Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23395 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23395 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
Oggetto
Progressione di carriera ai sensi della contrattazione collettiva -divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale
R.G.N.20305/2021
ORDINANZA
sul ricorso 20305-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
COGNOME
Rep.
Ud 10/06/2025
CC
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
contro
ricorrente – ricorrente incidentale -nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 26/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/02/2021 R.G.N. 3979/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
1. nell’ambito di complesso contenzioso che oppone NOME COGNOME e la RAI, iniziato con ricorso depositato dalla prima in data 8.1.2013, avente ad oggetto accertamento della natura subordinata di rapporto di lavoro di annunciatrice televisiva, impugnativa di recesso, inquadramento, spettanze retributive, indennità di maternità, già pervenuto a questa Corte, quanto alle domande separate circa (la qualificazione e) il ripristino del rapporto, pronunciatasi con sentenza n. 21979/2016 (cassazione con rinvio), ordinanza n. 1381/2019 (seconda cassazione con rinvio), ordinanza n. 115765/2023 (inammissibilità del ricorso principale della RAI, rigetto dei primi due motivi di ricorso incidentale della lavoratrice e assorbimento degli altri), alle quali si rinvia, per quanto qui rileva la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello della RAI, dichiarava il diritto di NOME COGNOME all’inquadramento nel 5° livello, con il connesso diritto al trattamento previsto per il 6° livello per il primo anno di lavoro (1.9.2003 -31.8.2004) e per il 5° livello per tutto il periodo successivo;
2. a vverso la sentenza d’appello ricorre per cassazione NOME COGNOME con 5 motivi, cui resiste la società con controricorso, contenente ricorso incidentale con un motivo, cui resiste con controricorso al ricorso incidentale la ricorrente principale; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. parte ricorrente censura la sentenza impugnata, con il primo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione dell’ art. 4 d. lgs. n. 61/2000, sostenendo errata determinazione del livello inquadramentale spettante, in contrasto con il principio di non discriminazione, alla stregua del quale il lavoratore in regime di tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno;
2. con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., con riferimento alle disposizioni della contrattazione collettiva 8/6/2000, sostenendo erronea esclusione, in punto di determinazione del livello inquadramentale spettante, dell’applicazione dello sviluppo di carriera e quindi dei comp orti contrattuali, ed errata interpretazione della disciplina pattizia di cui alla contrattazione collettiva per i dipendenti RAI;
3. con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione delle disposizioni della contrattazione collettiva 8/6/2000 in punto di assegnazione di livello dei laureati e dei diplomati;
4. con il quarto motivo (art. 360, n. 4, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 112 e 132 c.p.c., sostenendo errata determinazione del trattamento economico spettante, in contrasto con altri capi della medesima sentenza dai quali esulava tale aspetto dell’oggetto del giudizio;
5. con il quinto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione dell’ art. 2077 c.c., sostenendo errata determinazione del trattamento economico spettante, in
contrasto con i principi del trattamento economico di miglior favore e di irriducibilità della retribuzione;
6. con il motivo di ricorso incidentale per la cassazione parziale della sentenza impugnata, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2099 c.c., 4, comma 2, lett. b), d. lgs. n.61/2000, 7, comma 2, d. lgs. 81/2015, 9, comma 5 CCL RAI 2004-2007, 2033 c.c., per avere la Corte territoriale errato, pur avendo accolto la domanda della società attinente al riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo parziale, nel non aver riparametrato la retribuzione e accolto la richiesta di restituzione dei maggiori importi percepiti;
i motivi primo e secondo del ricorso principale, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione;
8. la Corte territoriale ha così motivato la riforma della sentenza di primo grado (che aveva invece accertato ai soli fini delle differenze retributive il diritto dell’odierna ricorrente all’inquadramento ne i livelli fino al 3°, secondo le scansioni biennali di cui al CCL) in punto di inquadramento : ‘ Secondo massime di comune esperienza, proprie della piattaforme rivendicative tipiche dei rinnovi della contrattazione collettiva, deve ritenersi effettivamente che le parti sociali abbiano previsto questo sviluppo in funzione del tempo pieno, quale regime orario che consente certamente di acquisire -via via nel tempo -una maggiore professionalità rispetto ad un part time esiguo, di appena 12 ore settimanali (pari a 48 ore mensili), come quello della COGNOME. Peraltro, sul punto la difesa della lavoratrice si limita a sostenere che il contratto collettivo RAI non condiziona lo sviluppo di carriera alla maggiore o minore durata della prestazione lavorativa (v. memoria difensiva, p.
35). Ma ciò rappresenta un dato ‘neutro’, ossia non significativo. Anzi questo silenzio costituisce proprio la peculiarità del problema ermeneutico in esame ‘ (§ 2.5 della sentenza impugnata);
la suddetta interpretazione del CCL non è condivisibile da parte del Collegio, perché contraria al principio non discriminazione;
10. sotto un primo profilo, è stato di recente osservato (Cass. n. 4313/2024) che costituisce discriminazione indiretta, ai sensi dell’art. 25, comma 2, d. lgs. n. 198 del 2006, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che, pur non illecito o intrinsecamente discriminatorio, metta, di fatto, i lavoratori di un determinato sesso in posizione di particolare svantaggio rispetto a quelli dell’altro, rilevando, ai fini dell’applicazione della norma citata, il solo effetto discriminatorio finale sul piano della realtà sociale (nella specie, la S.C. ha affermato, in ragione dell’accertata preponderanza statistica delle donne tra i lavoratori in part-time, che costituisce discriminazione indiretta ai fini delle progressioni economiche orizzontali, l’attribuzione di un punteggio ridotto ai lavoratori a tempo parziale, rispetto a quelli a tempo pieno);
11. in generale, questa Corte ha chiarito (Cass. n. 8966/2018, n. 17726/2011) che, in tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione, di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 61 del 2000, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale, comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, che va individuato esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui
all’articolo 1, comma 3, dello stesso decreto, senza che possano valere criteri alternativi di comparazione;
12. invero, tale lettura dell’operatività del principio di non discriminazione per i lavoratori a tempo parziale (anche in relazione alla normativa di cui all’art. 7, d.lgs. n. 81/2015 attualmente vigente) è stata confermata dalla Corte di Giustizia UE (sentenza 19.10.2023, in causa C-660/20), in controversia concernente l’interpretazione della clausola 4, punti 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura in allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 19 97, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES;
13. ricordate le norme sul «Campo di applicazione» e sulle «Definizioni», la Corte di Lussemburgo in tale pronuncia ha sottolineato che: ‘ La clausola 4 dell’accordo quadro in parola, intitolata «Principio di non discriminazione», ai punti da 1 a 3, così prevede: «1. Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. 2. Dove opportuno, si applica il principio ‘pro rata temporis’. 3. Le modalità di applicazione della presente clausola sono definite dagli Stati membri e/o dalle parti sociali, tenuto conto della legislazione europea e delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali» .
14. segnatamente, la Corte UE evidenzia che: ‘ 36. ( … ) ai fini dell’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro, occorre ricordare che quest’ultimo mira, da un lato, a promuovere il lavoro a tempo parziale e, dall’altro, a eliminare
le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno (sentenza del 5 maggio 2022, RAGIONE_SOCIALE e a., C-265/20, EU:C:2022:361, punto 41 e giurisprudenza citata). 37. Il divieto di discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non è che l’espressione specifica del principio generale di uguaglianza che rientra nei principi fondamentali del diritto dell’Unione (sentenza del 5 maggio 2022, RAGIONE_SOCIALE e a., C-265/20, EU:C:2022:361, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). 38. Alla luce di tali obiettivi, detta clausola dev’essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (sentenza del 7 luglio 2022, Zone de secours Hainaut-Centre, C-377/21, EU:C:2022:530, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 39. Conformemente all’obiettivo di eliminare le discriminazioni tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno, detta clausola osta, per quanto riguarda le condizioni di impiego, a che i lavoratori a tempo parziale, per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, siano trattati in modo «meno favorevole» rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive (sentenza del 5 maggio 2022, Universiteit Antwerpen e a., C-265/20, EU:C:2022:361, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 40. Inoltre, la Corte ha dichiarato che tale disposizione mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti che sono riconosciuti ai lavoratori a tempo pieno (v., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2020, COGNOME, C-177/18, EU:C:2020:26, punto 35 e
giurisprudenza ivi citata) (…). 53. La remunerazione dei lavoratori a tempo parziale dev’essere equivalente a quella dei lavoratori a tempo pieno, fatta salva l’applicazione del principio pro-rata temporis enunciato alla clausola 4, punto 2, dell’accordo q uadro (sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C-395/08 e C-396/08, EU:C:2010:329, punto 64) ‘;
15. ora, la progressione di carriera come fissata dalla contrattazione collettiva rientra nelle condizioni di impiego rilevanti ai fini dell’applicazione del principio di non discriminazione, e si pone in contrasto con il suddetto principio, di derivazione europea e recepito nella normativa nazionale, un’interpretazione della contrattazione collettiva applicabile al rapporto che, ai fini delle progressioni automatiche di inquadramento, tratti in modo meno favorevole i lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno, per il solo fatto del regime orario, a parte il riproporzionamento della retribuzione rispetto al regime orario effettuato;
16. siccome il principio non discriminazione non va interpretato in modo restrittivo, potrebbe eventualmente rilevare la previsione di un meccanismo assimilabile al pro-rata da parte del CCL (cfr. Cass. n. 11865/2024), che, in ogni caso, dovrebbe essere espressa in sede collettiva, ipotesi (astratta) del tutto carente nel caso in esame;
17. la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata per violazione del principio di non discriminazione quanto alla determinazione del livello di inquadramento spettante (e alle correlate differenze retributive), atteso che il CCL prevede, dopo un biennio di inquadramento nel livello 5°, il passaggio al livello 4° e, dopo un ulteriore biennio, al livello 3° (come affermato in primo grado), e ciò vale per tutti i dipendenti
interessati, indipendentemente dall’impiego a tempo pieno o a tempo parziale;
rimangono assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale;
il ricorso incidentale non è fondato;
20. secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 46/2017, n. 5552/2011), nell’ipotesi in cui un rapporto di lavoro qualificato come autonomo sia convertito, ope iudicis , in subordinato, poiché il diritto del lavoratore alla retribuzione trae origine esclusivamente dalla previsione del CCNL in relazione al livello riconosciuto, deve trovare applicazione il solo criterio dell’assorbimento, salvo che per il TFR che matura alla cessazione del rapporto, senza che sia concepibile un controllo sui differenti ti toli, sicché va escluso il diritto ad un’applicazione cumulativa dei benefici previsti dal contratto individuale e da quello collettivo; ove si accerti che il compenso pattuito dalle parti sia superiore a quello minimo previsto dal contratto collettivo, il datore di lavoro, cui non è impedito di erogare un trattamento più favorevole, potrà ottenerne la restituzione solo ove dimostri che la maggiore retribuzione sia stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente ex artt. 1429 e 1431 c.c.;
21. nel caso in esame, conformemente a tali principi, in mancanza di dimostrazione di errore essenziale sulla determinazione della maggior retribuzione, anzi in fatto giudicata collegata a scelta aziendale peculiare per compensare la parte di prestazione lavor ativa legata all’immagine dell’annunciatrice, la Corte distrettuale ha efficacemente sottolineato (§ 2.3 della sentenza impugnata) che: ‘ Nel caso prospettato è del tutto libera la scelta del datore di lavoro di concludere un contratto formalmente autonomo con un
determinato compenso elevato e poi darne un’esecuzione diversa, conforme al diverso modello della subordinazione, con assunzione del rischio di un’eventuale azione giudiziaria di accertamento della reale natura giuridica del rapporto di lavoro così eseguito. Una tale evenienza imputet sibi e non si ravvisa alcun profilo di discriminatorietà rispetto ad altre situazioni ‘;
22. in conclusione, in accoglimento dei motivi primo e secondo del ricorso principale, assorbiti gli altri, rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, per riesaminare la domanda di inquadramento della lavoratrice con osservanza del seguente principio di diritto: ‘ La progressione di carriera come fissata dalla contrattazione collettiva rientra nelle condizioni di impiego rilevanti ai fini dell’applicazione del principio di non discriminazione; la contrattazione collettiva applicabile al rapporto, anche ai fini delle progressioni automatiche di inquadramento, deve essere interpretata nel rispetto di tale principio, che vieta, anche per tale aspetto, il trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno, per il solo fatto del regime orario di impiego ‘;
23. alla Corte di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese di lite, incluse quelle relative al giudizio di legittimità;
24. al rigetto dell’impugnazione incidentale consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 10 giugno 2025.