Il Divieto di Reingresso per Stranieri: Limiti e Chiarimenti dalla Cassazione
Il tema del divieto di reingresso rappresenta un aspetto cruciale del diritto dell’immigrazione, con importanti implicazioni per i diritti fondamentali delle persone. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sulla durata massima di tale divieto, stabilendo un principio di certezza del diritto a tutela dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione. Analizziamo insieme la decisione e le sue conseguenze pratiche.
I Fatti del Caso
Un cittadino straniero si è rivolto alla Suprema Corte per contestare un’ordinanza emessa dal Giudice di Pace di Lecce. Il provvedimento impugnato riguardava la disciplina applicabile al suo status in Italia, in relazione a un precedente decreto di espulsione e al conseguente divieto di fare ritorno nel territorio nazionale. La questione centrale sollevata dal ricorrente verteva sulla legittimità della durata del divieto che gli era stato imposto.
La Questione Giuridica sul Divieto di Reingresso
Il cuore della controversia era l’interpretazione della normativa sull’immigrazione, in particolare riguardo alla durata massima del divieto di reingresso. La legge stabilisce dei limiti temporali precisi per questa misura, al fine di bilanciare le esigenze di controllo dei flussi migratori con il rispetto dei diritti della persona. Il ricorrente sosteneva che il provvedimento a suo carico non rispettasse tali limiti, chiedendo alla Cassazione di pronunciarsi sulla corretta applicazione della legge.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha ribadito con fermezza un principio consolidato in materia di immigrazione. I giudici hanno affermato che il divieto di reingresso in Italia per lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può, in alcun caso, superare il termine massimo di cinque anni.
Questo limite è previsto dall’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), come modificato in attuazione della direttiva europea 115/2008/CE. La Corte ha inoltre precisato un aspetto di notevole importanza pratica: la speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno, prevista dal comma 13 dello stesso articolo, è necessaria solo qualora lo straniero intenda rientrare in Italia prima della scadenza del divieto per particolari ragioni. Di conseguenza, una volta trascorso il periodo massimo di cinque anni, il divieto cessa automaticamente di produrre i suoi effetti e lo straniero non necessita di alcuna autorizzazione per poter rientrare legalmente nel territorio dello Stato.
Le Conclusioni e l’Impatto Pratico
In conclusione, la Corte ha cassato il provvedimento del Giudice di Pace, annullandolo e rinviando la causa allo stesso ufficio giudiziario, ma in persona di un diverso magistrato. Quest’ultimo dovrà riesaminare il caso attenendosi scrupolosamente al principio di diritto enunciato dalla Cassazione, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese legali.
Questa ordinanza rafforza la certezza del diritto, confermando che il divieto di reingresso non può essere una misura a tempo indeterminato o superiore ai limiti fissati dal legislatore europeo e nazionale. Si tratta di una garanzia fondamentale per gli stranieri, che possono così sapere con esattezza quando il loro legame con il territorio italiano potrà essere ripristinato, senza essere soggetti a vincoli amministrativi non previsti dalla legge.
Qual è la durata massima del divieto di reingresso in Italia per uno straniero espulso?
La durata massima del divieto di reingresso non può superare i cinque anni, secondo quanto stabilito dall’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998.
È necessaria un’autorizzazione speciale per rientrare in Italia dopo la scadenza del divieto di reingresso?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, una volta scaduto il termine del divieto (massimo cinque anni), non è necessaria alcuna autorizzazione speciale per rientrare nel territorio dello Stato. L’autorizzazione è richiesta solo se si intende rientrare prima della scadenza del divieto.
Cosa succede se un giudice emette un provvedimento che non rispetta i limiti di durata del divieto di reingresso?
Il provvedimento è illegittimo e può essere impugnato. Come nel caso di specie, la Corte di Cassazione può annullare (cassare) la decisione e rinviare il caso al giudice di merito affinché decida nuovamente applicando correttamente la legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24243 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15031/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
PREFETTURA di LECCE
-intimata- avverso l’ ORDINANZA del GIUDICE DI PACE di LECCE n. 380/2022 depositata il 12/04/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
n tema di disciplina dell’immigrazione, il divieto di reingresso in Italia dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può superare il termine di cinque anni previsto dall’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998, come novellato dal d.l. n. 89 del 2011, conv. con modif. nella l. n. 129 del 2011, di recepimento della direttiva n. 115/2008/CE. Né, in tal caso, è necessaria la speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno, prevista dal comma 13 della menzionata disposizione per le ipotesi in cui lo straniero, per particolari ragioni, intenda fare rientro nel territorio dello Stato prima della scadenza del divieto. Con recente pronuncia ( si è altresì precisato che il
In conclusione, il motivo di ricorso va accolto nel senso precisato, il provvedimento impugnato va cassato con rinvio al Giudice di Pace di Lecce, in persona di diverso magistrato, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nel senso di cui in motivazione; cassa il provvedimento impugnato; rinvia la causa al Giudice di Pace di Lecce, in persona di diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2024