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Diritto Fallimentare

Responsabilità curatore fallimentare: quando è lecita?
Una recente ordinanza della Cassazione affronta il tema della responsabilità del curatore fallimentare. Il caso riguarda una richiesta di risarcimento danni da parte di un creditore per un presunto ritardo nell'esecuzione di un piano di riparto e per l'indebita trattenuta di somme. La Corte ha rigettato il ricorso, escludendo la responsabilità del curatore fallimentare in quanto le sue azioni erano giustificate dall'opportunità procedurale, come la pendenza di un concordato, e autorizzate dal giudice delegato.
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Compenso professionale avvocato: come si calcola?
Un avvocato si opponeva alla riduzione del proprio compenso da 92.000 a 24.000 euro in sede di ammissione al passivo fallimentare. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il calcolo del compenso professionale avvocato deve basarsi sul valore effettivo della controversia (il cosiddetto 'disputatum') e non sul valore della domanda iniziale, qualora quest'ultimo risulti manifestamente sproporzionato. L'iscrizione della notula nei bilanci della società è stata ritenuta irrilevante ai fini della prova del credito nel fallimento.
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Onere della prova fallimento: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5003/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società contro la propria dichiarazione di fallimento. Il caso verteva sull'onere della prova fallimento, ovvero sulla responsabilità di dimostrare di non possedere i requisiti per essere assoggettati alla procedura concorsuale. La società aveva prodotto bilanci non depositati e altra documentazione contabile ritenuta inattendibile sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello. La Cassazione ha ribadito che l'onere della prova grava sul debitore e che la valutazione sull'attendibilità dei documenti è un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità, confermando così la decisione dei giudici precedenti.
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Onere della prova fallimento: la contabilità inattendibile
Una società in liquidazione, dichiarata fallita, ha presentato ricorso sostenendo un errore nel calcolo dei debiti. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, non per l'errore di calcolo, ma perché la documentazione contabile della società era palesemente inattendibile e contraddittoria. La Corte ha ribadito che l'onere della prova per dimostrare di non essere fallibile grava sull'imprenditore, che deve fornire documentazione chiara e affidabile.
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Onere della prova fallimento: chi deve dimostrarlo?
Un'imprenditrice individuale, dichiarata fallita, ha contestato la decisione sostenendo di non rientrare nei limiti dimensionali previsti dalla legge. A sostegno della sua tesi, ha prodotto unicamente le proprie dichiarazioni fiscali. La Corte di Cassazione, confermando le sentenze precedenti, ha ribadito un principio fondamentale: l'onere della prova nel fallimento, per dimostrare la non fallibilità, grava interamente sul debitore. Documenti di formazione unilaterale, come le dichiarazioni dei redditi, se non supportati da altre scritture contabili o prove verificabili, sono ritenuti inidonei a tale scopo. Di conseguenza, il ricorso dell'imprenditrice è stato dichiarato inammissibile.
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Fallimento venditore e preliminare: può scioglierlo?
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di fallimento del venditore, il curatore fallimentare può legittimamente sciogliere il contratto preliminare di compravendita immobiliare, anche se il promissario acquirente ha già versato l'intero prezzo. La Corte ha chiarito che il pagamento del prezzo è un effetto anticipatorio e non costituisce la piena esecuzione del contratto, la quale si realizza solo con il trasferimento della proprietà tramite rogito definitivo o sentenza.
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Azione revocatoria scissione: competenza e fallimento
Le Sezioni Unite chiariscono la competenza per l'azione revocatoria di una scissione societaria. Sebbene l'azione rientri nella materia del Tribunale delle Imprese, quando promossa dal curatore fallimentare prevale la competenza inderogabile del Tribunale fallimentare. La decisione analizza la natura dell'azione e il conflitto tra competenze specializzate.
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Dichiarazione di fallimento: il ricorso inammissibile
Una società ricorre in Cassazione contro la sentenza della Corte d'Appello che confermava la sua dichiarazione di fallimento, richiesta da un unico creditore. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile per difetto di autosufficienza e ribadisce che, ai fini della dichiarazione di fallimento, non è necessario un accertamento definitivo del credito, essendo sufficiente una valutazione incidentale del giudice. Viene inoltre confermato che lo stato di insolvenza può sussistere anche in presenza di un solo inadempimento.
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Conflitto di interessi: quando il contratto è nullo?
Una società facente parte di un gruppo ha richiesto l'ammissione al passivo di un'altra società del medesimo gruppo, in amministrazione straordinaria, per un credito derivante da canoni di locazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto il contratto di locazione annullabile per conflitto di interessi. Anche in presenza di una proprietà comune, l'amministratore aveva agito favorendo una società a discapito dell'altra. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità.
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Fondo patrimoniale e fallimento: la tutela del terzo
La Corte di Cassazione ha stabilito il corretto strumento processuale per tutelare un bene conferito in un fondo patrimoniale dall'illegittima apprensione in una procedura fallimentare. Contrariamente a quanto deciso nei primi due gradi di giudizio, che avevano ritenuto inammissibile l'azione per mancata proposizione del reclamo endofallimentare, la Suprema Corte ha chiarito che quando viene leso un diritto soggettivo di un terzo estraneo alla procedura, il rimedio corretto è l'azione ordinaria. La mancata proposizione del reclamo non preclude quindi la possibilità di difendere la proprietà del bene.
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Notifica curatore speciale: quando è valida?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società fallita che lamentava la violazione del diritto di difesa. La Corte ha stabilito che la notifica al curatore speciale dell'udienza prefallimentare è valida se, al momento della notifica, la nomina del nuovo amministratore della società non era stata ancora formalizzata nel registro delle imprese. Di conseguenza, la società non poteva eccepire la mancata comunicazione diretta al nuovo legale rappresentante.
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Legittimazione reclamo: chi può impugnare il piano?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5157/2025, ha chiarito la questione sulla legittimazione al reclamo avverso il decreto di omologazione del piano del consumatore. Un creditore, che non aveva partecipato al giudizio di primo grado, ha impugnato la decisione che omologava il piano del debitore. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la legittimazione ad impugnare spetta solo a chi ha formalmente assunto la qualità di parte nel grado precedente ed è risultato soccombente. La partecipazione attiva al primo grado è quindi un requisito essenziale per poter contestare la decisione in una fase successiva.
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Impugnazione cartella fallito: chi agisce se il curatore è inerte?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5173/2025, affronta il tema della legittimazione degli ex rappresentanti legali di una società fallita a contestare una cartella di pagamento in caso di inerzia del curatore. La Corte conferma che l'ex amministratore può procedere con l'impugnazione cartella fallito, sulla scia di un precedente intervento delle Sezioni Unite. Tuttavia, chiarisce che la mancata notifica dell'avviso di irregolarità all'ex amministratore non determina la nullità della cartella, ma la sua inopponibilità alla società una volta tornata in bonis. La Corte ha quindi accolto parzialmente il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa per un nuovo esame.
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Rimborso IVA fallimento: quando il ricorso è inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società fallita per un rimborso IVA. La Corte ha chiarito che l'erronea percezione di un fatto processuale, come il mancato invio di una dichiarazione, costituisce un errore di fatto da contestare con il rimedio della revocazione e non un errore procedurale. Inoltre, il ricorso è stato bloccato dalla regola della "doppia conforme", essendo le decisioni di primo e secondo grado basate sulle stesse ragioni. La sentenza sottolinea l'importanza di scegliere il corretto strumento di impugnazione in materia di rimborso IVA fallimento.
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Sospensione riscossione non ferma l’istanza di fallimento
Una società in liquidazione ha contestato la richiesta di fallimento avanzata dall'Agenzia delle Entrate, sostenendo che la sospensione riscossione dovuta all'emergenza Covid-19 impedisse tale azione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che la sospensione riguardava le procedure esecutive e l'esigibilità dei crediti, ma non privava l'Agenzia della sua legittimazione a presentare istanza di fallimento. La Corte ha sottolineato che una norma specifica (art. 10, d.lgs. 23/2020) aveva già limitato le istanze di fallimento a un periodo circoscritto, non applicabile al caso di specie.
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Nullità notifica: Cassazione rinvia il caso Pinto
Un lavoratore ha fatto ricorso in Cassazione per un indennizzo da eccessiva durata di un processo fallimentare (Legge Pinto). La Corte Suprema, tuttavia, ha rilevato un vizio procedurale: la notifica del ricorso era stata indirizzata all'Avvocatura distrettuale anziché a quella Generale dello Stato. A causa di questa nullità della notifica, la Corte ha ordinato la rinnovazione dell'atto entro 60 giorni, sospendendo la decisione sul merito della causa e rinviandola a nuovo ruolo.
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Centro degli interessi principali: la sede reale vince
La Corte di Cassazione risolve un conflitto di competenza tra due tribunali, stabilendo che per l'apertura della liquidazione giudiziale è competente il foro in cui si trova il centro degli interessi principali (COMI) effettivo dell'impresa, anche se diverso dalla sede legale formale. La decisione si basa su prove concrete che dimostravano come l'intera attività direttiva, amministrativa e operativa della società debitrice si svolgesse in una provincia diversa da quella della sede legale, risultata essere un mero recapito. Viene così confermata la prevalenza della realtà sostanziale su quella formale.
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Perdita di chance: risarcimento per bonus non pagato
La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di alcuni dirigenti di una società fallita che chiedevano il pagamento di bonus variabili. Poiché la società non aveva mai fissato gli obiettivi necessari, il tribunale di merito aveva respinto la richiesta. La Cassazione ha cassato la decisione, affermando che il giudice avrebbe dovuto valutare la domanda di risarcimento per perdita di chance, cioè la perdita della possibilità di ottenere il premio, che era stata espressamente formulata dai lavoratori. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame su questo punto.
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Errore revocatorio Cassazione: quando è inammissibile?
Una società cooperativa, dichiarata fallita, ricorre in Cassazione lamentando un errore nella notifica del decreto ingiuntivo originario. La Corte dichiara inammissibile il ricorso per genericità. La società propone istanza di revocazione, sostenendo un errore di fatto. La Cassazione rigetta anche questa, chiarendo la differenza tra errore revocatorio (percettivo) e l'errore di giudizio (error in iudicando), non sindacabile con questo strumento. La parola chiave è errore revocatorio.
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Conflitto di interessi amministratore: guida pratica
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5540/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società immobiliare contro una società industriale dello stesso gruppo. La ricorrente chiedeva l'ammissione di un credito al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della consociata. Il credito è stato rigettato a causa di un palese conflitto di interessi dell'amministratore comune nelle operazioni immobiliari sottostanti. La Corte ha ribadito che l'appartenenza a un gruppo non giustifica operazioni dannose per una società senza un vantaggio compensativo concreto e immediato, confermando la decisione del tribunale di merito.
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