Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21489 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21489 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9409/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE ( -) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME GIUFFRE CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa anche disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 31/2019 depositata il 10/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 31 del 10.1.2019, ha dichiarato inammissibile per tardività l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 573/2017 del 10.2.2017.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che la sentenza di primo grado era stata notificata a mezzo pec in data 21.2.2017 mentre l’atto di appello era stato notificato il 24.3.2017 e quindi oltre il trentesimo giorno entro cui il gravame avrebbe dovuto essere proposto ai sensi dell’art. 325 c.p.c..
Inoltre, l’assunto dell’appellante secondo cui la notifica della sentenza a mezzo pec non aveva consentito l’apertura dei documenti ad essa allegati (sentenza di primo grado e relata di notifica) era rimasta mera allegazione sfornita di qualsiasi sostegno probatorio, emergendo dall’esame della pec che la stessa non presentava alcun problema in ordine alla esatta individuazione e lettura dei documenti ad essa allegati.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c.. Error in procedendo con conseguente lesione del diritto di difesa.
Espone la ricorrente di essere stata destinataria di due distinte notifiche a mezzo pec della sentenza di primo grado, una in data 21.2.2017 e l’altra in data 22.2.2017, e che l’integrale novazione della notifica avvenuta il 22 febbraio 2017 con l’avviso che la stessa doveva ritenersi perfezionata nel momento in cui il messaggio era stato inviato e reso disponibile nella casella del destinatario in pari data – non poteva che comportare per la parte notificante la rinuncia tacita a far valere in giudizio la notifica del giorno precedente ai fini del decorso del termine breve di impugnazione.
Anche ammettendo che fosse stato il legale del destinatario a domandare una nuova comunicazione della notificazione, perché non riusciva a leggerla, sarebbe stata sufficiente una semplice comunicazione di cortesia, mentre invece la RAGIONE_SOCIALE aveva rinnovato completamente l’iter di notificazione, in questo modo rinunciando a far valere in giudizio gli effetti della prima notificazione.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 11 L. n. 53/1994.
Espone la ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE, avendo effettuato due distinte notifiche a mezzo pec, aveva determinato una incertezza sulla data della notifica, configurandosi così una nullità assoluta insanabile, per aver ostacolato in maniera grave l’esercizio dei diritti costituzionali della ricorrente, con conseguente applicazione del termine lungo di impugnazione.
In alternativa si doveva aver riguardo unicamente alla notificazione avvenuta in data 22.2.2017, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost, 6 CEDU, 153 c.p.c.. Omessa concessione del beneficio della rimessione in termini. Error in procedendo ed in iudicando.
Rileva la ricorrente di aver formulato nella memoria autorizzata per l’udienza del 19.4.2018 richiesta di rimessione in termini su cui il giudice d’appello non si era pronunciato. Espone che l’incertezza ingenerata dal doppio invio della notifica costituiva un fatto che aveva gravemente inciso sulla posizione giuridica della RAGIONE_SOCIALE, con conseguente suo diritto ad essere rimessa in termini, avendo la stessa fatto incolpevole affidamento sulla piena validità della seconda notificata effettuata in data 22.2.2017.
Con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello non ha dato nessun rilievo al fatto, oggetto di ampia discussione tra le parti, dell’esistenza di una seconda notificazione della sentenza e dei suoi effetti in ordine alla decorrenza del termine breve di impugnazione. Su tale questione la Corte d’Appello non si era pronunciata rendendo una motivazione carente.
I primi quattro motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.
Va osservato che la ricorrente non si è confrontata con le ragioni della sentenza impugnata, che hanno evidenziato la ritualità della prima notificazione della sentenza di primo grado, avvenuta in data 21.2.2017. Né la ricorrente può invocare che all’esecuzione della seconda notifica della sentenza di primo grado debba attribuirsi il significato giuridico della rinuncia tacita agli effetti della prima notifica, non essendoci alcuna norma di natura processuale che consenta di pervenire ad una tale conclusione: non essendo
contestato (almeno in questa sede) che la prima notifica del 21.2.2017 fosse andata a buon fine, la stessa era pienamente idonea a determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione. Ne consegue che la seconda notifica che non può essere considerata fonte di incertezza proprio in relazione alla ritualità della prima -deve essere considerata tamquam non esset.
La ricorrente non può, peraltro, invocare l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
In primo luogo, la censura della ricorrente è completamente estranea alla fattispecie dell’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, come approfondita, nei termini illustrati dalla sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nell’elaborare la nozione di ‘fatto’, hanno quindi inteso riferirsi ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 15237 del 2022; Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 5494 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022).
Nel caso di specie, la ricorrente lamenta un’omessa attività del giudice relativa ad un fatto verificatosi nell’ambito del processo.
In ogni caso, l’effettuazione della seconda notifica non costituisce comunque un fatto decisivo, ai fini della decisione della controversia, a fronte della ritualità della prima. Né, infine, vi è stato omesso esame della richiesta di rimessione in termini, essendo evidente che la Corte d’appello, con la declaratoria di inammissibilità dell’appello per tardività, ha implicitamente rigettato tale istanza. Va, inoltre, osservato che è priva di fondamento la censura di carenza di motivazione del rigetto dell’istanza di rimessione in termini, potendo, a sua volta, questa desumersi in modo implicito dal rilievo della Corte d’Appello secondo cui la regolarità della prima notifica aveva consentito all’appellante di essere reso edotto del contenuto della sentenza di
primo grado e degli altri documenti allegati e quindi di poter esercitare adeguatamente il diritto di difesa.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli art. 91 c.p.c. , 13 DPR 115/02.
Lamenta la ricorrente che l’oggettiva incertezza ingenerata dal comportamento della RAGIONE_SOCIALE avrebbe giustificato quantomeno la compensazione delle spese di lite.
Il motivo è infondato, avendo la Corte d’Appello correttamente applicato il principio della soccombenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, così deciso il 4.6.2024