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Discriminazione part-time: no a carriera più lenta

La Corte di Cassazione ha stabilito che negare a una lavoratrice part-time la stessa progressione di carriera prevista per i colleghi a tempo pieno costituisce una forma di discriminazione part-time. La sentenza analizzata chiarisce che la progressione di carriera rientra tra le “condizioni di impiego” tutelate dal principio di non discriminazione di derivazione europea. Di conseguenza, un’interpretazione del contratto collettivo che escluda i lavoratori part-time dagli avanzamenti di livello automatici, basandosi sulla presunzione di una minore professionalità acquisita, è illegittima. La Corte ha cassato la decisione precedente, affermando il diritto della lavoratrice al corretto inquadramento e alle relative differenze retributive.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Discriminazione Part-Time: La Cassazione tutela la Carriera

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: la discriminazione part-time e il suo impatto sulla progressione di carriera. Con una decisione che rafforza le tutele per milioni di lavoratori, i giudici hanno stabilito che escludere un dipendente a tempo parziale dagli automatismi di carriera previsti per i colleghi a tempo pieno è illegittimo. Questo principio si basa sul divieto di trattare in modo meno favorevole i lavoratori part-time, una pietra miliare della normativa europea e nazionale.

I Fatti del Caso: Una Carriera a Metà?

Il caso ha origine dalla lunga controversia tra un’annunciatrice televisiva e la sua azienda, una grande emittente nazionale. La lavoratrice, assunta con un contratto di lavoro a tempo parziale, lamentava di essere stata esclusa dalla progressione di carriera automatica (passaggi di livello) che il contratto collettivo nazionale (CCL) garantiva ai dipendenti. La Corte d’Appello aveva dato ragione all’azienda, sostenendo che gli scatti di carriera fossero legati all’acquisizione di una maggiore professionalità, raggiungibile, secondo i giudici di merito, solo attraverso un impiego a tempo pieno. La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione, denunciando la violazione del principio di non discriminazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Discriminazione Part-Time

La Suprema Corte ha accolto le ragioni della lavoratrice, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. La decisione si fonda su un’interpretazione chiara e netta del diritto europeo e nazionale: la progressione di carriera è una “condizione di impiego” e, come tale, deve rispettare il principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale. Escludere i secondi dagli avanzamenti automatici rappresenta una forma di discriminazione indiretta, poiché la categoria dei lavoratori part-time è statisticamente composta in prevalenza da donne, creando di fatto uno svantaggio di genere.

Le Motivazioni: Il Principio di Non Discriminazione è Sovrano

La Corte ha smontato la tesi della Corte d’Appello con argomentazioni solide. I giudici hanno chiarito che il principio di non discriminazione, sancito dalla direttiva europea 97/81/CE, non ammette interpretazioni restrittive. Qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ai lavoratori part-time deve essere giustificato da ragioni oggettive, che non possono consistere in una generica e indimostrata presunzione di minor crescita professionale legata all’orario ridotto.

I punti chiave della motivazione sono:

1. Interpretazione del Contratto Collettivo: Il silenzio del contratto collettivo riguardo alla progressione di carriera per i part-timer non può essere letto come una loro esclusione. Al contrario, in assenza di una norma specifica, si applica la regola generale della parità di trattamento. L’avanzamento di carriera previsto per tutti i dipendenti, quindi, vale indipendentemente dall’orario di lavoro.
2. Divieto di Discriminazione Indiretta: Anche un criterio apparentemente neutro, come legare la carriera all’orario di lavoro, può diventare discriminatorio se penalizza di fatto una specifica categoria di lavoratori. La Corte ha richiamato precedenti in cui è stato affermato che pratiche che svantaggiano i lavoratori part-time, in maggioranza donne, costituiscono discriminazione indiretta.
3. Irrilevanza del Pro-Rata Temporis: Il principio pro-rata temporis (proporzionalità in base al tempo lavorato) si applica a elementi misurabili come la retribuzione o le ferie, ma non può essere invocato implicitamente per rallentare l’anzianità di servizio o la progressione di carriera. Un meccanismo di questo tipo, per essere legittimo, dovrebbe essere espressamente previsto dalla contrattazione collettiva, cosa che non accadeva nel caso di specie.

Inoltre, la Corte ha rigettato il ricorso incidentale dell’azienda, che chiedeva la restituzione delle somme pagate in più alla lavoratrice dopo la conversione del suo rapporto da autonomo a subordinato. I giudici hanno ribadito che l’azienda non può richiedere indietro tali somme se non dimostra un errore essenziale, poiché il compenso più alto era frutto di una libera scelta imprenditoriale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza ha un’importante valenza pratica e riafferma con forza un principio di civiltà giuridica. Per i lavoratori part-time, rappresenta una garanzia fondamentale che il loro percorso professionale non sia penalizzato a causa di una scelta di orario spesso dettata da esigenze di conciliazione vita-lavoro. Per le aziende, costituisce un monito a interpretare i contratti collettivi e le prassi interne alla luce del principio inderogabile di non discriminazione. Non è più accettabile presumere che un orario ridotto equivalga a un minore valore o a una più lenta maturazione professionale. Qualsiasi differenziazione dovrà essere fondata su ragioni oggettive, concrete e dimostrabili, pena l’illegittimità del comportamento datoriale.

Un lavoratore part-time ha diritto alla stessa progressione di carriera di un collega a tempo pieno?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la progressione di carriera è una condizione di impiego e, in base al principio di non discriminazione, non può essere negata o rallentata a un lavoratore part-time solo a causa del suo orario ridotto.

Se il contratto collettivo non menziona i lavoratori part-time riguardo agli scatti di carriera, si possono considerare esclusi?
No. Secondo la sentenza, il silenzio del contratto collettivo su questo punto non può essere interpretato come un’esclusione. Al contrario, deve essere interpretato in conformità con il principio di parità di trattamento, garantendo gli stessi diritti ai lavoratori part-time.

L’azienda può chiedere la restituzione della retribuzione più alta pagata a un lavoratore il cui contratto è stato trasformato da autonomo a subordinato?
No, a meno che non dimostri un errore essenziale e riconoscibile nella pattuizione del compenso. La Corte ha ritenuto che un compenso più elevato fosse una scelta aziendale deliberata per compensare altri aspetti del rapporto, e non un errore, quindi la restituzione non è dovuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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