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Diritto Fallimentare

Ammissione al passivo: prova del credito e limiti
Un professionista ha richiesto l'ammissione al passivo di una società fallita per oltre un milione di euro. La domanda, basata su un'ordinanza di pagamento poi revocata, è stata respinta. L'appello del professionista è stato ugualmente rigettato dalla Corte di Cassazione, la quale ha ribadito che per l'ammissione al passivo è necessaria una prova solida e rigorosa del credito. Una semplice perizia di parte è stata ritenuta insufficiente, e non è possibile richiedere una consulenza tecnica d'ufficio (CTU) con finalità meramente esplorative per sopperire alla carenza probatoria.
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Equa riparazione: il termine decorre dal decreto finale
La Corte di Cassazione ha stabilito che il termine di sei mesi per richiedere l'equa riparazione per l'irragionevole durata di una procedura fallimentare decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento diventa definitivo e non più impugnabile. La Corte ha chiarito che la data di soddisfacimento del credito, tramite il riparto dell'attivo, non è rilevante per calcolare la decorrenza di questo termine, ma solo per quantificare il danno. La decisione riforma il decreto della Corte d'appello che aveva erroneamente dichiarato tardiva la domanda basandosi sulla data del riparto.
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Data certa: la prova nel fallimento è essenziale
La richiesta di ammissione al passivo di un creditore verso una società fallita è stata respinta poiché i documenti a supporto del credito mancavano di una data certa opponibile al fallimento. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che la valutazione delle prove per stabilire la data certa spetta al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità. L'appello del creditore è stato ritenuto un inammissibile tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti.
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Prescrizione presuntiva: il giuramento del curatore
Una professionista si opponeva al mancato accoglimento del suo credito professionale in un fallimento. Il curatore aveva eccepito la prescrizione presuntiva e, deferitogli giuramento, aveva dichiarato di non essere a conoscenza del pagamento. La Corte di Cassazione, richiamando una recente sentenza delle Sezioni Unite, ha stabilito che la dichiarazione di ignoranza del curatore equivale a un mancato giuramento, favorendo così la posizione del creditore. La Corte ha cassato la decisione precedente, rinviando la causa al Tribunale per una nuova valutazione basata su questo principio.
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Voto negativo e rappresentanza: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha analizzato il caso di una debitrice il cui piano di composizione della crisi è stato respinto a causa del voto negativo di un istituto di credito. La debitrice sosteneva l'invalidità del voto perché espresso dall'ufficio legale della banca, a suo dire privo di poteri. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che il potere rappresentativo dell'ufficio legale è insito nella sua funzione aziendale e che la successiva difesa in giudizio da parte della banca costituisce una ratifica del suo operato, validando così il voto negativo.
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Data certa contratto e fallimento: la Cassazione
La richiesta di una banca di ammettere un credito derivante da un conto corrente al passivo di un fallimento è stata respinta. La Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che il contratto di conto corrente, privo di data certa anteriore al fallimento, non è opponibile alla procedura. Una lettera di credito successiva, pur avendo data certa e menzionando il conto, è stata ritenuta insufficiente per sanare il vizio del documento principale.
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Crediti di lavoro nel fallimento: la guida completa
Un lavoratore ha presentato ricorso contro l'ammissione solo parziale delle sue rivendicazioni salariali nei confronti di un'azienda fallita. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice ha il dovere di verificare tutti i crediti, anche se non contestati dal curatore. Tuttavia, ha accolto il ricorso del lavoratore per quanto riguarda la mancata concessione di interessi e rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro riconosciuti, affermando che tali importi sono dovuti per legge.
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Procura speciale Cassazione: ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un istituto di credito contro la curatela fallimentare di un debitore. La decisione non entra nel merito della controversia (l'opponibilità di un decreto ingiuntivo al fallimento), ma si fonda su un vizio procedurale: l'avvocato del ricorrente non era munito di una valida procura speciale per la Cassazione, agendo sulla base di una procura generale rilasciata anni prima del provvedimento impugnato. La sentenza ribadisce la necessità di un mandato specifico per il giudizio di legittimità.
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Obbligo di motivazione: l’adesione alla CTU è lecita
Un ex sindaco di una società fallita si è visto negare il compenso per inadempimento ai suoi doveri di vigilanza. In Cassazione, ha contestato la decisione del giudice di merito, accusandolo di aver aderito acriticamente alla Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU) senza un adeguato obbligo di motivazione. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, ribadendo che se il CTU ha già risposto alle osservazioni della parte, il giudice adempie al suo dovere motivazionale semplicemente facendo proprie le conclusioni dell'esperto, ritenendo implicitamente respinte le critiche contrarie.
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Responsabilità sindaco società: la vigilanza omessa
La Cassazione conferma il rigetto della domanda di compenso di un sindaco di una società fallita. La decisione si fonda sulla sua omessa vigilanza e mancata reazione alla mala gestio degli amministratori, integrando un grave inadempimento che giustifica l'eccezione della curatela. La pronuncia chiarisce la portata della responsabilità del sindaco di società.
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Termine reclamo sovraindebitamento: la Cassazione chiarisce
Un ente previdenziale ha impugnato l'omologazione di un piano di ristrutturazione del debito di un'istituzione culturale, sostenendo la tempestività del proprio reclamo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo un punto fondamentale: il termine reclamo sovraindebitamento, di dieci giorni, non decorre dalla pubblicazione online del provvedimento, ma dalla sua comunicazione integrale e individuale al creditore, ad esempio tramite PEC da parte della cancelleria. Sebbene la motivazione del tribunale fosse errata, la decisione finale è stata confermata perché l'ente aveva comunque presentato il reclamo oltre i dieci giorni da tale comunicazione.
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Giuramento decisorio: sì al liquidatore dalla Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 4322/2024, ha stabilito principi cruciali in materia di liquidazione coatta amministrativa. La Corte ha chiarito che il creditore opponente non deve ri-depositare i documenti già prodotti nella fase amministrativa, ma solo indicarli specificamente. Inoltre, ha ammesso la deferibilità del giuramento decisorio al commissario liquidatore, specificando che la sua dichiarazione di non conoscenza equivale a mancato giuramento, con conseguenze favorevoli per il creditore. Questa decisione rappresenta una significativa evoluzione a tutela dei creditori nelle procedure concorsuali.
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Responsabilità del sindaco: quando perde il compenso?
La richiesta di compenso di un sindaco di società è stata respinta a causa della sua grave negligenza nei doveri di vigilanza. La Corte di Cassazione ha confermato che l'omesso controllo sulla gestione degli amministratori, che ha contribuito al dissesto aziendale, costituisce un inadempimento contrattuale tale da giustificare il mancato pagamento delle sue spettanze. Questa decisione sottolinea l'importanza della diligenza nella vigilanza e la stretta connessione tra l'adempimento dei doveri e la maturazione del diritto al compenso, fissando un principio chiave sulla responsabilità del sindaco.
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Compenso del sindaco: inadempimento e onere prova
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 4309/2024, ha stabilito che in caso di fallimento, la curatela può legittimamente rifiutare il pagamento del compenso del sindaco sollevando l'eccezione di inadempimento. In questo scenario, l'onere di provare l'esatto e corretto svolgimento delle proprie funzioni ricade sul sindaco che richiede il compenso, e non sulla curatela. Il ricorso dell'ex sindaco, che non aveva fornito prove adeguate della sua attività, è stato quindi respinto.
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Compenso del sindaco: onere della prova e fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 4303/2024, ha chiarito la ripartizione dell'onere della prova in caso di richiesta di compenso del sindaco di una società fallita. Se la curatela solleva l'eccezione di inadempimento, spetta al professionista dimostrare di aver svolto correttamente e diligentemente le proprie funzioni. Nel caso di specie, l'ex sindaco non ha fornito prove sufficienti del suo operato, vedendosi rigettare la richiesta di insinuazione al passivo per il proprio credito.
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Responsabilità dei sindaci: quando si perde il compenso
La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso dei sindaci di una società poi fallita può essere legittimamente negato se la curatela fallimentare dimostra il loro inadempimento ai doveri di vigilanza. In un caso riguardante la mancata richiesta di autofallimento in una situazione di grave crisi, la Corte ha chiarito che, a fronte dell'allegazione di specifici inadempimenti da parte della curatela, spetta ai sindaci (creditori) provare di aver adempiuto correttamente ai propri obblighi. La sentenza sottolinea la natura attiva del dovere di vigilanza, che non si esaurisce in adempimenti formali ma richiede un intervento concreto per prevenire l'aggravarsi del dissesto, confermando così la stretta connessione tra la responsabilità dei sindaci e il loro diritto al compenso.
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Trust liquidatorio e fallimento: compenso negato
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei gestori di un trust liquidatorio che chiedevano un compenso per l'attività svolta prima del fallimento della società. La Corte ha confermato la decisione di merito che riteneva il trust inesistente in quanto in contrasto con le norme imperative fallimentari, rendendo nullo qualsiasi credito derivante da esso.
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Competenza Sezione Cassazione: il caso del piano
Una coppia di consumatori si è vista rigettare il piano di ristrutturazione dei debiti dal tribunale. In Cassazione, la Terza Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria, non ha deciso il merito ma ha stabilito la competenza sezione Cassazione. Il caso è stato trasferito alla Prima Sezione Civile, specializzata in materia, in base a consolidata giurisprudenza.
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Patrocinio a spese dello Stato: A chi vanno le spese?
La Corte di Cassazione interviene per correggere un errore materiale in una propria ordinanza. La decisione chiarisce che, quando una parte vittoriosa è ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, le spese processuali liquidate a suo favore devono essere versate direttamente allo Stato e non alla parte stessa. Il caso riguardava una curatela fallimentare risultata vittoriosa in un giudizio di legittimità.
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Privilegio fondo garanzia: spetta solo al gestore
La Corte di Cassazione stabilisce che il privilegio fondo garanzia, previsto dall'art. 8-bis del d.l. 3/2015, ha natura pubblicistica e spetta esclusivamente al gestore del fondo statale. Di conseguenza, il fideiussore privato, anche se controgarantito dal fondo, non può avvalersi di tale privilegio quando agisce in regresso contro il debitore in liquidazione giudiziale. La sentenza chiarisce anche che il curatore non necessita dell'autorizzazione del giudice delegato per impugnare le decisioni relative all'ammissione dei crediti allo stato passivo.
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