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Disdetta accordo aziendale: limiti e buona fede

La Corte di Cassazione interviene sul tema della disdetta di un accordo aziendale a tempo indeterminato. Un’azienda di trasporti aveva revocato accordi che prevedevano un orario di 36 ore settimanali, ripristinando le 39 ore del contratto nazionale senza adeguamento retributivo. Successivamente, aveva proposto un nuovo accordo, reintroducendo alcuni benefici solo per i lavoratori che avessero rinunciato alle azioni legali. La Corte d’Appello aveva ritenuto la disdetta illegittima per violazione della buona fede, basandosi su questa condotta successiva. La Cassazione ha cassato la sentenza, stabilendo che la legittimità della disdetta va valutata al momento in cui viene posta in essere, non sulla base di eventi posteriori. L’analisi della buona fede non può derivare da un accordo sindacale stipulato mesi dopo, ma deve concentrarsi sulle circostanze coeve alla revoca stessa.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Disdetta Accordo Aziendale: La Cassazione sui Limiti della Buona Fede

La disdetta di un accordo aziendale a tempo indeterminato rappresenta una facoltà legittima per il datore di lavoro, ma il suo esercizio è vincolato al rispetto di precisi limiti, tra cui il principio di buona fede. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiave di lettura su come valutare la correttezza della condotta datoriale, specificando che l’analisi non può basarsi su eventi successivi alla disdetta stessa.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla decisione di un’importante azienda di trasporti di recedere unilateralmente da alcuni accordi aziendali pregressi, che garantivano ai dipendenti condizioni di miglior favore, tra cui un orario di lavoro di 36 ore settimanali. A seguito della disdetta, l’azienda ha ripristinato l’orario di lavoro di 39 ore settimanali previsto dal contratto collettivo nazionale, senza però concedere un corrispondente aumento della retribuzione.

Successivamente, l’azienda ha sottoscritto un nuovo accordo con le principali organizzazioni sindacali. Tale accordo prevedeva la reintroduzione parziale e progressiva di alcuni degli emolumenti precedentemente eliminati, ma ne condizionava l’applicazione a una clausola specifica: i lavoratori avrebbero dovuto rinunciare alle azioni legali nel frattempo intraprese per contestare la legittimità della disdetta. I lavoratori che non hanno aderito a tale accordo si sono rivolti al giudice per far valere i propri diritti.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità della revoca, ritenendola contraria al principio di buona fede. Il giudizio dei magistrati si era basato proprio sulla condotta successiva dell’azienda, ovvero la reintroduzione selettiva dei benefici, interpretata come una manovra per penalizzare i lavoratori non disposti a rinunciare alle loro pretese.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’azienda, cassando con rinvio la sentenza d’appello. Secondo gli Ermellini, i giudici di merito hanno commesso un errore di diritto nel valutare la legittimità della disdetta. La Corte ha chiarito che il recesso unilaterale da un accordo collettivo aziendale a tempo indeterminato è un atto di per sé legittimo, a patto che non violi i diritti quesiti dei lavoratori e rispetti i canoni di buona fede e correttezza.

Il punto cruciale della decisione risiede nel perimetro temporale dell’analisi. La valutazione della contrarietà a buona fede deve essere condotta con riferimento al momento in cui la disdetta è stata comunicata e ha prodotto i suoi effetti, non sulla base di fatti ed eventi successivi.

Le Motivazioni: la disdetta accordo aziendale e il principio di buona fede

Nelle motivazioni, la Cassazione ribadisce un orientamento consolidato: un contratto collettivo senza termine di efficacia non può vincolare le parti in eterno. Il recesso unilaterale è lo strumento ordinario per porre fine a un rapporto di durata. Tuttavia, tale facoltà deve essere esercitata correttamente.

L’errore della Corte d’Appello è stato quello di derivare l’illegittimità della disdetta, risalente all’agosto 2014, da un comportamento successivo, ovvero la stipula dell’accordo sindacale del febbraio 2015. Secondo la Cassazione, la condotta datoriale successiva (la reintroduzione selettiva dei benefici) non può essere utilizzata per giudicare, ex post, la legittimità di un atto precedente. La valutazione sulla buona fede della disdetta dell’accordo aziendale doveva concentrarsi unicamente sulle circostanze esistenti al momento della revoca stessa, senza ipotizzare una preordinazione datoriale volta a creare un trattamento differenziato, cosa che non era stata provata.

Inoltre, la Corte ha rilevato un vizio di ultrapetizione nella sentenza d’appello, poiché i giudici avevano imposto l’applicazione generalizzata del nuovo accordo del 2015 a tutti i lavoratori, inclusi quelli che non lo avevano richiesto e che, anzi, ne contestavano la validità, chiedendo il mero ripristino delle condizioni precedenti.

Conclusioni

La pronuncia stabilisce un principio fondamentale per la gestione dei rapporti sindacali e contrattuali in azienda. La legittimità della disdetta di un accordo aziendale deve essere valutata in modo autonomo e contestualizzato al momento in cui avviene. La condotta successiva del datore di lavoro, pur potendo essere oggetto di una autonoma valutazione di legittimità, non può invalidare retroattivamente un recesso che, al momento della sua attuazione, rispettava i requisiti di legge. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi a questo principio, valutando se, al momento della revoca, sussistessero elementi per ritenerla contraria a buona fede, a prescindere da ciò che è accaduto mesi dopo.

Un datore di lavoro può recedere unilateralmente da un accordo aziendale a tempo indeterminato?
Sì, la giurisprudenza costante ammette che un contratto collettivo senza predeterminazione di un termine di efficacia possa essere oggetto di recesso unilaterale. Questo perché non può vincolare per sempre le parti, dovendosi adattare all’evoluzione della realtà socio-economica. Tale recesso è considerato una causa estintiva ordinaria.

Come va valutata la buona fede del datore di lavoro nella disdetta di un accordo aziendale?
La valutazione della buona fede deve essere effettuata analizzando la condotta datoriale al momento in cui la disdetta viene posta in essere. Secondo la Corte, è un errore giuridico basare tale giudizio su eventi successivi, come la stipulazione di un nuovo accordo a distanza di mesi, a meno che non si provi una preordinazione della condotta fin dal principio.

La reintroduzione selettiva dei benefici, condizionata alla rinuncia ad un’azione legale, rende illegittima la precedente disdetta?
No, secondo la Corte di Cassazione, questo comportamento successivo non rende di per sé illegittima la precedente disdetta. La legittimità della disdetta e la legittimità dell’accordo successivo sono questioni distinte che vanno valutate separatamente. La condotta successiva non può essere usata per determinare retroattivamente la contrarietà a buona fede dell’atto di recesso iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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