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Diritto Fallimentare

Conflitto di interessi amministratore: guida pratica
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5540/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società immobiliare contro una società industriale dello stesso gruppo. La ricorrente chiedeva l'ammissione di un credito al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della consociata. Il credito è stato rigettato a causa di un palese conflitto di interessi dell'amministratore comune nelle operazioni immobiliari sottostanti. La Corte ha ribadito che l'appartenenza a un gruppo non giustifica operazioni dannose per una società senza un vantaggio compensativo concreto e immediato, confermando la decisione del tribunale di merito.
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Conflitto di interessi: Cassazione e annullabilità
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società immobiliare contro una società industriale in amministrazione straordinaria, entrambe parte dello stesso gruppo. La Corte conferma la decisione di merito che aveva annullato un contratto di locazione per conflitto di interessi, ai sensi dell'art. 2475-ter c.c. È stato accertato che gli amministratori, comuni a entrambe le società, avevano stipulato un contratto dannoso per la società industriale, la quale avrebbe potuto ottenere il godimento del medesimo immobile a condizioni molto più vantaggiose. La Cassazione ribadisce che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di giudicare la corretta applicazione della legge, e che un potenziale vantaggio di gruppo non giustifica un danno certo e immediato per una singola società.
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Privilegio promissario acquirente: vale la trascrizione
La Corte di Cassazione ha stabilito che il privilegio promissario acquirente è opponibile alla massa dei creditori anche se il contratto preliminare viene trascritto dopo l'inizio della procedura concorsuale. Ciò è possibile a condizione che la domanda giudiziale per l'accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni sia stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento o liquidazione. L'effetto della trascrizione del contratto, infatti, retroagisce alla data della trascrizione della domanda, garantendo così la prelazione al promissario acquirente sul credito per la restituzione degli acconti versati.
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Cessione del credito: come qualificare l’operazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5551/2025, ha rigettato il ricorso di una società che chiedeva l'ammissione al passivo fallimentare di un credito di oltre 2 milioni di euro. Il caso verteva sulla corretta qualificazione giuridica di un'operazione complessa: la società ricorrente sosteneva si trattasse di un pagamento eseguito da un terzo, ma la Corte ha confermato la ricostruzione del Tribunale, inquadrandola come una cessione del credito. Secondo i giudici, la società fallita aveva ceduto il proprio credito verso la ricorrente a una terza società come corrispettivo per l'acquisto di azioni. Di conseguenza, la ricorrente non era creditrice del fallimento, ma debitrice della società cessionaria, perdendo così il diritto a insinuarsi nel passivo.
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Provvigione agente: onere della prova e contratto
Un agente di commercio si è visto respingere la richiesta di una cospicua provvigione agente nei confronti di un'azienda fallita. La Corte di Cassazione ha confermato che, in presenza di una clausola contrattuale specifica che richiede l'esplicita accettazione degli ordini, spetta all'agente fornire la prova di tale accettazione. La regola generale del silenzio-assenso non è applicabile se derogata dal contratto. Inoltre, la Corte ha ribadito l'inammissibilità di questioni sollevate per la prima volta in sede di legittimità.
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Risarcimento lucro cessante: limiti e risoluzione
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di inadempimento di un contratto preliminare, il risarcimento lucro cessante spettante alla parte adempiente è limitato al periodo precedente la domanda giudiziale di risoluzione. Proponendo tale domanda, la parte rinuncia alla prestazione futura e, di conseguenza, ai guadagni che ne sarebbero derivati. Il caso riguardava una promessa di locazione non mantenuta da una società poi fallita.
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Transazione novativa: la Cassazione chiarisce i limiti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5565/2025, ha stabilito che un'opposizione allo stato passivo basata su una transazione successiva alla domanda di ammissione non costituisce automaticamente una domanda nuova inammissibile. Il giudice di merito deve prima valutare la natura della transazione, distinguendo se si tratta di una transazione novativa, che estingue il rapporto precedente, o conservativa, che si limita a modificarlo. In quest'ultimo caso, come una semplice riduzione dell'importo, la domanda originaria viene solo modificata e non sostituita, rendendo l'opposizione ammissibile.
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Natura agricola: quando prevale l’attività finanziaria?
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di fallimento di una società semplice agricola, stabilendo che la sua natura agricola era venuta meno. La decisione si basa sulla prevalenza di complesse operazioni finanziarie e immobiliari rispetto all'attività di coltivazione. L'ordinanza chiarisce che la qualifica di imprenditore agricolo non può essere usata come scudo per iniziative di carattere speculativo, confermando che il cessionario di un credito è legittimato a proseguire l'azione per la dichiarazione di fallimento.
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Credito prededucibile: subentro e danni contrattuali
La Corte di Cassazione chiarisce la natura del credito prededucibile nell'ambito dell'amministrazione straordinaria. In un caso riguardante un contratto di appalto per la riparazione di una nave, la Corte ha stabilito che i danni derivanti da un inadempimento della società committente, avvenuto dopo l'apertura della procedura, devono essere considerati prededucibili. Questo perché l'amministrazione, subentrando nel contratto, assume tutti gli obblighi successivi, compreso quello di risarcire i danni per la propria condotta inadempiente, in funzione della continuità aziendale.
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Fallimento del preponente: indennità e contratto d’agenzia
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5603/2025, interviene su un caso di contratto di agenzia interrotto dal fallimento del preponente. La Corte stabilisce un principio fondamentale: il fallimento non comporta la risoluzione automatica e incolpevole del contratto. Si applica invece la disciplina dei contratti pendenti (art. 72 Legge Fallimentare), che prevede la sospensione del rapporto. Questa decisione apre alla possibilità per l'agente di ottenere le indennità di fine rapporto, come quella di preavviso e di clientela, cassando la precedente decisione del Tribunale che le aveva escluse.
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Fallimento preponente: indennità agente e contratto
Una società di rappresentanze si opponeva all'ammissione parziale dei propri crediti nel passivo fallimentare della società preponente. La Corte di Cassazione, riformando la decisione di merito, ha stabilito che il fallimento del preponente non determina la risoluzione automatica del contratto di agenzia, ma la sua sospensione ai sensi dell'art. 72 della Legge Fallimentare. Di conseguenza, se il curatore decide di sciogliere il rapporto, l'agente può avere diritto all'indennità di preavviso e di clientela, non essendo lo scioglimento imputabile a una giusta causa automatica.
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Qualificazione del contratto: la volontà reale prevale
La Corte di Cassazione conferma che un contratto, pur nominato 'affitto di ramo d'azienda', deve essere considerato una 'vendita con riserva di proprietà' se la reale intenzione delle parti e la sua funzione economica puntano a un trasferimento definitivo del bene. Questa corretta qualificazione del contratto è cruciale, specialmente in un contesto fallimentare, poiché determina le norme applicabili e la sorte dei crediti. La Corte ribadisce che il giudice ha il dovere di andare oltre il senso letterale delle parole per ricercare la comune volontà dei contraenti.
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Onere della prova: il giudice non può negare le prove
Una società immobiliare si opponeva all'esclusione di un ingente credito per danni dal passivo fallimentare di un'impresa di costruzioni. Il Tribunale rigettava l'opposizione per mancanza di prove. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, accogliendo il motivo di ricorso relativo alla mancata ammissione delle prove (testimonianze, CTU) richieste dalla società. Il principio affermato è che il giudice non può, senza contraddirsi, rigettare una domanda per difetto di onere della prova e contemporaneamente negare alla parte l'ammissione dei mezzi istruttori volti proprio a fornire tale prova.
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Estinzione del giudizio: accordo tra le parti in Cassazione
Una società aveva proposto ricorso per cassazione contro il rigetto della sua domanda di ammissione al passivo fallimentare di un'altra azienda. Durante il processo, le parti hanno raggiunto un accordo, presentando un'istanza congiunta per l'estinzione del giudizio. La Corte di Cassazione ha dichiarato l'estinzione del processo a spese compensate, chiarendo che in caso di rinuncia al ricorso seguita da accettazione, non si applica la condanna alle spese né l'obbligo del versamento del doppio contributo unificato.
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Reclamo piano del consumatore: chi sono le parti?
La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale riguardo al reclamo piano del consumatore. In un caso in cui il piano di un debitore era stato revocato perché in possesso di un cospicuo patrimonio immobiliare, la Corte ha rigettato il ricorso del debitore. È stato chiarito che nell'appello contro l'omologazione (o la sua revoca), non è necessario coinvolgere tutti i creditori, ma solo quelli che hanno formalmente partecipato al primo grado di giudizio, consolidando un importante criterio procedurale.
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Estinzione del processo: cosa succede se rinunci?
Un creditore ha rinunciato a un ricorso in Cassazione dopo la chiusura di un fallimento. La Corte ha dichiarato l'estinzione del processo, stabilendo che le spese del rinunciante sono irripetibili perché la controparte non si era costituita. La decisione chiarisce che la rinuncia non comporta il raddoppio del contributo unificato, previsto solo per rigetto o inammissibilità.
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Revoca beneficio fallimento: quando nasce il credito?
La Corte di Cassazione ha stabilito che il credito derivante dalla revoca di un beneficio pubblico concesso a un'impresa è di natura concorsuale e va ammesso al passivo fallimentare, anche se il provvedimento formale di revoca interviene dopo la dichiarazione di fallimento. La Corte ha chiarito che il fatto costitutivo del credito non è l'atto di revoca, che ha natura meramente dichiarativa, ma il verificarsi dei presupposti per la restituzione (ad esempio, la mancata destinazione dei fondi), che sono anteriori al fallimento. Di conseguenza, il credito sorge 'ex lege' al momento dell'erogazione del beneficio, e la revoca funge solo da condizione per poter agire per il recupero. Questa interpretazione rafforza la posizione dell'ente erogatore nei confronti della massa dei creditori.
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Privilegio garanzia pubblica: esteso anche ai crediti SACE
La Corte di Cassazione ha stabilito che il privilegio garanzia pubblica, previsto dal D.Lgs. 123/1998, si estende anche ai crediti vantati da un ente garante a seguito dell'escussione di una garanzia su un finanziamento a un'impresa, poi fallita. La Corte ha riformato la decisione del tribunale di merito, che aveva negato il privilegio ritenendo che si applicasse solo a erogazioni dirette di denaro. Secondo i giudici di legittimità, la finalità pubblicistica di sostegno alle imprese giustifica un'interpretazione estensiva della norma, includendo anche le garanzie tra le forme di 'finanziamento' tutelate.
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Mutuo solutorio: la Cassazione rinvia alle Sezioni Unite
La Corte di Cassazione, con un'ordinanza interlocutoria, ha sospeso la decisione su un caso riguardante la validità di un mutuo solutorio, ovvero un finanziamento concesso per estinguere debiti pregressi. Riconoscendo la particolare importanza della questione, già rimessa a un organo superiore, la Corte ha rinviato il giudizio in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, che fornirà un indirizzo definitivo sulla materia.
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Mantenimento del fallito: quando si perde il diritto
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di alcuni soci falliti che chiedevano di trattenere una quota dei loro redditi per il proprio mantenimento. La decisione si fonda sul fatto che i ricorrenti non hanno contestato una delle motivazioni autonome e sufficienti della sentenza impugnata, ovvero la mancata prova della loro effettiva necessità di disporre di tali somme, avendo il giudice di merito accertato la disponibilità di altre fonti di reddito familiare. La Suprema Corte ha ribadito che, in assenza di tale prova, è legittimo destinare l'intero reddito del fallito alla massa dei creditori. La parola_chiave centrale è mantenimento del fallito.
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