizio della funzione giurisdizionale, come tali, in ragione dei principi già sopra esposti, non sottoponibili al controllo di queste Sezioni unite, che è limitato alla verifica del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione contabile.
In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in favore del Procuratore generale della Corte dei conti, stante la sua posizione di parte solo in senso formale.
Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombente risulti il suo contraddittore.
8. La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis , cod. proc. civ., comporta l’applicazione del quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis , ultimo comma, cod. proc. civ. (v., Cass., S.U., 27 dicembre 2023, n. 36069, 22 settembre 2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale), atteso che nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Sulla scorta di quanto esposto i ricorrenti vanno condannati al pagamento in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 2.000,00, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Attesa la peculiare posizione di parte solo formale della Procura generale della Corte dei conti, non trova applicazione l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
9. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315 del 2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 2.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo