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Diritto Fallimentare

Trasferimento sede estero: quando resta il fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13368/2024, ha stabilito che il trasferimento della sede all'estero, se avvenuto a ridosso della richiesta di fallimento e non reso conoscibile ai terzi, non sottrae la società alla giurisdizione italiana. La Corte ha chiarito che, in assenza di una pubblicità adeguata, il Centro degli Interessi Principali (COMI) dell'impresa rimane in Italia, legittimando la dichiarazione di fallimento da parte del tribunale italiano. La decisione sottolinea l'importanza della riconoscibilità del trasferimento sede estero da parte dei creditori.
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Correzione errore materiale: no se la decisione è coerente
Un avvocato, dopo aver ottenuto la distrazione delle spese legali in proprio favore, ha richiesto una correzione di errore materiale per revocare tale statuizione, adducendo un proprio errore. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che non si tratta di errore materiale quando la decisione del giudice è perfettamente coerente con l'istanza originaria della parte. La procedura di correzione non può essere usata per modificare scelte processuali.
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Errore materiale stato passivo: quando è inammissibile
La Corte di Cassazione chiarisce la disciplina per la correzione dell'errore materiale nello stato passivo fallimentare. Un'azienda creditrice, ritenendo che il proprio credito fosse stato ammesso per un importo inferiore al dovuto a causa di un errore di calcolo sugli interessi, ha presentato istanza di correzione. L'istanza è stata rigettata e la società ha proposto reclamo. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il provvedimento di rigetto di un'istanza di correzione di errore materiale non è impugnabile, in quanto atto di natura amministrativa. Lo strumento corretto per contestare il merito della quantificazione del credito sarebbe stata l'opposizione allo stato passivo.
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Espromissione: la fusione non estingue il debito
Una società creditrice ottiene la dichiarazione di fallimento di una società debitrice basandosi su un decreto ingiuntivo definitivo. Le società socie della fallita ricorrono in Cassazione, sostenendo che il debito si fosse estinto per confusione. La loro tesi era che una terza società, che si era assunta il debito tramite espromissione, era stata successivamente incorporata dalla società creditrice. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che l'espromissione ha natura cumulativa e non liberatoria, salvo espressa dichiarazione del creditore. La fusione ha creato confusione solo tra creditore ed espromittente, ma non ha estinto l'obbligazione del debitore originario.
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Notifica incompleta sentenza: quando è valida?
Una società impugna tardivamente la sentenza di fallimento, sostenendo la nullità della prima notifica perché mancante di una pagina. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13362/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha stabilito che una notifica incompleta della sentenza è nulla solo se la parte che la riceve dimostra che tale incompletezza le ha concretamente impedito di esercitare il proprio diritto di difesa, prova che nel caso di specie non è stata fornita.
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Socio Occulto Fallimento: Senza Limiti di Tempo?
Un'ordinanza della Cassazione esamina il caso dell'estensione del fallimento a un socio accomandante che, dopo il recesso formale, ha continuato a ingerirsi nella gestione societaria. La Corte d'Appello aveva stabilito che per il socio occulto fallimento non si applica il termine annuale di prescrizione, poiché la sua responsabilità illimitata deriva dalla gestione di fatto e non dalla qualifica formale. La Suprema Corte ha rinviato la decisione per trattative tra le parti, ma il principio resta cruciale.
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Eccezione riconvenzionale e leasing: la difesa chiave
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13345/2024, ha chiarito un punto cruciale in materia di leasing e fallimento. Una società di leasing, citata in giudizio dal fallimento di un'azienda utilizzatrice per la restituzione dei canoni pagati, si era difesa chiedendo un equo indennizzo. I giudici di merito avevano ritenuto tardiva tale richiesta. La Cassazione ha ribaltato la decisione, specificando che la richiesta non era una domanda nuova, ma una eccezione riconvenzionale, finalizzata unicamente a paralizzare la pretesa avversaria. Questa qualificazione permette di presentarla nei termini previsti per le difese, cambiando l'esito della causa.
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Azione revocatoria: vendita con compensazione è a rischio
La Corte di Cassazione conferma la revoca di una vendita immobiliare il cui prezzo era stato pagato tramite compensazione con un credito preesistente. Questa modalità, qualificata come 'datio in solutum', costituisce un mezzo anomalo di pagamento che, insieme ad altri indizi come la tempistica sospetta della vendita e la consapevolezza della difficoltà economica del venditore, giustifica l'azione revocatoria a tutela dei creditori.
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Credito del proponente: quando basta per il fallimento
Una società dichiarata fallita ricorre in Cassazione contestando la validità del credito del proponente. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che, per avviare una procedura fallimentare, non è necessario un credito definitivamente accertato. È sufficiente una valutazione sommaria della sua esistenza, e i titoli di credito come assegni e cambiali invertono l'onere della prova a carico del debitore.
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Sentenza costitutiva: come ottenere il trasferimento
Un'azienda in fallimento ha citato in giudizio la promissaria acquirente per ottenere una sentenza costitutiva che trasferisse la proprietà di un'azienda, come da contratto preliminare. La convenuta ha eccepito la competenza arbitrale e vizi del bene, ma il Tribunale ha respinto le difese: la prima perché sollevata tardivamente, la seconda per mancanza di prove. Di conseguenza, ha ordinato il trasferimento dell'azienda e il pagamento del saldo prezzo.
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Opposizione all’esecuzione: quando è inammissibile
Un debitore ha presentato opposizione all'esecuzione contro un atto di precetto basato su un decreto ingiuntivo, sostenendo che il contratto sottostante non si fosse mai perfezionato. Il Tribunale di Brescia ha respinto l'opposizione, chiarendo che in sede di opposizione all'esecuzione si possono contestare solo i vizi formali del titolo esecutivo giudiziale e non le questioni di merito, che avrebbero dovuto essere sollevate opponendosi al decreto ingiuntivo stesso.
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Rivendica di beni mobili: la prova in liquidazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12958/2024, si è pronunciata sulla rivendica di beni mobili da parte di terzi nel contesto della liquidazione di un'associazione. Gli eredi del fondatore di un ente culturale rivendicavano la proprietà di opere d'arte e libri presenti nella sede, ma la loro domanda è stata respinta per carenza di prova. La Corte ha ribadito la necessità di una prova rigorosa, la cosiddetta "doppia prova" scritta, escludendo di norma la testimonianza, per superare la presunzione di appartenenza dei beni all'ente in liquidazione.
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Giuramento decisorio: Cassazione cambia le regole
Un avvocato chiede l'ammissione al passivo fallimentare per un credito professionale. Il curatore eccepisce la prescrizione presuntiva e, deferito un giuramento decisorio, dichiara di ignorare se il pagamento sia avvenuto. La Cassazione, ribaltando un orientamento precedente, stabilisce che tale dichiarazione di ignoranza equivale a un mancato giuramento, con conseguenze negative per la massa fallimentare e favorevoli per il creditore. La Corte accoglie il ricorso e rinvia la causa al Tribunale.
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Liquidazione giudiziale società cancellata: il caso
Il Tribunale di Brescia ha dichiarato l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese. La decisione si fonda sulla sussistenza di un'ingente esposizione debitoria residua (oltre 350.000 euro) e sul fatto che l'istanza è stata presentata entro il termine annuale dalla cancellazione, come previsto dal Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (CCII). La sentenza chiarisce che la cancellazione formale non estingue l'insolvenza se permangono debiti significativi, rendendo possibile la liquidazione giudiziale della società cancellata.
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Rinuncia al ricorso: come estingue il processo
Una curatela fallimentare agiva in giudizio per far dichiarare la simulazione assoluta di una vendita immobiliare. Dopo aver perso in primo e secondo grado, la società acquirente proponeva ricorso in Cassazione. Tuttavia, prima della decisione, la stessa società presentava una rinuncia al ricorso, che veniva accettata dalla controparte. La Corte di Cassazione, di conseguenza, ha dichiarato l'estinzione del giudizio, senza pronunciarsi nel merito e senza regolare le spese, rendendo definitiva la sentenza d'appello.
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Ingerenza socio accomandante: quando scatta il fallimento
La Corte di Cassazione ha confermato il fallimento in estensione di una socia accomandante per ingerenza nella gestione societaria. La Corte ha stabilito che detenere una procura generale per operare sui conti bancari della società, con facoltà di emettere assegni e spendere il nome sociale, costituisce un atto di amministrazione che viola il divieto imposto dall'art. 2320 c.c. Questa violazione comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata, rendendo la socia illimitatamente responsabile per i debiti sociali, indipendentemente dalle motivazioni familiari o dalla frequenza degli atti compiuti.
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Riclassificazione INAIL: decorrenza non retroattiva
Una curatela fallimentare ha contestato una riclassificazione retroattiva operata dall'istituto assicurativo nazionale, che aveva generato un ingente debito per premi pregressi. Dopo due sentenze sfavorevoli nei gradi di merito, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Suprema Corte ha stabilito che la **riclassificazione INAIL** disposta d'ufficio non ha efficacia retroattiva, salvo che l'errore iniziale sia imputabile a una dichiarazione inesatta del datore di lavoro. Gli effetti decorrono dal mese successivo alla comunicazione del provvedimento.
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Improcedibilità ricorso cassazione: ecco perché
Una società cooperativa, dichiarata fallita, vedeva il suo reclamo rigettato dalla Corte d'Appello. L'ex rappresentante legale ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, la quale lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si fonda sulla violazione di precise norme procedurali, in particolare la tardività del ricorso e il mancato deposito della copia notificata della sentenza impugnata, confermando la severità dei requisiti per l'improcedibilità del ricorso per cassazione in ambito fallimentare.
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Ricorso inammissibile: valutazione fatti in Cassazione
Una società impugnava la propria dichiarazione di fallimento, sostenendo l'insussistenza del credito vantato dall'ente creditore. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo il principio secondo cui il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito per una nuova valutazione dei fatti o dell'interpretazione contrattuale, compiti che spettano esclusivamente ai giudici dei gradi precedenti.
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Improcedibilità ricorso Cassazione: onere della prova
La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato l'improcedibilità di un ricorso avverso una sentenza di fallimento. La decisione si fonda su un vizio procedurale: il ricorrente, erede dell'imprenditore defunto, non ha depositato la copia della sentenza d'appello munita della prova della sua notificazione, rendendo impossibile per la Corte verificare la tempestività dell'impugnazione. Questo caso evidenzia come il mancato adempimento di un onere processuale, come l'onere della prova sulla tempestività, possa precludere l'esame nel merito delle questioni sollevate, portando all'improcedibilità del ricorso per cassazione.
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