Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30646 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30646 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6873-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonchè contro
Oggetto
Qualificazione rapporto privato -appaltodistacco di lavoratori intergruppo
R.G.N. 6873/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/10/2024
CC
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME NOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2199/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/08/2019 R.G.N. 4949/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto le domande giudiziali con cui NOME COGNOME, unitamente ad altri originari litisconsorti, premesso di avere lavorato, in posizione di distacco da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE, dal 2010 al 15.4.2013 con mansioni di operatrice di call-center e di back office nell’ambito dell’appalto conferito da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’attività di prima accoglienza e rilevazione delle problematiche informatiche dei clienti RAGIONE_SOCIALE, aveva richiesto, in via principale, l’ accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con RAGIONE_SOCIALE dall’1.10.2010, deducendo l’illegittimità dell’appalto, con riammissione in servizio, inquadramento secondo il CCNL lavoratori del settore elettrico, condanna al pagamento delle retribuzioni maturate, o, in via subordinata, l’ accertamento
della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con RAGIONE_SOCIALE, deducendo l’illegittimità del distacco, con riammissione in servizio e condanna al pagamento delle retribuzioni maturate;
2. la Corte distrettuale, in particolare, osservava, quanto alla domanda principale, che l’appalto risultava in fatto lecito (genuino), ai sensi dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003 , e non di mera manodopera, stante l’accertamento della presenza, in capo all’appaltatore NOME, dei requisiti di legittimità dell’organizzazione di mezzi, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, della gestione a proprio rischio dell’attività d’impresa (esaminati l’oggetto del contratto, la prestazione lavorativa ritenuta coerente con la commessa, il livello di interazione con il personale RAGIONE_SOCIALE realizzato tramite i supervisori RAGIONE_SOCIALE); osservava, quanto alla domanda subordinata, che l’interesse del datore di lavoro distaccante, quale requisito di legittimità della dissociazione tra il datore di lavoro e il beneficiario della prestazione lavorativa ai sensi dell’art. 30 d. lgs. n. 276/2003, era in concreto da ravvisare nel comune interesse di distaccante e distaccatario, quali componenti del medesimo gruppo di imprese, alla realizzazione degli interessi economici del gruppo;
3. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre la lavoratrice con 2 motivi; resistono con controricorso le società committente e appaltatrice; tutte le parti hanno depositato memoria per l’odierna udienza; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 20-29 del d.lgs. n. 276/2003, 1362 c.c., 115, 116 e 434 c.p.c., nonché omessa pronuncia sulla domanda di nullità della sentenza; sostiene che la Corte di merito ha violato le disposizioni normative pertinenti nell’accertamento della genuinità dell’appalto e ha erroneamente interpretato le norme e i documenti contrattuali; falsa applicazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003; sostiene che la Corte di merito ha errato nel ritenere che il distacco dei lavoratori possa essere giustificato dall’interesse di gruppo delle
2. con il secondo motivo, deduce violazione e imprese;
il primo motivo non è fondato;
4. va ricordata l’inammissibilità di censure in questa sede che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirino in realtà ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019), rivalutazione di questioni di fatto in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo o terzo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata) o valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 20814/2018, n. 21640/2023, n. 21296/2024, n.21353/2024), tanto più in una situazione processuale, quale quella in esame, di pronuncia di
merito cd. doppia conforme (v., in proposito, di recente, Cass. n. 21487/2024);
la sentenza gravata, ricostruiti i fatti e valutate congruamente le risultanze istruttorie pertinenti e qui non rivisitabili, è conforme in diritto alla giurisprudenza di questa Corte (espressamente richiamata in motivazione), secondo la quale il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, né una assunzione di rischio economico con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo; peraltro, in tema di appalto avente ad oggetto prestazioni lavorative, il requisito della ” organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore “, previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, può essere individuato, in presenza di particolari esigenze dell’opera o del servizio, anche nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. n. 27213/2018, n. 30694/2018, n. 15557/2019);
neppure risulta fondato il secondo motivo;
la giurisprudenza di questa Corte, già nella vigenza della precedente normativa in materia, aveva chiarito che l’accertamento della sussistenza degli elementi di fatto idonei a
configurare come comando o distacco, anziché come pseudoappalto vietato dall’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, la prestazione lavorativa in favore di soggetto diverso dal datore di lavoro, è riservato al giudice del merito, ed è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi (Cass. n. 16165/2004, n. 9694/2009);
8. è stato quindi specificato che, in caso di distacco di un lavoratore presso una società inserita nel medesimo gruppo di imprese, sussiste uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante a contribuire alla realizzazione di una struttura organizzativa comune, in coerenza con gli obiettivi di maggiore funzionalità del raggruppamento, sicché, pur in un contesto di diversa soggettività giuridica, va esclusa la violazione del divieto di interposizione di manodopera di cui all’art. 1 della l. n. 1369 del 1960, ratione temporis applicabile, in linea con l’evoluzione normativa dell’istituto di cui al comma 4-ter dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, introdotto dal d.l. n. 76 del 2013, conv. con modif. dalla legge n. 99 del 2013. (Cass. n. 8068/2016);
9. con l’art. 30, comma 1, d. lgs. n. 276 del 2003, il legislatore ha posto tra i requisiti di legittimità del distacco, configurabile ‘ quando un datore di lavoro, , pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa ‘, l’esigenza datoriale di ‘ soddisfare un proprio interesse ‘, in continuità con la consolidata impostazione secondo cui il distacco deve realizzare uno specifico interesse datoriale che consenta di qualificarlo come atto organizzativo dell’imprenditore che lo dispone nel proprio interesse e che, così facendo, determina non una novazione soggettiva ma una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del lavoratore distaccato; l’interesse al distacco può
essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, ma di tipo solidaristico, purché non si risolva in una mera somministrazione di lavoro altrui (Cass. n. 18959/2020); nell’ipotesi di gruppo di imprese, pur nel contesto di una distinta soggettività giuridica, ciascuna componente del gruppo di imprese è titolare dell’interesse a concorrere, anche mediante il distacco di propri dipendenti, alla realizzazione di comuni strutture produttive e organizzative, che si pongano in un rapporto di coerenza con gli obiettivi di efficienza e di funzionalità del gruppo stesso e con il dato unificante di una convergenza di interessi economici, anche intesa come progetto di riduzione attuale o potenziale dei costi di gestione, atteso che l’interesse del soggetto distaccante non può essere separato da quello del raggruppamento di cui il soggetto stesso è parte economicamente integrata e risulta anzi direttamente connesso e funzionale all’attuazione di quest’ultimo (cfr. Cass. n. 21806/2024, in motivazione, § 2);
a tale indirizzo si è conformata la sentenza impugnata che, pertanto, si sottrae alle censure di parte ricorrente sul punto;
le spese del presente giudizio di legittimità seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi,
spese generali al 15%, accessori di legge, in favore di ciascuna controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 24 ottobre 2024.