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Distacco del personale: no a parità di stipendio

Un dipendente pubblico, precedentemente in distacco presso un ente poi privatizzato, ha richiesto il mantenimento del trattamento economico superiore una volta rientrato nell’amministrazione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che il diritto alla riammissione e all’equiparazione economica è riservato solo al personale effettivamente trasferito e non a chi, tramite il distacco del personale, ha mantenuto il rapporto di lavoro con l’ente di origine.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Distacco del personale e privatizzazioni: la Cassazione chiarisce i diritti economici

Il distacco del personale da un ente pubblico a uno privato è una situazione complessa che solleva interrogativi sui diritti economici del lavoratore al momento del suo rientro nell’amministrazione di origine. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un caso emblematico, stabilendo che il lavoratore distaccato non ha diritto a vedersi riconosciuto il trattamento economico, più favorevole, percepito presso l’ente privato.

I Fatti del Caso: Dal Pubblico al Privato e Ritorno

La vicenda riguarda un dipendente di un’amministrazione autonoma dello Stato, inserito in un ruolo provvisorio ad esaurimento presso il Ministero dell’Economia. Questo dipendente era stato inizialmente distaccato presso l’Ente Tabacchi, successivamente trasformatosi in società per azioni e infine incorporato in una grande multinazionale del settore. Concluso il periodo di distacco, il lavoratore è stato ricollocato nei ruoli del Ministero e trasferito presso l’Agenzia delle Dogane.
Ritenendo di averne diritto, il dipendente ha avviato un’azione legale per ottenere il riconoscimento, da parte dell’ente di destinazione finale, del trattamento economico di cui godeva presso la società privata. La sua domanda è stata respinta sia in primo grado che in appello.

La Questione Giuridica: Distacco del Personale o Trasferimento?

Il fulcro della controversia legale risiedeva nella distinzione tra “distacco” e “trasferimento”. Il ricorrente sosteneva di essere stato di fatto trasferito, e non semplicemente distaccato, chiedendo l’applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 283/1998. Questa norma prevede, per il personale trasferito a seguito di privatizzazioni, il diritto a essere riammesso nei ruoli dell’amministrazione finanziaria con il riconoscimento della posizione economica che avrebbe conseguito se non fosse mai transitato nell’ente privatizzato.
Le amministrazioni convenute, invece, hanno sempre sostenuto che si trattasse di un mero distacco, una condizione che non interrompe il rapporto di lavoro con l’ente di origine e, pertanto, non dà diritto a tali tutele.

La Decisione della Cassazione sul distacco del personale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. La decisione si basa su due argomentazioni principali.

L’inammissibilità del primo motivo: la “doppia conforme”

In primo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile la censura relativa all’omesso esame dei fatti. I giudici hanno applicato il principio della “doppia conforme”, secondo cui non è possibile contestare in Cassazione l’accertamento dei fatti se due sentenze di merito (in questo caso, Tribunale e Corte d’Appello) sono giunte alla medesima conclusione. Il lavoratore non è riuscito a dimostrare che le motivazioni delle due sentenze fossero sostanzialmente diverse.

L’infondatezza del secondo motivo: la ratio della norma

Nel merito, la Cassazione ha chiarito che l’art. 4 del D.Lgs. n. 283/1998 è stato concepito per un fine specifico: tutelare il personale effettivamente trasferito e divenuto dipendente di un soggetto privato, offrendo una via di rientro nella Pubblica Amministrazione qualora si trovasse in esubero e a rischio di licenziamento collettivo. La norma, quindi, non si applica a chi, come il ricorrente, era solo distaccato. Il distacco, infatti, non comporta la cessazione del rapporto di lavoro con l’amministrazione di provenienza, che rimane l’unico datore di lavoro.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il rapporto di lavoro del ricorrente con l’amministrazione pubblica non si è mai interrotto. L’inserimento in un ruolo provvisorio ad esaurimento del Ministero, pur essendo stato distaccato presso l’ente poi privatizzato, conferma che egli non è mai diventato un dipendente di ruolo della società privata. Di conseguenza, non poteva beneficiare di una norma creata per proteggere da un rischio (il licenziamento collettivo) che non ha mai corso, essendo sempre rimasto un dipendente pubblico. La finalità della legge è garantire una rete di sicurezza per i lavoratori transitati al settore privato, non di permettere un’equiparazione economica per chi ha svolto solo un servizio temporaneo altrove.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: la netta distinzione tra l’istituto del distacco e quello del trasferimento. Il distacco del personale non modifica la natura del rapporto di impiego originario. Pertanto, un dipendente pubblico non può pretendere, al suo rientro, il trattamento economico più vantaggioso goduto durante il periodo di distacco presso un ente privato. La sentenza consolida un orientamento volto a tutelare l’equilibrio dei conti pubblici, evitando che assegnazioni temporanee si trasformino in automatismi retributivi non previsti dalla legge.

Un dipendente pubblico in distacco presso un’azienda privata ha diritto a mantenere il trattamento economico più favorevole al suo rientro nell’amministrazione pubblica?
No. La Corte ha stabilito che il dipendente in distacco non ha diritto all’equiparazione del trattamento economico, poiché il suo rapporto di lavoro originario con la pubblica amministrazione non è mai cessato. Le norme invocate si applicano solo al personale effettivamente trasferito.

Qual è la differenza tra “distacco” e “trasferimento” di un dipendente secondo questa ordinanza?
Il “distacco” è una situazione temporanea in cui il dipendente lavora per un altro ente ma rimane formalmente alle dipendenze dell’amministrazione di origine. Il “trasferimento” comporta invece la cessazione del rapporto di lavoro con l’ente di origine e la costituzione di un nuovo rapporto con l’ente di destinazione.

Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso sull’errata valutazione dei fatti (se era distacco o trasferimento)?
Perché vigeva il principio della “doppia conforme”. Dato che sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano concordato sulla qualificazione del rapporto come distacco e non trasferimento, il ricorrente non poteva contestare nuovamente l’accertamento dei fatti in Cassazione, a meno di non dimostrare una radicale diversità nelle motivazioni delle due sentenze, cosa che non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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