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Discriminazione part-time e anzianità di servizio

Una lavoratrice part-time si vede negata una promozione a favore di un collega a tempo pieno a causa di un calcolo ridotto della sua anzianità di servizio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che la riduzione automatica dell’anzianità basata sull’orario di lavoro costituisce una discriminazione part-time diretta e, dato che il lavoro a tempo parziale è scelto prevalentemente da donne, anche una discriminazione indiretta di genere. L’onere di provare che più ore lavorate equivalgono a maggiore esperienza spetta al datore di lavoro.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Discriminazione Part-Time: l’Anzianità non si Calcola in Proporzione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel mondo del lavoro: la discriminazione part-time e la valutazione dell’anzianità di servizio nelle progressioni di carriera. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: ridurre l’anzianità di un lavoratore a tempo parziale in proporzione alle ore lavorate, ai fini di una selezione interna, costituisce una pratica discriminatoria. Questa decisione non solo protegge i lavoratori part-time ma riconosce anche l’esistenza di una discriminazione indiretta di genere, data la prevalenza femminile in questa tipologia contrattuale.

I Fatti del Caso: La Carriera Rallentata dal Part-Time

Il caso nasce dalla vicenda di una lavoratrice impiegata a tempo parziale presso un’importante amministrazione pubblica. L’ente aveva indetto una selezione interna per il passaggio a una fascia retributiva superiore. Nel valutare i candidati, l’amministrazione aveva calcolato l’anzianità di servizio della dipendente in modo proporzionale al suo orario ridotto. Di conseguenza, il suo punteggio finale è risultato inferiore a quello di un collega uomo, impiegato a tempo pieno, che ha così ottenuto la promozione.

La lavoratrice ha impugnato la decisione, sostenendo che se la sua anzianità fosse stata calcolata per intero, come per i colleghi full-time, avrebbe superato il collega e ottenuto l’avanzamento. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello le hanno dato ragione, riconoscendo il comportamento discriminatorio del datore di lavoro.

La Decisione della Corte: No alla Discriminazione Part-Time

L’amministrazione ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che la proporzionalità nel trattamento del lavoratore part-time fosse legittima. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando integralmente le sentenze precedenti. Ha chiarito che l’automatismo tra riduzione dell’orario e riduzione dell’anzianità di servizio ai fini della carriera è illegittimo e costituisce una duplice forma di discriminazione: una diretta verso i lavoratori part-time e una indiretta di genere.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi interconnessi.

La Discriminazione Diretta del Lavoratore Part-Time

Il primo punto chiave riguarda l’interpretazione della normativa sul lavoro a tempo parziale. Il principio di proporzionalità, invocato dal datore di lavoro, si applica specificamente alla retribuzione, che deve essere commisurata alla ridotta entità della prestazione lavorativa. Tuttavia, questo principio non può essere esteso automaticamente ad altri istituti, come la valutazione dell’anzianità per le progressioni economiche.

La Corte ha specificato che l’esperienza professionale non è una mera funzione del numero di ore trascorse in ufficio. L’acquisizione di competenze e conoscenze dipende da molteplici fattori, inclusa la qualità e la natura delle mansioni svolte. Non esiste alcun automatismo per cui un lavoratore full-time acquisisce necessariamente maggiore esperienza di un collega part-time nello stesso arco temporale. Spetta al datore di lavoro dimostrare, caso per caso, che un numero maggiore di ore lavorate si traduce effettivamente in un’esperienza qualitativamente superiore e rilevante per la promozione. In assenza di tale prova, ridurre il punteggio di anzianità è una pratica discriminatoria.

La Discriminazione Indiretta di Genere

Il secondo pilastro della decisione è ancora più significativo. La Corte ha riconosciuto che penalizzare il lavoro part-time si traduce, nei fatti, in una discriminazione indiretta di genere. Questo perché, come evidenziato da dati statistici e sociali, sono prevalentemente le donne a ricorrere al contratto a tempo parziale, spesso per conciliare il lavoro con le responsabilità di cura familiare.

Un criterio apparentemente neutro, come la valutazione dell’anzianità basata sulle ore lavorate, finisce per svantaggiare in modo sproporzionato le lavoratrici, ostacolando il loro percorso di carriera. La legge, sottolinea la Corte, non guarda solo alla forma giuridica di un atto, ma al suo risultato concreto sulla realtà sociale. Penalizzare i lavoratori part-time significa penalizzare indirettamente le donne, che già subiscono un condizionamento nell’accesso e nella permanenza nel mondo del lavoro.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un punto fermo nella tutela dei diritti dei lavoratori part-time e nella lotta contro la disparità di genere sul luogo di lavoro. Le conclusioni pratiche sono chiare: i datori di lavoro non possono applicare riduzioni automatiche dell’anzianità di servizio per i dipendenti a tempo parziale nelle procedure di selezione interna o progressione di carriera. L’esperienza maturata deve essere valutata nella sua interezza, e l’onere di provare che un orario ridotto corrisponde a una minore esperienza ricade interamente sull’azienda. La sentenza rafforza il principio secondo cui la parità di trattamento non è solo una questione formale, ma deve tradursi in un’effettiva parità di opportunità per tutti, indipendentemente dall’orario di lavoro e dal genere.

L’anzianità di servizio di un lavoratore part-time può essere ridotta in proporzione alle ore lavorate ai fini di una progressione di carriera?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non può esserci un automatismo tra la riduzione dell’orario di lavoro e la riduzione dell’anzianità di servizio valutata per le progressioni economiche. La riduzione sarebbe legittima solo se il datore di lavoro dimostrasse che un maggior numero di ore lavorate comporta effettivamente una maggiore esperienza rilevante.

Quando una prassi aziendale costituisce una discriminazione indiretta di genere?
Una prassi costituisce discriminazione indiretta di genere quando, pur essendo apparentemente neutra, mette di fatto i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a quelli dell’altro sesso. Nel caso di specie, penalizzare il part-time svantaggia le donne, che ricorrono a questa forma contrattuale in misura preponderante.

A chi spetta l’onere di provare che la riduzione dell’anzianità per un lavoratore part-time è giustificata?
L’onere della prova spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare l’esistenza di un fondamento razionale per riproporzionare l’anzianità, provando che la differenza di orario di lavoro si traduce in una concreta e rilevante differenza di esperienza professionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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