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Diritto Fallimentare

Concordato in continuità: i flussi finanziari futuri
Una società in concordato in continuità sosteneva di poter utilizzare liberamente i profitti futuri derivanti dalla prosecuzione dell'attività, trattandoli come finanza esterna. Un creditore si è opposto e la Corte d'Appello ha revocato l'omologa del piano. La Corte di Cassazione, pur dichiarando cessata la materia del contendere per eventi sopravvenuti, ha esaminato il caso ai fini delle spese legali. Ha stabilito il principio che i flussi finanziari futuri non sono finanza esterna, ma un incremento del patrimonio aziendale soggetto alla garanzia generica dei creditori. Pertanto, devono rispettare l'ordine delle cause di prelazione e non possono essere distribuiti liberamente.
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Fattibilità del piano: quando il concordato fallisce
Una società operante nel settore dei carburanti, dopo aver visto respingere la propria domanda di concordato preventivo e subire la dichiarazione di fallimento, ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. L'ordinanza sottolinea che il giudice ha il potere di valutare la fattibilità del piano, specialmente per verificarne la manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi. Nel caso specifico, il piano era generico, non supportato da elementi concreti per superare la crisi, e la stessa proposta di un pagamento dilazionato in cinque anni è stata considerata un indizio dello stato di insolvenza, andando oltre la semplice crisi aziendale.
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Cessione in blocco: onere della prova del cessionario
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 23852/2025, ha rigettato il ricorso di una società di gestione crediti, confermando che in una cessione in blocco, l'onere della prova sull'inclusione di un credito specifico nel perimetro della cessione grava sul cessionario. La mera pubblicazione dell'avviso in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente a dimostrare la titolarità del diritto, specialmente se il debitore contesta l'esistenza del contratto o l'appartenenza del credito all'operazione. La Corte ha ribadito che spetta a chi agisce in giudizio, affermandosi successore a titolo particolare, fornire la prova documentale della propria legittimazione sostanziale.
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Prova titolarità del credito: onere del cessionario
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha ribadito un principio cruciale nelle procedure fallimentari: la società che acquista un credito deve fornire una prova rigorosa della sua titolarità. Nel caso specifico, una società di cartolarizzazione si era opposta a un'ammissione parziale del proprio credito allo stato passivo di un fallimento. La sua richiesta è stata respinta sia dal Tribunale che dalla Cassazione perché non aveva provato adeguatamente di essere la nuova creditrice, non avendo prodotto né l'atto di cessione né la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La Suprema Corte ha sottolineato che la prova della titolarità del credito è un onere imprescindibile per chi agisce in giudizio.
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Prova titolarità credito: onere del cessionario
Una società di cartolarizzazione non ha fornito un'adeguata prova della titolarità del credito dopo una cessione in blocco. La Corte di Cassazione ha confermato che l'onere della prova grava interamente sul cessionario, specialmente quando il credito specifico è contestato e non chiaramente identificabile negli avvisi pubblici della cessione. Il semplice possesso dei documenti del prestito è stato ritenuto insufficiente.
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Estinzione del processo per rinuncia: guida pratica
Una società cooperativa ha impugnato in Cassazione un decreto del Tribunale relativo all'ammissione di un suo credito nello stato passivo di un'altra cooperativa in liquidazione coatta. Durante il giudizio, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, rinunciando reciprocamente ai ricorsi. La Suprema Corte ha quindi dichiarato l'estinzione del processo per rinuncia, specificando che, in tal caso, non si procede alla condanna sulle spese (compensate tra le parti) né si applica l'obbligo del versamento del doppio del contributo unificato.
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Fondo di garanzia INPS: no intervento se il lavoro prosegue
La Corte di Cassazione ha stabilito che il Fondo di garanzia INPS non è tenuto a intervenire per il pagamento di TFR e retribuzioni maturate presso un datore di lavoro insolvente, se il rapporto di lavoro del dipendente prosegue senza interruzioni con l'azienda cessionaria. La continuità del rapporto lavorativo esclude il presupposto fondamentale per l'accesso al Fondo, ovvero la cessazione del lavoro a causa dell'insolvenza del datore. Gli accordi sindacali che escludono la responsabilità solidale del nuovo datore non sono opponibili all'INPS.
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Fondo di Garanzia INPS: Pagamento TFR Garantito
La Cassazione ha stabilito che il Fondo di Garanzia INPS deve intervenire per il TFR dei lavoratori di una società fallita, anche se esiste un'altra società co-obbligata e solvente a seguito di una scissione societaria. L'accesso al Fondo è diretto e non subordinato alla preventiva escussione di altri debitori.
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Errore materiale: quando la richiesta è inammissibile
La socia di una società ha richiesto alla Corte di Cassazione la correzione di un presunto errore materiale in una precedente ordinanza, lamentando la mancata enunciazione di un principio di diritto. La Corte ha dichiarato la richiesta inammissibile, specificando che la procedura per errore materiale serve a correggere sviste formali e non a contestare il contenuto sostanziale della decisione. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento di una somma a titolo di sanzione.
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Fondo di Garanzia INPS: titolo esecutivo necessario
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 23619/2025, ha ribadito un principio fondamentale per l'accesso al Fondo di Garanzia INPS: è necessario che il lavoratore possieda un titolo esecutivo che accerti il proprio credito verso il datore di lavoro. Questa condizione sussiste anche nel caso in cui la società datrice sia stata dichiarata fallita e la procedura concorsuale si sia conclusa per insufficienza di attivo. La Corte ha rigettato il ricorso di una lavoratrice, sostenendo che l'impossibilità di ottenere un titolo non giustifica una deroga ai requisiti di legge, posti a tutela delle risorse pubbliche e per evitare domande meramente esplorative.
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Domanda tardiva fallimento: quando è inammissibile?
Una società fornitrice di gas ha presentato una domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare dopo che la sua precedente domanda tempestiva, basata sugli stessi fatti ma con una diversa qualificazione giuridica, era stata respinta. La Corte di Cassazione ha confermato l'inammissibilità della domanda tardiva fallimento, stabilendo che un mero cambio di etichetta giuridica non è sufficiente a creare una nuova pretesa quando i fatti (causa petendi) e la richiesta (petitum) rimangono identici.
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Compenso amministratore: quando è revocabile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ex amministratore unico contro un'azione di revocatoria fallimentare per oltre 200.000 euro di compensi. I giudici hanno confermato che i pagamenti, privi di una valida base nello statuto societario e deliberati in stato di insolvenza, costituivano atti di straordinaria amministrazione dannosi per i creditori. Di conseguenza, il principio di non revocabilità del compenso amministratore non era applicabile.
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Competenza territoriale: sede legale vs sede effettiva
Una società ha contestato la decisione che fissava la competenza territoriale per la sua liquidazione giudiziale presso la sede operativa anziché quella legale. La Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che il 'centro degli interessi principali' prevale sull'indirizzo formale, basandosi su prove concrete del luogo dove si svolge l'attività direttiva e amministrativa.
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Estinzione giudizio Cassazione: no doppio contributo
Un liquidatore ricorre in Cassazione in una causa di responsabilità. Le parti raggiungono un accordo e il ricorrente rinuncia all'impugnazione. La Suprema Corte dichiara l'estinzione del giudizio e stabilisce che, in caso di rinuncia accettata, non è dovuto il raddoppio del contributo unificato.
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Specificità motivi appello: la guida completa
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza d'appello che aveva già sancito l'inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi. La Corte ribadisce che, per contestare tale vizio, è necessario riportare nel ricorso per cassazione i motivi d'appello originari per dimostrarne la presunta specificità, pena una nuova declaratoria di inammissibilità.
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Azione Revocatoria: onere della prova dell’eventus damni
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di una società di leasing, confermando l'inefficacia di alcuni atti di compravendita immobiliare. La sentenza chiarisce che, nell'ambito di un'azione revocatoria promossa dal curatore fallimentare, la prova dell'eventus damni (il pregiudizio per i creditori) è a carico del curatore stesso. Tale prova è considerata raggiunta quando si dimostra che l'atto dispositivo, come la vendita della quasi totalità del patrimonio immobiliare a fronte di un ingente debito, ha reso più difficile e incerto il soddisfacimento dei creditori. La Corte ribadisce che il curatore deve provare che il patrimonio residuo del debitore è insufficiente, e non spetta al convenuto dimostrare il contrario.
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Correzione errore materiale: quando il ritiro estingue
Una curatela fallimentare, dopo aver richiesto una correzione errore materiale in un decreto, ha ritirato la propria istanza accorgendosi di un proprio sbaglio (credeva di avere il gratuito patrocinio). La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato estinto il procedimento di correzione.
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Azione di simulazione: l’interesse del creditore
Una curatela fallimentare agiva contro gli ex amministratori per mala gestio e per la simulazione di una vendita immobiliare. La Cassazione ha confermato l'inammissibilità del ricorso, chiarendo le regole procedurali sull'impugnazione delle sentenze di incompetenza. Nel merito, ha ribadito che il creditore ha pieno interesse a promuovere un'azione di simulazione per far dichiarare fittizio un atto di vendita che pregiudica le sue ragioni, anche se il credito non è ancora stato accertato con sentenza definitiva.
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Responsabilità amministratore: Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di responsabilità amministratore, annullando una sentenza di secondo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata da una curatela fallimentare. La Suprema Corte ha chiarito che la richiesta di danno, anche se genericamente legata alla mala gestio complessiva e quantificata secondo il criterio del deficit, è ammissibile se tra gli atti contestati vi è la prosecuzione non conservativa dell'attività dopo la perdita del capitale sociale, ristabilendo i principi sulla corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
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Motivi di appello: specificità e divieto di mutatio libelli
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello, stabilendo che i motivi di appello erano sufficientemente specifici e che il giudice di primo grado aveva violato il divieto di 'mutatio libelli'. Il caso riguardava un'azione del curatore fallimentare per la cessione di un'auto, originariamente qualificata come atto a titolo gratuito (art. 64 l.fall.) e poi decisa come se fosse un'azione revocatoria (art. 67 l.fall.), che costituisce una domanda diversa e inammissibile.
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