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Diritto Fallimentare

Revocazione Sentenza Cassazione: limiti e inammissibilità
Un'ex presidente di una società fallita ha tentato la revocazione di una sentenza della Cassazione che la condannava per mala gestio. Il ricorso, basato sul ritrovamento di nuovi documenti e su un presunto contrasto con un precedente giudicato, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ribadito che la revocazione di una sentenza della Cassazione è un rimedio eccezionale, ammesso solo in casi tassativamente previsti dalla legge, che non includono quelli sollevati dalla ricorrente.
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Sovraindebitamento familiare: quando è unica procedura?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha respinto il ricorso di alcuni creditori contro l'apertura di una procedura di liquidazione controllata per due familiari. La Corte ha chiarito che per attivare un'unica procedura di sovraindebitamento familiare è sufficiente la comune origine del debito. Inoltre, ha stabilito che la valutazione sulla meritevolezza del debitore non va fatta in fase di ammissione alla procedura, ma solo successivamente, in sede di esdebitazione.
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Competenza sezioni specializzate imprese e appalti
Una società in fallimento ha contestato la giurisdizione del tribunale ordinario in una disputa su un contratto di lavori pubblici. La Corte di Cassazione ha confermato l'esclusiva competenza delle sezioni specializzate imprese. La decisione si fonda sul valore del contratto che, calcolato sulla base d'asta e superando la soglia UE, qualifica l'appalto come di "rilevanza comunitaria", ricadendo così nella giurisdizione del tribunale specializzato, a prescindere da normative regionali.
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Decreto di trasferimento ambiguo: come si interpreta?
Una società acquista un immobile da un fallimento, ma sorge una disputa sull'inclusione di alcuni fabbricati. La Cassazione chiarisce che per risolvere l'ambiguità di un decreto di trasferimento, è necessario interpretarlo alla luce di tutti gli atti della procedura esecutiva, come la perizia di stima e l'ordinanza di vendita. In questo caso, i giudici hanno confermato che la vendita riguardava solo il terreno e non i fabbricati, rigettando il ricorso della società acquirente.
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Equa riparazione fallimento: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha confermato il diritto all'equa riparazione per l'eccessiva durata di una procedura fallimentare. I giudici hanno stabilito due principi chiave: il termine di sei mesi per presentare la domanda decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento diventa definitivo, e non da un precedente piano di riparto parziale. Inoltre, l'ammontare dell'indennizzo deve essere calcolato sul valore del credito originariamente ammesso al passivo, non sull'importo residuo dopo eventuali acconti.
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Indennizzo durata irragionevole: come si calcola?
La Corte di Cassazione ha stabilito importanti principi sull'indennizzo per durata irragionevole dei processi. In un caso riguardante due lavoratori creditori in un fallimento, la Corte ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, chiarendo che l'indennizzo si calcola sul valore del credito ammesso al passivo, non sulla somma effettivamente riscossa. Ha invece accolto il ricorso dei lavoratori, affermando che nella liquidazione delle spese legali del giudizio di opposizione deve essere incluso anche il compenso per la fase istruttoria, procedendo a una nuova e corretta quantificazione.
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Privilegio crediti previdenza: le Sezioni Unite decidono
Un Ente Edile ha richiesto l'ammissione in via privilegiata, nel fallimento di una società, dei crediti per contributi non versati a un fondo di previdenza complementare. Il Tribunale ha respinto la richiesta, qualificando il credito come chirografario. La Corte di Cassazione, rilevando un profondo contrasto giurisprudenziale sulla natura (retributiva o previdenziale) di tali somme, ha ritenuto necessario rimettere la questione sul privilegio crediti previdenza alle Sezioni Unite per un pronunciamento definitivo.
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Accettazione tacita giurisdizione: quando non vale
La Cassazione ha stabilito che un convenuto straniero non manifesta un'accettazione tacita della giurisdizione italiana se le sue difese nel merito sono espressamente subordinate all'eccezione di difetto di giurisdizione. Nel caso, una banca estera, pur chiedendo misure cautelari, aveva sempre basato le sue istanze sulla fondatezza della sua eccezione principale, escludendo così una volontà di sottomettersi al giudice italiano.
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Lavoro subordinato: la prova spetta al lavoratore
Un lavoratore, che era anche socio e amministratore di una società poi fallita, ha visto respinta la sua richiesta di ammissione al passivo per crediti da lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso, confermando che l'onere di provare la sussistenza della subordinazione grava interamente sul lavoratore. La Corte ha inoltre ribadito la propria impossibilità di riesaminare nel merito le prove già valutate dai giudici dei gradi precedenti.
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Ricorso inammissibile: l’obbligo di esposizione chiara
La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile a causa di una esposizione dei fatti frammentaria, incompleta e oscura. La decisione sottolinea come il mancato rispetto del requisito di chiarezza previsto dall'art. 366 c.p.c. impedisca alla Corte di esaminare nel merito le censure, ribadendo che il ricorso deve essere autosufficiente e permettere una piena comprensione della controversia senza dover consultare altri atti.
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Riconoscimento di debito: prova valida senza l’originale
Un debitore aveva disconosciuto una scrittura privata con cui si impegnava a trasferire un'azienda agricola per saldare i suoi debiti verso una società fallita. Poiché l'originale del documento non è mai stato trovato, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto sufficiente, ai fini della prova del credito, una lettera successiva. Tale missiva è stata qualificata come un valido riconoscimento di debito, idoneo a fondare la condanna al pagamento di una somma di denaro, pur in assenza del contratto originario.
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Titolarità del credito: prova cessione e fallimento
Un debitore, dopo la chiusura del suo fallimento, si oppone a un decreto ingiuntivo contestando la titolarità del credito del cessionario. Il Tribunale rigetta l'opposizione, affermando che la prova della titolarità del credito può basarsi su un quadro indiziario complessivo, inclusa la mancata contestazione della comunicazione di cessione. Inoltre, chiarisce che i creditori possono agire anche dopo la chiusura del fallimento, pur non essendosi insinuati al passivo.
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Opposizione a decreto ingiuntivo: limiti e giudicato
Un garante ha impugnato una sentenza che respingeva la sua opposizione a un'esecuzione forzata basata su un decreto ingiuntivo definitivo. Le sue contestazioni riguardavano la presunta nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust e la prescrizione del credito. La Corte d'Appello ha rigettato l'appello, stabilendo che nell'ambito di un'opposizione a decreto ingiuntivo divenuto definitivo, non si possono sollevare eccezioni che dovevano essere fatte valere nel giudizio di opposizione al decreto stesso, in virtù del principio del giudicato. Inoltre, ha confermato che l'istanza di ammissione al passivo nel fallimento di un coobbligato interrompe la prescrizione per tutti gli altri, condannando l'appellante per lite temeraria.
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Legittimazione curatore fallimentare: la Cassazione
Una curatela fallimentare ha impugnato un'ordinanza che confermava un sequestro preventivo per reati tributari. Il punto cruciale era la legittimazione del curatore fallimentare a contestare il sequestro, disposto prima della dichiarazione di fallimento. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale, affermando il principio per cui il curatore è sempre legittimato a impugnare i provvedimenti di sequestro reale, anche se anteriori alla dichiarazione di fallimento. La Corte identifica il curatore come il soggetto avente diritto alla restituzione dei beni, in virtù della sua funzione di amministrazione e salvaguardia della massa attiva. Nonostante il riconoscimento della legittimazione, nel caso specifico il ricorso è stato rigettato nel merito, confermando che le somme sequestrate costituivano provento del reato di evasione fiscale.
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Rinuncia al ricorso: come si estingue il processo?
Una parte privata, dopo aver presentato ricorso in Cassazione contro un'ordinanza del Tribunale di Verona nei confronti di un fallimento societario, ha deciso di rinunciare all'atto. La Suprema Corte, verificata la conformità della rinuncia al ricorso ai requisiti legali (artt. 390 e 391 c.p.c.), ha dichiarato l'estinzione del giudizio. Di particolare rilievo è la decisione di non provvedere sulle spese legali, motivata dalla totale assenza di attività difensiva da parte della controparte (il fallimento).
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Ricorso contro fallimento: un caso in Cassazione
Una società a responsabilità limitata presenta un ricorso alla Corte di Cassazione contro una società per azioni in stato di fallimento. L'appello contesta un decreto emesso da un tribunale di merito, portando la controversia all'esame della suprema corte. Questo caso evidenzia la fase finale di un contenzioso legato a un ricorso contro fallimento, in cui si valuta la legittimità della decisione precedente e non i fatti della causa.
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Ricorso in Cassazione: analisi di un caso
Un soggetto privato ha presentato un ricorso in Cassazione contro un'ordinanza emessa dal Tribunale di Verona. La controparte è una società dichiarata fallita. Il documento introduce le parti e l'atto impugnato, senza esporre la decisione finale della Suprema Corte.
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Dichiarazione di fallimento: l’appello in Cassazione
Un'imprenditrice individuale e una società a responsabilità limitata hanno proposto ricorso per Cassazione avverso un'ordinanza del Tribunale che aveva confermato la dichiarazione di fallimento a carico della prima. Il caso verte sulla legittimità di tale provvedimento, con la Corte Suprema chiamata a pronunciarsi sulle censure mosse dai ricorrenti.
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Composizione negoziata crisi: le misure protettive
Il Tribunale di Firenze analizza un caso di composizione negoziata della crisi per un gruppo societario. Nonostante la grave situazione finanziaria, il giudice conferma le misure protettive e concede misure cautelari per salvaguardare la continuità aziendale e favorire le trattative con i creditori. La decisione si fonda sulla sussistenza di una ragionevole prospettiva di risanamento (fumus boni iuris) e sul rischio che azioni esecutive individuali possano compromettere l'esito della procedura (periculum in mora).
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Fattibilità del piano: limiti al controllo del giudice
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19467/2019, ha rigettato il ricorso della curatela fallimentare contro una decisione della Corte d'Appello che aveva ammesso un'azienda farmaceutica a un concordato preventivo con continuità aziendale. La Corte ha ribadito che il controllo del giudice sulla fattibilità del piano non deve sconfinare in una valutazione di merito sulla convenienza economica, riservata ai creditori. Il sindacato giudiziale si limita a verificare la non manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi, controllandone la coerenza logica e la plausibilità delle assunzioni, senza sostituirsi all'imprenditore nelle scelte strategiche.
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