Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 3727 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 3727 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5907-2023 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, INDICOGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE CALABRIA – CATANZARO, COMUNE DI CROTONE;
– intimati –
Oggetto
RIC. CONTRO
DECISIONI DI
GIUDICI
SPECIALI
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 613/2022 della CORTE DEI CONTI – II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO ROMA, depositata il 19/12/2022.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con lodo arbitrale n. 59/2014 del 16 luglio 2014, non impugnabile per espressa previsione del contratto di appalto, il RAGIONE_SOCIALE di Crotone veniva condannato al risarcimento del danno, quantificato in euro 1.164.975,07, oltre accessori, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, aggiudicatrice dell’appalto relativo alla realizzazione, in Crotone, di lavori di riqualificazione del percorso pedonale storico di INDICOGNOMEINDICOGNOME, danno derivato dalla eccessiva durata dei lavori dovuta a circostan ze non imputabili all’RAGIONE_SOCIALE e note, invece, al RAGIONE_SOCIALE medesimo già al momento dell’affidamento dei lavori.
Successivamente il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE stipulavano una transazione con la quale, tra l’altro, era negoziata la riduzione a euro 1.380.000,00 del debito dell’ente locale scaturente dal lodo.
In relazione a tale vicenda, con particolare riferimento al danno ‘indiretto’ derivato al RAGIONE_SOCIALE dalla transazione, il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti di Reggio Calabria citava in giudizio NOME COGNOME, in qualità di responsabile unico del procedimento, NOME COGNOME, in qualità di direttore dei lavori, NOME COGNOME, in qualità di assessore ai Lavori Pubblici, NOME COGNOME in qualità di Assessore alle Attività Economiche e Produttive, NOME COGNOME, in qualità di Sindaco del RAGIONE_SOCIALE di Crotone, ritenendoli, pro-quota, responsabili del predetto danno.
I convenuti si costituivano e in particolare, per quel che qui rileva, gli odierni ricorrenti evidenziavano la irragionevolezza del lodo – adottato a seguito di un procedimento al quale essi non avevano potuto prendere parte -il quale aveva liquidato al l’RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento del danno, una somma superiore al valore dell’appalto.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria, in accoglimento della domanda del Procuratore regionale, ritenuta la responsabilità amministrativa dei convenuti , detratto dall’ammontare del danno la quota del 20% ascritta al concorso causale di altri soggetti rimasti estranei al processo, ha ripartito il residuo, determinato nella somma complessiva di euro 1.104.000,00, ponendo a carico di NOME COGNOME euro 331.200,00, a carico di NOME COGNOME euro 303.600,00, a carico di NOME COGNOME euro 193.200,00, a carico di NOME COGNOME euro 138.000,00, a carico di NOME COGNOME euro 138.000,00, oltre accessori.
Con sentenza n. 613/2022 della Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti la decisione di primo grado è stata parzialmente riformata con rideterminazione del complessivo importo da risarcire, quantificato in euro 828.000, 00 e riduzione della quota a carico degli odierni ricorrenti – NOME COGNOME e NOME COGNOME – condannati ciascuno al pagamento della minore somma di euro 103.500,00, oltre accessori.
La sentenza di appello è stata impugnata da NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di un unico motivo con il quale è denunziato eccesso di potere giurisdizionale per arretramento dalla giurisdizione.
Il Procuratore Generale presso la Corte dei conti ha depositato controricorso concludendo per la inammissibilità e
comunque infondatezza del ricorso; il RAGIONE_SOCIALE di Crotone e il Procuratore regionale presso la Corte dei Conti sezione giurisdizionale della Regione Calabria sono rimasti intimati.
Con ordinanza in data 26 maggio 2023 la Prima Presidente ha formulato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. proposta di definizione del giudizio.
Gli odierni ricorrenti nel prescritto termine hanno chiesto la decisione ed il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ. .
In prossimità della camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono nullità della sentenza per eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore, denunziando arretramento dalla giurisdizione per mancata erogazione della tutela giurisdizionale normativamente garantita.
1.1. Si dolgono, in sintesi, che il giudice di appello, ritenendo irrilevante la questione della validità o meno del lodo arbitrale, aveva, di fatto, negato qualsivoglia valutazione in ordine ad un momento decisivo dello scrutinio devoluto, incentrato sulla nullità del lodo per contrasto con sopravvenute disposizioni imperative di legge recate dall’art. 1 commi 19 e sgg. l. n. 190/2012 di modifica dell’art. 241 d. lgs. n. 163/2006; in base alle previsioni richiamate, infatti, in ipotesi di stipula di clausola compromissoria inserita nell’avviso o nel bando di gara, era necessaria la preventiva autorizzazione motivata da parte dell’organo di governo dell’Amministrazione, nello specifico non intervenuta. Secondo i ricorrenti, il mancato rilievo da parte del
giudice contabile del difetto dell’autorizzazione motivata dell’Amministrazione committente aveva comportato uno sconfinamento nella sfera propria del legislatore e privato gli interessati della tutela di legge; il giudice di appello, inoltre, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, aveva sconfinato nella sfera del merito riservata alla PRAGIONE_SOCIALE, compiendo una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza del lodo arbitrale ed omettendo di considerare che esso era affetto da nullità insanabile.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Preliminarmente deve essere respinta la eccezione di giudicato formulata dal Procuratore generale, fondata sulla mancata deduzione da parte degli odierni ricorrenti, in sede di impugnazione della sentenza di primo grado, dell ‘ eccesso di potere nel quale sarebbe incorso il giudice contabile di prime cure; secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della S.C., infatti, non è configurabile un giudicato implicito sulla giurisdizione in relazione ad una sentenza del giudice speciale di primo grado che sia astrattamente affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, poiché all’interno del plesso giurisdizionale della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, tale vizio non dà luogo ad un capo sulla giurisdizione autonomamente impugnabile, ma si traduce in una questione di merito del cui esame il giudice speciale di secondo grado viene investito con la proposizione dell’appello; pertanto, l’interesse a ricorrere alle Sezioni Unite potrà sorgere esclusivamente rispetto alla sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un “vulnus” all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, amministrativo e
legislativo (Cass. Sez. Un., n. 23899 del 2020, Cass. Sez. Un., n. 19084 del 2020, Cass. Sez. Un., n. 13436 del 2019).
2.3. Venendo al merito della doglianza articolata si osserva che essa muove da un presupposto -pretermissione da parte del giudice speciale della valutazione di nullità del lodo arbitrale -privo di riscontro nella parte motiva della decisione di secondo grado.
2.4. Si premette che il tema della nullità del lodo arbitrale era stato posto in seconde cure dal AVV_NOTAIO, responsabile unico del procedimento, con eccezione alla quale avevano prestato adesione anche gli odierni ricorrenti; in particolare era stata eccepita la nullità, per contrasto con norma imperativa sopravvenuta, della clausola compromissoria inserita nel contratto di appalto che deferiva ad un collegio arbitrale le controversie insorte tra le parti in relazione all’esecuzione dell’appalto, nullità ch e -si assumeva- era destinata a riverberarsi sul lodo arbitrale alla base della affermata responsabilità amministrativa dei vari soggetti coinvolti; il COGNOME aveva inoltre chiesto, ai sensi dell’art. 106 c.g.c., la sospensione del giudizio fino alla definizione del procedimento da lui instaurato mediante opposizione di terzo ai sensi degli artt. 404, 831 e 827 c.p.c. innanzi alla Corte d’Appello di Roma al fine di far dichiarare la nullità del lodo (per asserita nullità della clausola compromissoria) ovvero, in via gradata, per ottenerne la riforma (sentenza, pagg. 56 e sg.); alla richiesta di sospensione si era associato, per quel che qui rileva, anche il difensore della COGNOME (sentenza, pagg. 58 e sgg.).
2.5. Il giudice contabile, diversamente da quanto assumono gli odierni ricorrenti, ha mostrato espressamente di prendere in considerazione la eccezione relativa alla nullità del lodo; ha,
infatti, in primo luogo, escluso che il mancato rilievo della nullità in questione da parte del P.M. contabile avesse determinato la nullità della relativa attività istruttoria, anche sotto il profilo della denunziata violazione dell’art. 55, comma 1 c.g. c., ed evidenziato che, comunque, al medesimo fine (validità dell’attività istruttoria ai sensi dell’art. 51 c.g.c.) la questione risultava priva di concreto rilievo ( v. sentenza, pagg. 68 e sgg.). In secondo luogo, nel respingere la richiesta di sospensione ex art. 106 c.g.c., la sentenza impugnata ha ampiamente argomentato circa il difetto del nesso di pregiudizialità necessaria tra il giudizio contabile e quello dinanzi alla Corte di appello promosso dal COGNOME con l’opposizione di terzo ai sensi degli artt. 404, 831 e 827 c.p.c.; in terzo luogo, nel trattare la posizione del COGNOME, ha argomentato, con considerazione evidentemente destinata a valere anche in relazione alla posizione degli altri responsabili e, quindi, anche degli assessori COGNOME e COGNOME, che il fatto che la Amministrazione comunale non aveva inteso far valere la nullità del lodo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE aggiudicataria non costituiva elemento idoneo a interrompere il nesso casuale fra le condotte del responsabile unico del procedimento e il danno, osservando, con affermazione avente anch’essa indubbia valenza generale nei confronti di tutti i responsabili, che la transazione stipulata tra il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE aggiudicataria avrebbe potuto interrompere il nesso causale tra il comportamento dei soggetti ritenuti responsabili ed il danno erariale solo se frutto di scelte irragionevoli illogiche o abnormi, non rinvenibili nella concreta fattispecie (sentenza, pagg. 112 e sgg.). A riguardo, deve precisarsi che, a differenza di quanto opinano i ricorrenti, la Sezione d’appello della Corte dei conti non ha espresso alcuna valutazione, né sul merito né sull’op portunità della decisione arbitrale, ma si è limitata a
rilevare, nell’ambito della verifica dei presupposti di configurabilità della responsabilità erariale, che la stipula della transazione, a seguito della decisione degli arbitri sfavorevole all’Amministrazione , non rivestiva carattere di macroscopica illogicità, come, viceversa, necessario per assurgere ad antecedente causale del danno, idoneo a spezzare il legame con le condotte contestate dalla Procura erariale. Non è vero, infine, che il giudice contabile ha omesso di verificare la portata della disciplina sopravvenuta che è stata esaminata anche alla luce della elaborazione giurisprudenziale di legittimità (sentenza, pag. 113 e sgg.).
2.6. Tanto premesso, deve escludersi nella concreta fattispecie la configurabilità del denunziato vizio di eccesso di potere giurisdizionale.
2.7. Secondo l’orientamento dell e Sezioni Unite della S.C., consolidatosi a partire dalla sentenza costituzionale n. 6 del 2018 – la quale ha carattere vincolante perché volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonché i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111, comma 8, Cost. – il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione.
2.8. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un <>, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione. Il controllo delle Sezioni Unite non include, infatti, il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo o contabile, suscettibili di comportare errori <> o <>, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione speciale, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale (Cass. Sez. Un., n. 17770 del 2020, Cass. Sez. Un., n. 8311 del 2019).
2.9. In relazione alla denunzia di arretramento dalla giurisdizione formulata con il presente ricorso, è da premettere che tale arretramento si configura nel caso di rifiuto rispetto a una domanda inclusa invece nella giurisdizione del giudice speciale, ovvero di rifiuto determinato dalla affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali di quel giudice (Cass., Sez. Un., n. 7839 del 2020). Come chiarito da Cass. Sez. Un., n. 8572 del 2021, il rifiuto sindacabile dalle Sezioni Unite è quello “in astratto”, vale a dire quello che deriva dalla affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in
contrasto con la <> che invece gli attribuisce il potere <> sulla domanda; non quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza della ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass., Sez. Un., n. 10087 del 2020).
2.10. Nel caso specifico il motivo in esame esula dall’ambito in relazione al quale è consentito il ricorso ai sensi dell’art. 111 comma 8 Cost. atteso che la doglianza degli odierni ricorrenti, nei termini in cui è formulata, non concerne, già in tesi, un ‘affermazione del giudice contabile relativa alla definizione astratta dei confini della propria giurisdizione ma investe la negazione, in concreto, della tutela della specifica situazione soggettiva dedotta, negazione fondata sul difetto, all’esito della verifica demandata, dei relativi presupposti; invero, nella prospettazione dei ricorrenti il diniego della tutela richiesta si configura quale frutto della asserita errata interpretazione della disciplina di riferimento in punto di conseguenze riconducibili alla nullità della clausola arbitrale e rifluisce pertanto in un tipico ‘ error in iudicando’ sottratto al sindacato della Corte di cassazione in ragione di quanto più sopra detto.
In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la posizione di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della
rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombenti risultino i suoi contraddittori.
La decisione da parte del Collegio in senso conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. , conformità sussistente non solo con riguardo all’esito inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche con riguardo alle ragioni che lo sorreggono, comporta, ai sensi dell’art. 96, comma 4 , c.p.c., la condanna dei ricorrenti al pagamento della somma di euro 2.500 in favore della cassa delle ammende.
5.1. Ciò sulla base della novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale. Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di cassazione delle dis posizioni di cui all’art. 96 terzo e quarto comma per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 bis nel testo riformato, in continuità con precedenti di questa Corte (Cass. Sez. Un., n. 27195 del 2023 e Cass. Sez. Un. n. 27433 del 2023) rileva il Collegio che la predetta normativa -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 d .lgs. n. 149/2022 -è immediatamente applicabile a seguito
dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023
5.2. Ed infatti la norma di cui all’art. 380 bis c.p.c. (che nella parte finale richiama l’art. 96 commi 3 e 4) è destinata a trovare applicazione, come espressamente previsto dal co. 6 dell’art. 35 del D. Lgs. n. 149/2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (come appunto quello in esame). Una diversa interpretazione (volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023) finirebbe, a ben vedere, per depotenziare fortemente la funzione stessa della norma e contrastare con la sua ratio, che mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa. Sottrarre al corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al d. lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo) proprio la condanna al pagamento di una somma in favore della controparte e di una ulteriore somma in favore della cassa delle ammende, verrebbe a fortemente limitare la portata applicativa della norma, che dovrebbe attendere verosimilmente diversi anni per vedere riconosciuta la sua piena efficacia, in contrasto con il chiaro intento del legislatore di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino – inammissibili, improcedibili ovvero
manifestamente infondati, e consentendo alla Corte di concentrarsi su quelli che invece si presentino meritevoli di un intervento nomofilattico o che all’inverso meritino un attento esame.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contribu to unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21