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Divisore orario e discriminazione part-time: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una società concessionaria autostradale per aver applicato un divisore orario meno favorevole a un lavoratore part-time turnista rispetto ai colleghi a tempo pieno. La sentenza ribadisce il fondamentale principio di non discriminazione part-time, secondo cui la retribuzione oraria deve essere calcolata in modo equo, indipendentemente dall’orario ridotto. La Corte ha respinto tutti i motivi di ricorso dell’azienda, inclusa l’eccezione di prescrizione, affermando che il termine decorre dalla fine del rapporto di lavoro.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Divisore Orario e Discriminazione Part-Time: La Cassazione Stabilisce la Parità di Trattamento

Il calcolo della busta paga può nascondere insidie, specialmente quando si confrontano diverse tipologie contrattuali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di discriminazione part-time, relativo all’uso di un ‘divisore orario’ differente per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai colleghi full-time. La decisione riafferma un principio cardine: la parità di trattamento economico è un diritto inviolabile che non può essere aggirato da tecnicismi contabili.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Calcolo della Retribuzione

Un dipendente di una società concessionaria autostradale, impiegato come esattore con contratto a tempo parziale verticale, si è accorto di una disparità nel calcolo della sua retribuzione oraria. L’azienda, per determinare la sua paga oraria partendo dalla retribuzione mensile, utilizzava un divisore orario (170) diverso e meno vantaggioso rispetto a quello applicato ai colleghi turnisti assunti a tempo pieno.

Questa differenza nel calcolo, seppur apparentemente minima, si traduceva in una retribuzione oraria inferiore per il lavoratore part-time, a parità di mansioni e livello di inquadramento. Ritenendo questa pratica una violazione del principio di non discriminazione, il lavoratore ha agito in giudizio per ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate nel corso degli anni (dal 2007 al 2014).

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore sul principio di fondo, riconoscendo il suo diritto a non essere penalizzato economicamente a causa del suo orario di lavoro ridotto. Sebbene i due gradi di giudizio avessero individuato divisori correttivi leggermente diversi (160 per il Tribunale e 162,33 per la Corte d’Appello), entrambi hanno condannato la società al pagamento delle differenze. Insoddisfatta, l’azienda ha portato la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione: No alla Discriminazione Part-Time

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione d’appello. Le motivazioni sono chiare e si basano su tre punti fondamentali.

1. La Prescrizione dei Crediti di Lavoro

L’azienda sosteneva che parte delle richieste del lavoratore fosse caduta in prescrizione, poiché il termine di cinque anni avrebbe dovuto decorrere in costanza di rapporto. La Cassazione, richiamando un suo consolidato orientamento (a partire dalla sentenza n. 26246/2022), ha ribadito che, a seguito delle riforme del mercato del lavoro (dal 2012 in poi), il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non gode più di quella ‘stabilità reale’ che giustificava la decorrenza della prescrizione. Di conseguenza, per tutelare il lavoratore da possibili ritorsioni, il termine di prescrizione per i crediti retributivi inizia a decorrere solo dalla data di cessazione del rapporto.

2. L’Onere della Prova

Il secondo motivo di ricorso, con cui l’azienda lamentava una presunta mancata prova della discriminazione da parte del lavoratore, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha specificato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o le prove (come le buste paga), attività che spetta ai giudici di merito. Una volta che questi hanno accertato l’esistenza di un trattamento differenziato, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella già effettuata.

3. La Violazione del Principio di Non Discriminazione

Questo è il cuore della decisione. La Corte ha affermato che il principio di non discriminazione part-time, di derivazione europea (Direttiva 97/81/CE) e recepito dalla legislazione nazionale, impone che il lavoratore part-time non riceva un trattamento meno favorevole rispetto a un lavoratore a tempo pieno ‘comparabile’. La comparabilità, precisa la Corte, va individuata esclusivamente sulla base del livello di inquadramento e della classificazione previsti dal contratto collettivo. Non possono essere utilizzati criteri alternativi, come le diverse modalità di turnazione, per giustificare un trattamento economico deteriore.

Applicare un divisore orario peggiorativo al lavoratore part-time, quindi, si traduce in un risultato discriminatorio vietato dalla legge.

Le Conclusioni: Quali Implicazioni per Lavoratori e Aziende?

L’ordinanza in esame consolida un principio di civiltà giuridica: il lavoro part-time è una modalità di esecuzione del rapporto, non una versione ‘minore’ del lavoro a tempo pieno. Le aziende devono prestare la massima attenzione ai meccanismi di calcolo della retribuzione, assicurando che i parametri utilizzati, come il divisore orario, siano applicati in modo uniforme e non creino disparità ingiustificate. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta un’importante conferma del diritto a una piena ed effettiva parità di trattamento economico, un baluardo contro ogni forma di discriminazione basata sull’orario di lavoro.

Un’azienda può usare un divisore orario diverso per calcolare la paga di un lavoratore part-time rispetto a un collega full-time?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione di un divisore orario meno favorevole al lavoratore part-time, a parità di inquadramento, costituisce una discriminazione vietata e dà diritto al lavoratore di ottenere le differenze retributive.

Da quando decorre la prescrizione per le differenze retributive in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato?
Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, a seguito delle riforme del lavoro introdotte dal 2012, il rapporto non è più considerato sufficientemente stabile. Pertanto, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro decorre dalla data di cessazione del rapporto e non mentre è ancora in corso.

Come si stabilisce se un lavoratore part-time è ‘comparabile’ a uno full-time per il divieto di discriminazione?
La comparazione deve essere effettuata unicamente sulla base dell’inquadramento nello stesso livello professionale secondo i criteri stabiliti dai contratti collettivi. Non sono rilevanti altri criteri, come le diverse modalità di organizzazione dei turni di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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