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Divieto di conversione: No a ruolo fisso nel pubblico

La Cassazione conferma il divieto di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato nel pubblico impiego. Un lavoratore forestale, assunto per anni con contratti precari, si è visto negare la stabilizzazione a causa del principio del concorso pubblico. La Corte ha ribadito che, nonostante l’abuso, la sanzione non è l’assunzione ma il risarcimento del danno, se richiesto correttamente.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Divieto di Conversione nel Pubblico Impiego: la Cassazione Chiude la Porta alla Stabilizzazione

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Anche di fronte a una reiterazione di contratti ritenuta abusiva, la Corte di Cassazione ha confermato la solidità di questo principio, ancorato alla regola costituzionale del pubblico concorso. La pronuncia ribadisce che per i precari della Pubblica Amministrazione la strada per la stabilizzazione non passa dall’aula di un tribunale, ma l’unica tutela possibile resta quella risarcitoria, a patto che sia correttamente richiesta.

Il caso: una lunga precarietà nel settore forestale

Un operaio forestale, assunto da un’amministrazione regionale con contratti a tempo determinato rinnovati ininterrottamente fin dal 1990, ha adito le vie legali per ottenere il riconoscimento del proprio diritto a un rapporto di lavoro stabile. Le sue richieste erano chiare: la conversione del contratto in uno a tempo indeterminato, il risarcimento dei danni per l’abuso subito a causa della continua precarietà e il pagamento degli scatti di anzianità, al pari dei colleghi assunti a tempo indeterminato.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le domande del lavoratore. I giudici hanno ritenuto che la conversione del rapporto fosse preclusa dalla normativa vigente sul pubblico impiego, che impone il superamento di un concorso pubblico come via maestra per l’assunzione a tempo indeterminato. Di conseguenza, sono state respinte anche le richieste di risarcimento e di pagamento degli scatti di anzianità, poiché ritenute infondate. In particolare, la pretesa sugli scatti è stata negata sulla base della non comparabilità tra la categoria degli operai (a cui apparteneva il ricorrente) e quella degli impiegati.

L’analisi della Corte di Cassazione e il divieto di conversione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato integralmente la decisione dei giudici d’appello, rigettando il ricorso del lavoratore. La Suprema Corte ha articolato il suo ragionamento su diversi punti chiave, ribadendo principi consolidati in materia.

Il fulcro della decisione risiede nell’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001, che sancisce un vero e proprio divieto di conversione per i contratti a termine nel settore pubblico. La ratio di questa norma, spiegano i giudici, non è solo quella di garantire il rispetto della regola del pubblico concorso, ma anche di assicurare il buon andamento, l’efficienza e la razionalizzazione della spesa pubblica. Permettere una stabilizzazione ‘automatica’ pregiudicherebbe la programmazione del fabbisogno di personale e l’economicità della Pubblica Amministrazione. Questo divieto, sottolinea la Corte, è assoluto e non soffre eccezioni, applicandosi anche quando l’assunzione non avviene tramite concorso ma attraverso le liste di collocamento.

Discriminazione e scatti di anzianità: due categorie non paragonabili

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta discriminazione subita dal lavoratore per il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità, previsti per i dipendenti a tempo indeterminato. Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto al lavoratore. La Corte d’Appello aveva stabilito che le categorie degli operai (addetti a mansioni manuali ed esecutive) e degli impiegati (con mansioni d’ordine e di concetto) sono ‘ontologicamente distinte’ e quindi non comparabili ai fini di un giudizio di discriminazione. Il ricorrente, secondo la Cassazione, non ha adeguatamente contestato questo specifico passaggio della motivazione, rendendo il suo motivo di ricorso inammissibile.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la propria decisione basandosi su un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. Il principio del pubblico concorso (art. 97 della Costituzione) è un cardine dell’ordinamento che non può essere derogato attraverso la trasformazione di rapporti di lavoro precari in rapporti stabili. Questa regola è stata ritenuta compatibile anche con il diritto dell’Unione Europea (Direttiva 1999/70/CE), poiché l’ordinamento italiano prevede una misura sanzionatoria alternativa ed efficace contro l’abuso dei contratti a termine: il risarcimento del danno. Nel caso specifico, tuttavia, la domanda risarcitoria non era stata correttamente formulata in primo grado, precludendone l’esame nei gradi successivi. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, sia per vizi di formulazione sia perché le censure mosse non rientravano tra quelle esaminabili in sede di legittimità, come nel caso della critica alla gestione delle spese di lite, che è un potere discrezionale del giudice di merito.

Conclusioni

L’ordinanza conferma che la strada per la stabilizzazione nel pubblico impiego resta quella del concorso. La tutela per i lavoratori precari vittime di abusi da parte della Pubblica Amministrazione si concretizza esclusivamente nel diritto al risarcimento del danno, che deve però essere richiesto in modo tempestivo e corretto. La decisione serve da monito: la violazione delle norme sui contratti a termine da parte della P.A. non produce la ‘sanzione’ dell’assunzione a tempo indeterminato. Resta ferma, inoltre, la difficoltà di dimostrare una discriminazione retributiva quando si appartiene a categorie professionali ritenute non omogenee dal punto di vista delle mansioni svolte.

È possibile trasformare un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione se c’è stato un abuso?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che vige un divieto assoluto di conversione del contratto (art. 36 D.Lgs. 165/2001), fondato sul principio costituzionale del pubblico concorso e sulle esigenze di buon andamento ed efficienza della P.A. L’unica tutela prevista è il risarcimento del danno.

Un lavoratore pubblico precario ha diritto agli stessi scatti di anzianità di un dipendente a tempo indeterminato?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha confermato la decisione di merito che negava tale diritto, ritenendo non comparabili le categorie professionali degli operai (a cui apparteneva il ricorrente) e degli impiegati. Una richiesta di parità di trattamento richiede che le situazioni messe a confronto siano identiche o quantomeno assimilabili.

Quale rimedio ha un lavoratore pubblico in caso di reiterazione abusiva di contratti a termine?
Il rimedio previsto dall’ordinamento non è la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, ma il risarcimento del danno. Questa misura è considerata una sanzione adeguata ed effettiva, conforme al diritto dell’Unione Europea, per punire l’abuso da parte della Pubblica Amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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