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Diritto Fallimentare

Compensazione fallimentare: il fatto genetico è decisivo
Una società fornitrice, successivamente fallita, aveva citato in giudizio un'azienda creditrice per il risarcimento dei danni derivanti dalla riappropriazione di merce non pagata. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della compensazione fallimentare tra il credito risarcitorio e il debito per la fornitura, stabilendo che il requisito fondamentale è l'anteriorità del fatto generatore di entrambi i crediti rispetto alla dichiarazione di fallimento.
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Mandato professionale: prova e interpretazione del giudice
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 430/2024, ha chiarito importanti principi sull'interpretazione della domanda giudiziale e sulla distinzione tra mandato professionale e procura alle liti. Il caso riguardava la richiesta di compenso di tre avvocati nei confronti di una società che aveva agito come assuntrice in un concordato preventivo, poi revocato. I giudici di merito avevano rigettato la domanda, qualificandola come obbligazione derivante dal concordato e venuta meno con la sua revoca. La Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che la Corte d'Appello aveva erroneamente interpretato la domanda iniziale (causa petendi), che si fondava fin dall'origine su un autonomo mandato professionale conferito dalla società agli avvocati, e non solo sul suo ruolo di assuntrice. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa per un nuovo esame.
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Durata ragionevole fallimento: quando inizia il calcolo?
Con l'ordinanza 324/2024, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale sulla durata ragionevole fallimento. Per un creditore, il calcolo del tempo ai fini dell'indennizzo per eccessiva durata (legge Pinto) inizia dal momento del deposito della domanda di insinuazione al passivo, non dalla successiva data di ammissione del credito. La Corte ha cassato la decisione di merito che, utilizzando un criterio di calcolo diverso, aveva negato il diritto all'indennizzo ad alcuni lavoratori.
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Interruzione del processo per fallimento: la Cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 322/2024, ha chiarito un punto cruciale sull'interruzione del processo a causa del fallimento di una delle parti. La Corte ha stabilito che, sebbene l'interruzione sia automatica, il termine perentorio di tre mesi per riassumere il giudizio decorre non dalla mera conoscenza del fallimento, ma dal momento in cui la dichiarazione giudiziale di interruzione viene portata a conoscenza di tutte le parti, inclusa la curatela fallimentare. Nel caso di specie, una Corte d'appello aveva erroneamente dichiarato estinto il processo, ritenendo che la curatela avesse riassunto la causa tardivamente. La Cassazione ha annullato tale decisione, specificando che, in assenza di una formale dichiarazione di interruzione comunicata alle parti, il termine per la riassunzione non era neppure iniziato a decorrere.
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Opposizione decreto liquidazione: i termini perentori
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 313/2024, ha stabilito che l'opposizione al decreto di liquidazione del compenso di un CTU deve essere proposta contro il primo provvedimento emesso, entro il termine perentorio di 30 giorni. Eventuali atti successivi del giudice, che si limitino a confermare o correggere la motivazione del primo, sono emessi in carenza di potere e non fanno decorrere un nuovo termine. L'opposizione proposta contro il secondo atto è, pertanto, inammissibile per tardività.
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Crediti lavoro: prova e CUD nel fallimento
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di un lavoratore contro il fallimento della sua ex azienda, stabilendo principi chiari sulla prova dei crediti lavoro. La Corte ha chiarito che un CUD (Certificazione Unica) che indica il TFR come 'erogato', se non di provenienza pubblica e non firmato dal dipendente, non costituisce prova del pagamento. L'onere di dimostrare l'effettiva corresponsione delle somme resta a carico del datore di lavoro. Inoltre, la Corte ha sanzionato il vizio di omessa pronuncia del tribunale che non aveva specificato la natura di 'ultime tre retribuzioni' per una parte del credito, qualifica fondamentale per l'accesso del lavoratore al Fondo di Garanzia dell'INPS.
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Fallimento appaltatore: il subappalto e il credito
In un caso complesso riguardante un appalto pubblico, alcuni subappaltatori hanno richiesto il pagamento diretto alla stazione appaltante a seguito del default e successivo fallimento dell'appaltatore principale. Quest'ultimo aveva però ceduto i propri crediti a una società di factoring. La Corte di Cassazione, affrontando il tema del fallimento appaltatore, ha stabilito che la sospensione dei pagamenti a tutela dei subappaltatori cessa con la dichiarazione di fallimento. La causa è stata rinviata per valutare l'opponibilità della cessione del credito alla procedura fallimentare.
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Super-società di fatto: fallimento e requisiti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 204/2024, ha annullato la decisione di una Corte d'Appello che negava l'esistenza di una super-società di fatto tra un imprenditore individuale e le società di capitali da lui controllate. La Corte ha stabilito che l'abuso della personalità giuridica e l'ingerenza gestionale non escludono la configurabilità di un rapporto societario occulto, ma vanno analizzati come possibili modalità operative dello stesso. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame che valuti correttamente gli elementi costitutivi della società di fatto, come il fondo comune e la condivisione dei risultati economici, anche in presenza di assetti formali simulati.
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Cambio denominazione sociale: effetti sulla garanzia
Una banca si è vista negare l'ammissione al passivo fallimentare di un credito garantito, poiché il giudice riteneva che la società garante fosse un soggetto diverso da quello fallito. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che il tribunale aveva commesso un errore cruciale ignorando la prova documentale del semplice cambio denominazione sociale della società garante. La Corte ha ribadito che la variazione del nome non altera l'identità giuridica della società, che rimane quindi vincolata agli obblighi precedentemente assunti.
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Supersocietà di fatto: l’autonoma insolvenza è cruciale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 144/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di fallimento esteso a una cosiddetta "supersocietà di fatto". Il caso riguardava l'estensione del fallimento di una S.r.l. ai suoi soci occulti, persone fisiche e un'altra società, ritenuti parte di un unico ente imprenditoriale non formalizzato. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della curatela fallimentare, confermando che per dichiarare il fallimento di una supersocietà di fatto non è sufficiente l'insolvenza di uno dei suoi membri, ma è necessario dimostrare uno stato di insolvenza autonomo e proprio della supersocietà stessa. La decisione ha anche esteso la revoca del fallimento a un socio che non aveva partecipato al secondo grado di giudizio, in applicazione del principio espansivo della sentenza.
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Danno non patrimoniale società: la Cassazione decide
Una società in nome collettivo ha richiesto un'equa riparazione per la durata irragionevole di una procedura fallimentare a suo carico, durata quasi trent'anni. La Corte d'Appello aveva rigettato la domanda, sostenendo che una società, non avendo 'fisicità', non potesse subire un turbamento psicologico. La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, affermando che anche le persone giuridiche hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale società. La Suprema Corte ha chiarito che tale danno non è limitato alla sola lesione della reputazione, ma comprende anche i disagi e i turbamenti subiti dalle persone fisiche che gestiscono l'ente, derivanti dalla violazione del diritto a un processo di ragionevole durata. Ha quindi cassato il provvedimento e rinviato il caso alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Costituzione tardiva e produzione prove: la Cassazione
La Corte di Cassazione ha stabilito che la costituzione tardiva di una parte in un processo civile non impedisce la produzione di documenti, a condizione che ciò avvenga prima della scadenza dei termini per le prove. La Corte ha cassato la decisione d'appello che aveva erroneamente dichiarato inammissibile un documento decisivo presentato da una curatela fallimentare, la cui costituzione era avvenuta dopo la prima udienza ma prima che fossero scattate le preclusioni istruttorie.
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Giudice del lavoro: competenza su status del lavoratore
Un lavoratore aveva intentato una causa per ottenere il riconoscimento di una qualifica superiore e le relative differenze retributive. Durante il processo, l'azienda è stata dichiarata fallita. La Corte d'Appello aveva ritenuto improcedibile l'intera causa, devolvendola al giudice fallimentare. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, chiarendo la ripartizione di competenza: le domande relative allo status del lavoratore (come la qualifica), che hanno un interesse autonomo e futuro, restano di competenza del giudice del lavoro. Solo le domande puramente patrimoniali o quelle di accertamento strumentali a un credito devono essere trattate in sede fallimentare per tutelare la parità dei creditori.
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Indennizzo procedura fallimentare: no tagli per troppi
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 80/2024, ha stabilito un importante principio in materia di indennizzo per la durata irragionevole di una procedura fallimentare. La Corte ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia sui termini di decadenza e ha accolto quello incidentale dei creditori, affermando che la riduzione dell'indennizzo prevista in caso di un elevato numero di parti (superiore a cinquanta) non si applica alle procedure concorsuali. Questa distinzione si basa sulla natura fisiologica della pluralità di creditori nel fallimento, a differenza di un processo ordinario.
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Prova rapporto di lavoro: onere a carico del lavoratore
Un lavoratore si oppone all'esclusione del suo credito da lavoro dallo stato passivo di una società fallita. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 78/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l'onere della prova del rapporto di lavoro subordinato grava interamente sul lavoratore che intende far valere il proprio credito. La Corte ha chiarito che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere una nuova valutazione delle prove già esaminate dal giudice di merito.
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Fallimento società cooperativa: quando è possibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società cooperativa contro la propria dichiarazione di fallimento. La Corte ha ribadito che il fallimento di una società cooperativa è possibile quando questa svolge un'attività commerciale oggettiva, indipendentemente dal suo fine mutualistico. Inoltre, ha sottolineato che i vizi procedurali, come presunti difetti di notifica, devono essere specificamente e completamente documentati nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza.
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Supersocietà di fatto: abuso e fallimento in estensione
La Corte di Cassazione ha chiarito che l'abuso gestionale di una società a vantaggio dei suoi controllori non esclude a priori la configurabilità di una supersocietà di fatto tra la società abusata e gli stessi controllori. In un caso di presunto svuotamento patrimoniale, la Corte ha annullato la decisione d'appello per un'analisi superficiale, affermando la necessità di esaminare in concreto tutti gli indizi di un sodalizio occulto. La sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione dei fatti.
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Supersocietà di fatto: la Cassazione e il fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 64/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il fallimento di una supersocietà di fatto. La decisione conferma che l'esistenza di tale società può essere provata da elementi indiziari come la gestione coordinata, la commistione patrimoniale e attività complementari tra diverse aziende. Il fallimento della supersocietà di fatto comporta l'estensione automatica dello stesso ai soci illimitatamente responsabili.
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Supersocietà di fatto: la Cassazione e il fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 63/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro l'estensione del fallimento a una supersocietà di fatto. La Corte ha stabilito che l'esclusione di un presunto socio nel corso del giudizio non costituisce una modifica della domanda. Inoltre, ha confermato che l'esistenza della società occulta e il suo stato di insolvenza possono essere provati attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, come lo svuotamento patrimoniale di una società a vantaggio delle altre del gruppo.
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Privilegio cooperative: basta la prevalenza del lavoro
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 54/2024, ha ribadito un principio cruciale per il riconoscimento del privilegio cooperative. La Corte ha stabilito che, ai fini del privilegio previsto dall'art. 2751-bis, n. 5 c.c., è sufficiente dimostrare la prevalenza del lavoro dei soci rispetto a quello dei non soci, senza la necessità di provare anche la prevalenza sul capitale investito o altri fattori produttivi. La vicenda riguardava il credito di una cooperativa di lavorazione del legno verso un consorzio fallito. L'appello del consorzio è stato dichiarato inammissibile, confermando così la natura privilegiata del credito della cooperativa.
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